È il 25 novembre 1944. Ad Auschwitz nevica quando alle 8.30 del mattino arriva il primo treno della giornata proveniente dall’Italia. Da lì scendono molte persone, fra cui tantissime donne e bambini. Fra quest’ ultimi c’è anche Giorgio, un bambino di sette anni, che non sa perché è finito lì. Sono venuti 3 giorni prima i tedeschi, gli hanno ordinato di prender le cose necessarie e via, per partire da Milano con il treno fino ad arrivare lì. I soldati li spogliano di tutto, ammucchiando i loro oggetti in un’unica catasta e li fanno andar a lavare tutti ammucchiati in una stanza. Tutti sono spaventati, e dopo questo avventato lavaggio da parte dei teutonici, gli viene dato un pigiama, quel pigiama con le righe bianche ed azzurre che tutti gli altri indossavano. Così viene portato con la madre in una baracca, e questa baracca è in mezzo alla neve, che continua a cadere copiosa ad Auschwitz. La prima cosa di cui Giorgio si accorge è il freddo, e chiede alla mamma se gli può dare una coperta, se si può riscaldare questa baracca con qualcosa, però nemmeno lei non può far molto. L’unica cosa che può fare abbracciare forte il suo piccolo Giorgio ed infondergli tutto il calore che ha, il calore dell’amore di una madre verso suo figlio. Il problema che infligge poco dopo Giorgio è la fame. Il bambino chiede questa volta alla madre di dargli un pezzo di pane, per fermare quei morsi che colpiscono il suo stomaco, ma questa volta sua madre non può fare proprio nulla. Di cibo non ce n’è, e lo sa benissimo che gli unici che possono dar loro cibo sono i soldati tedeschi, ma a loro non si può chieder nulla. Solo loro possono decidere se e quando farli mangiare. La giornata scorre, la fame aumenta e Giorgio sta male, piange, sua madre si dispera, quando per fortuna arriva un soldato li chiama. È arrivata la sera, ed è arrivata l’ora della cena. Il piccolo cambia immediatamente espressione, è felice, forse felice come non mai, nemmeno quando suo padre gli faceva degli splendidi regali per il suo compleanno. Purtroppo le sue aspettative vengono deluse davanti al piatto di zuppa che gli viene presentata come cena. Sulle prime Giorgio fa i capricci, non vuol mangiare, ma davanti all’impietosa espressione della madre, decide di mangiare. La fame diviene compagna del piccolo Giorgio, che fino ad allora non aveva mai conosciuto. Diviene compagno però anche quel fumo che esce da quei camini vicino a quelle stanze dove le persone vanno a lavarsi, così i grandi gli hanno raccontato, ma Giorgio non ci crede. Da lì nessuno è mai tornato, e mai ci tornerà, mentre il fumo finisce nel vento, in quel vento freddo che soffia sempre su Auschwitz, senza interruzione. Si arriva al giorno di Natale, e il piccolo Giorgio spera che ci sia una sorpresa, magari non mangiare la solita zuppa, magari mangiare più di una volta al giorno. Ma neanche questa volta nulla, sempre quella maledetta zuppa. Così la sera, prima di andare a letto si ricorda delle altre festività natalizie trascorse assieme alla sua famiglia, quando suo padre arrivava con quel dolce chiamato Panettone, quel dolce che solo una volta l’anno si mangiava. Il piccolo capisce però di non esser a casa, ed allora si chiede perché proprio lui è finito lì, cosa aveva fatto di male. Lo chiede così a sua mamma ed essa non sa cosa rispondere. L’unica cosa che può fare è consolarlo e dirgli che tutto questo inferno finirà, e che un giorno se ne andranno assieme da lì. E quel giorno giunse. È il 27 gennaio 1945, un pallido sole squarcia il cielo tetro polacco. Quel mattino c’è movimento, e nessuno capisce cosa succede. I tedeschi stanno portando via tutto, se ne stanno andando tutti, quando all’improvviso il silenzio scende sul campo. Il silenzio è così sconcertante che gela pure Giorgio. Ha paura e pensa che ormai sia la fine anche per lui, quando vede arrivare nuovi militari. Questi militari non sono tedeschi, ma russi, e tutti urlano, non di paura, ma di felicità. Allora anche Giorgio capisce che è finita, quel giorno che la mamma gli aveva raccontato è arrivato. I russi li liberano, si prendono cura di loro e qualcuno di loro inizia a sfamarli. Giorgio pensa che sia arrivato il solito piatto di zuppa, ma quando vede che in mano hanno delle tavolette di cioccolato, Giorgio sprizza di gioia. Afferra immediatamente la tavoletta offertagli da uno dei militari, e senza pensarci due volte la mangia. Questa tavoletta non ha solo il sapore del cacao, molto più dolce della solita zuppa tedesca, ma ha il sapore della felicità, ha il sapore della libertà. Per Giorgio basta freddo, basta baracca, basta zuppa, basta fame, finalmente è libero e può iniziare così una vita.