13. Cicero 2.0

Di fronte ad una pagina, horror vacui a parte, c’è sempre una punta di arrogante aspettativa: ancora non sai che cosa riverserai su quella parete immacolata, se il prossimo capolavoro della letteratura moderna o la ricetta per un panino al salame. E, probabilmente, la seconda avrebbe una utilità maggiore rispetto alla prima. Bene, questo sul terzo pianeta in ordine di distanza dal sole, un tempo conosciuto come Terra, questo non avviene più.

Tutto comincia quando le parole perdono la loro utilità e diventano fini a se stesse, torbida elucubrazione autoreferente e concentrica – una spirale di quelle che non ci esci nemmeno col tuo navigatore satellitare. Il secondo passo è avere a disposizione tutte quante le parole per esprimere chiaramente la propria posizione, senza però farlo e nascondendo il messaggio dietro una maschera di mansuetudine. E pretendiamo universale la chiave di lettura. Con questo non sto dicendo che ordini una Margherita quando vuoi una Quattro Formaggi, beninteso. Il meccanismo è più subdolo e meschino, mentale se vuoi. Significa raggirare il tuo interlocutore quando per primo hai illuso te stesso, e – bada bene – è un meccanismo comune all’amore, alla politica e all’epoca di cui ti sto parlando. Nel 2069, infatti, non potendo più uscire dal tunnel hanno avuto la brillante idea di arredarlo. Da allora la parola, forza civilizzatrice di popoli e arma più potente e egualitaria rimastaci, è diventata privilegio di pochi eletti, che l’hanno stravolta e sconvolta sino a renderla estranea alla gente e sino a farne proprio esclusivo appannaggio. L’ente di più ampia autorità mondiale in questo ambito è il gruppo Cicero ed esso controlla con pedante rigorosità la circolazione delle parole, ne immette di nuove e ne bandito la maggior parte. I suoi membri hanno il nome di un grande letterato del passato, con la particolarità che nel futuro hanno una visione particolare della nostra letteratura e considerano Moccia autorità assoluta in materia. Ecco, ora dovreste aver capito in che stato si ridurrà il nostro pianeta se non ci diamo una mossa a rivalutare le nostre armi – fintanto che le abbiamo ancora affinate.                                                       Il linguaggio, tuttavia, non può essere controllato e se le masse continuano con il proprio vocabolario buono solo per sms e social network, qualcuno nell’ombra prepara la propria vendetta, trama la riscossa del glorioso passato. Si tratta del Movimento Alfa, composto unicamente da persone con problemi intestinali che li hanno portati ad una riflessione metafisica superiore a quelle in 140 caratteri della media. Dagli anni successivi al 2069 imparano a memoria i volumi della Treccani per conservare il più ampio bagaglio di parole possibili e non perdere così l’identità della nostra specie. Il guaio, però, è che ormai ricordano voci di cui non sanno il significato e – provate voi a sapere a memoria un’enciclopedia! – la loro confusione è tale che, pur involontariamente, hanno contribuito all’opera dei loro arcinemici. Ciascun eletto membro di quest resistenza è costretto a imparare diversi vocaboli ed esistono più copie umane di vari porzioni di vocabolario – fa molto Farhenait 451, lo so – e molto spesso identici depositari hanno versioni discordanti e allucinate dello stesso vocabolo. Pensate che alla parola “gatto” coincide il concetto di “Iperuranio” platonico e ad “amore” una violenta infezione (a noi ancora non nota – assimilabile per sintomi ad essersi scoltati un CD di Gigi d’Alessio per intero).

Questa è la situazione sul nostro pianeta, surreale e degna solo di un pessimo brano pseudo umoristico. Adesso abbiamo una cornice, e qui comincia e praticamente cessa la nostra storia.

Le sorti dell’umanità sono in mano a quel tizio lì, quello che vedete seduto su quel muretto, intento a riflessioni filosofiche riguardanti la ragazza che gli piace e comprensive di manette e panna. Sogghigna da solo, convinto che nessuno possa sondare i suoi film mentali. Proprio quel pirla, che sia l’eletto o meno che se no fa troppo Matrix, salverà il genere umano. Come? A guardarlo bene sembra che se lo chieda pure lui, come fare a redimere il genere umano che ha perso le parole. Eppure è tutto molto facile: il mondo non si cura nè di lui nè fa più appello ad un dizionario vero e proprio – ma a Marco non importa troppo. Tante parole, tante voci sono scomparse, forse per sempre – ma Marco non lo sa e forse non se ne cura del tutto. Lui vive la sua giornata e ciò gli basta, La sua lettura principale, fino a qualche giorno fa, era Play Boy, che nel 2069 vende ancora moltissimo. Insomma, lo scenario è quantomeno particolare: sono state le classi elette, lo stato maggiore della cultura, ad aver perso per primi la via giusta, quando ormai, in un mondo digitalizzato, il virtuale ha preso il posto dell’analogico e faccine e caratteri tutti uguali su un display quello della voce. Il mondo sarà anche un Free-WiFi gigantesco, ma sono le connessioni fra le persone ad essere venute meno.                                                                                                                                                 Torniamo a noi, cosa sta per fare il nostro normalissimo protagonista di tanto particolare? È semplice, alquanto. Se ve lo dicessi subito, però, mi sarei giocato buona parte dei caratteri che mi restano in maniera ingenua. Dunque, vi darò tre opzioni – starà a voi scegliere quale sia la conclusione della storia, al posto dell’autore – esatto (che figata subappaltare la propria mancanza di inventiva, eh!). Mi riservo, tuttavia, di farvi capire come avrei chiuso questo raccontino surreale che vincerà come unico premio quello di essere sostituito alla carta igienica nei bagni del Sarpi.

a) L’opzione politica

Marco corre, veloce come mai, verso quel palco in lontananza. Quello da cui, nella sua città, le arringhe dei Cicero 2.0 zittiscono e umiliano la folla, senza che essa se ne renda nemmeno conto. È questa la forza di chi ha monopolizzato le sinapsi della lingua. Avanza col cuore che rimbomba dell’antica aritmia del coraggio, la vista solo apparentemente offuscata e le ginocchia deboli. Col panico che gli inonda i capillari impugna il microfono e comincia a gridare. Il suo disperato appello rimane inascoltato. La gente, come se non lo vedesse, seguita nelle sue occupazioni svilenti e ripetitive, inseguendo il senso di una giornata che ormai l’ha perso da tempo. Fine.

b) L’opzione violenta

Pugni, pugni contro il muro. Sangue, sudore, caduta nella polvere. A strepitare contro il potere si fa solo chiasso, s’ottiene il corpo livido come risposta. Marco si batte da solo. A chi interessa salvare le vecchie parole? Non certo al fango delle strade o ai lividi bollenti. Se sono scomparse la responsabilità è molteplice, troppo comodo imputarla alle sale del potere. Il Movimento Alfa, alla fine, altro non è che un altro ricettacolo di pazzi, lontano più dei propri nemici dai vecchi cari valori. Ché perdere il significato di un nome o un aggettivo, significa non padroneggiarne più il corrispettivo reale. E se il linguaggio è una convenzione, è incredibile quanto non possedere “libertà” nel proprio dizionario corrisponda a non metterne in pratica la nozione. Senza il termine “guerra” forse non sarebbero sorti conflitti? No di certo, ma possederlo nel proprio vocabolario implica una possibilità al suo utilizzo. E guarda caso “guerra” è uno dei termini preferiti da chi opera censure. Fine.

c) L’opzione Coach Potato (nulla)

Marco torna a casa, lungo la solita via. Entra nell’ingresso luminoso e, abbandonate scarpe e zaino, si butta sul suo divano del futuro. Un block notes ed una matita, rigorosamente in versione fantascientificamente futura, e comincia un antico rituale, vecchio quanto il mondo. Che scriva “scemo chi legge” o condensi il senso dell’esistenza, è lui che ha vinto, ed è questo il nostro finale. Non esistono censure alla fantasia, non esistono limiti al pensiero. Ché ogni qualvolta che una pagina viene aperta o una penna impugnata, ecco allora che ricomincia la storia della letteratura. Fine?

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