Il mio nome è Servius e sono uno schiavo. Ora più che mai mi sento tale; legato con una catena alle sbarre del cancello che per molto tempo è stato quello della casa del mio padrone. Adesso, però, lui è fuggito come tutti gli altri, lasciandomi qui, solo, ai piedi di questa montagna tremante e viva. Nessuno si era più preoccupato dopo il terremoto di diciassette anni fa, nell’anno 62; anzi, le case crollate sono state ricostruite e restaurate. E ora tutti sono scappati, lasciando vuote le belle dimore ricche di affreschi e mosaici, vasellame e gioielli. È passato da poco il mezzogiorno e quella montagna fumante sembra voler esplodere da un momento all’altro. Mi sembra impossibile, ma solo ieri tutto era tranquillo: la gente passeggiava per le strade, le botteghe erano aperte e le taverne affollate di lavoratori. Solo ieri io lavoravo per il mio padrone alle Terme Maschili. È un compito faticoso ed estenuante, il mio, ma ora sarei immensamente contento di poterlo fare, piuttosto di non potermi muovere, legato e senza speranze. Ieri stavo appunto girando la ruota che aziona il flusso di acqua, che poi giunge all’interno delle vasche; quella calda nel Calidarium, quella fredda invece nel Frigidarium. Il mio padrone è solito recarsi molto spesso alle terme, dice che lì prende ispirazione; è infatti un poeta tragico molto conosciuto in città, dove, nel Teatro Grande, si recitano le sue opere. Io gli sono fedele, adempio infatti tutti i suoi ordini con sottomissione, sebbene il più delle volte si tratti di compiti penosi e sfibranti. Nonostante io sia schiavo da molti anni, non dimentico mai i tempi felici prima della prigionia; difatti non sono nato in questa condizione, ma sono stato fatto prigioniero di guerra durante una battaglia, come spesso accade a molte persone. Da quando mi hanno portato a Pompei non ho più rivisto la mia famiglia ed ora tutte le mie speranze che questo possa avvenire si sono dissolte; credo di non avere nessuna possibilità di riabbracciare i miei cari.
Da quella montagna fuoriesce un’enorme nube di fumo che sale fino al cielo e di cui non vedo la fine, come fosse la chioma di un albero infinito. Ma che succede? Sento un’improvviso scalpiccio di passi veloci ed ecco che appaiono degli uomini. Tra questi vedo anche il mio padrone. Si avvicina di corsa al cancello di casa, ma poi mi vede e si ferma. “Padrone, siete tornato! Vi prego, liberatemi!” gli urlo, supplicandolo, cercando di inginocchiarmi e di sovrastare il rombo tremante che ormai riempe l’aria. “Abbiate pietà!” Ma tutti i miei tentativi sono vani. Lui sembra non accorgersi nemmeno di me, apre il cancello ed entra in casa. Lo vedo angosciato nel tentativo di recuperare i suoi beni più preziosi, correndo da una stanza all’altra. Poi, un boato. Cerco disperatamente di portare le mani alle orecchie, perché il rumore è terribile, ma non ci riesco. Dalla montagna erompe impetuosa una massa rossa incandescente che si riversa lungo il pendio e si avvicina velocemente. Il mio padrone esce di corsa dalla dimora, carico di gioielli e vasi preziosi che non gli serviranno più a nulla. E per me è la fine. O forse, l’inizio della mia libertà.