17/2015. Sognando Masterchef

Una grande porta si spalanca, lentamente. Al centro della sala, un tavolo di legno massiccio, ben apparecchiato e non troppo stretto, si staglia invitante e maestoso. L’atmosfera è carica di attesa e contemporaneamente di familiarità; tutto è avvolto da una luce chiara. I commensali siedono a proprio agio: hanno già dato inizio al pasto. Al suo arrivo si voltano con uno sguardo, lo stavano aspettando e non intendono nasconderlo. C’è un posto libero, silenzioso: aspetta di essere occupato. Tutti lo invitano ad accomodarsi, con un sorriso velato. Percorre a piccoli passi la distanza dalla sedia che lo attende, freme di aspettative.

Alcuni degli uomini più importanti della storia sono lì, di fianco a lui. Discutono in quel modo insieme ironico e serio, tipico delle grandi figure; l’argomento prediletto durante il pasto è una sfida, cui tutti partecipano con estrema convinzione. Trovare il piatto migliore, in assoluto. Ognuno è animato fautore della propria pietanza: la conversazione è già in atto.

≪Non comprendo i motivi di questa sfida, amici≫ e nel intanto Socrate raggiunge con la mano un piatto fumante, che pone sotto i suoi occhi. Prosegue: ≪Questa è pura magnificenza: uno strato di melanzane fritte delicatamente nel succo delle olive della patria che tanto mi volle, quanto mi respinse. Carne degli agnelli più teneri, cotta lentamente. Il tutto ricoperto da scaglie di formaggio e da un denso strato di besciamella. La moussakà sarebbe dunque la candidata perfetta per essere nominata vivanda migliore. Eppure, cari signori, vi è un errore concettuale di base in questo nostro dialogo: io so di non sapere quale sia la pietanza preferibile, al contrario di voi. Ecco perché, ognuna delle vostre proposte alla fine risulterà inadeguata.≫

Poi affonda la forchetta nell’angolo della moussakà, e smette di parlare.

≪Mi trovo ad acconsentire, in qualche modo, con la visione del nostro amico.≫

Adesso è Einstein ad aver preso la parola, mentre siede visibilmente scomposto e irrequieto, quasi fosse un bambino.

≪Dovete comprendere, miei cari, che al mondo tutto è relativo. Perciò è impossibile, esattamente come diceva poco dinanzi il saggio Socrate, stabilire con certezza la pietanza vincitrice. Vedendo questa gemüsesuppe, preparata con dolcezza, usando unicamente verdure freschissime e dunque, rispettando anche gli esseri animali, io sarei portato a considerarla migliore di ogni altra cosa. Tuttavia, basta guardare il compiacimento che nasce sotto i baffi scarlatti di Garibaldi, per capire che i nostri gusti non sono in alcun modo estendibili o assoluti. A proposito, come stai vecchio mio?≫

Rivolge uno sguardo complice al grande patriota, che non perde l’occasione per portare avanti la propria opinione.

≪Ho un continuo dolore alla gamba, Albert. Davvero incessante. Ad ogni modo, è mio diritto esprimere dissenso riguardo alla tua opinione. Difatti, caro il mio scienziato, io intendo il cibo come un elemento unificante, tutt’altro che relativo. Cosa sarebbe un popolo, senza parlare la stessa lingua e mangiare lo stesso pane? Ammira questo piatto fumante: spaghetti alla nazionale. Pasta cotta in abbondante acqua salata, il bianco delle melanzane, il verde delle zucchine, il rosso del pomodoro. E ti puoi nutrire della tua bandiera, della tua nazione, dei tuoi valori. Ecco perché è ciò che sto gustando io, che dovrebbe essere celebrato piatto vincitore.≫

Detto ciò, ancora in balia del sentimento che aveva mosso il suo breve discorso, tuffa la forchetta tra gli spaghetti, che arrotola perfettamente, per poi farli sparire completamente dentro ad un unico boccone.

Approfitta del momentaneo silenzio, pulendosi distrattamente le labbra, Andy Warhol: ≪Unificare. Questa è la parola chiave. Il cibo deve essere uno strumento di eguaglianza. Guardate questa coca-cola: è l’emblema della più grande rivoluzione americana, la giustizia del consumismo. Perché quando la guardi, sai che anche il Presidente beve Coca-Cola, che Liz Taylor beve Coca-Cola, e che anche tu puoi berla. Non c’è alcuna differenza, tra la tua e la loro; tra te e loro. Dio benedica l’America!≫

Alza goliardo il calice ripieno di Coca-Cola verso il soffitto, e il vetro nelle sue mani trema sotto il peso di una risata poco contenuta.

Un uomo minuto, in fondo alla sala, aspetta che ritorni la tranquillità. Fino a quel momento aveva taciuto e ascoltato ogni intervento, con un’espressione di sereno rispetto.

≪Unificare≫ è una parola che rimane nella conversazione, incastrata nei discorsi di ognuno, e Gandhi la pronuncia lentamente, mentre continua a creare delle piccole palline di riso, facendole roteare tra l’indice e il pollice ≪O forse riappacificare. È la sensazione che si prova dopo lunghi periodi di fame, lo stomaco lotta senza tregua, urla, colpisce: è guerra. Dopodiché, basta un unico boccone: lo senti scendere nella gola, sempre più in basso e tutto il tuo corpo si distende. L’organismo si riappacifica con lo spirito, un’energia si dilata a partire da quello stomaco che prima tanto soffriva, e si diffonde come sangue nelle vene. Questo è il vero potere del cibo, e la pace si soddisfa di semplicità: un solo piatto di riso, condito con verdure fresche e curcuma colorata, il profumo delle spezie che preannuncia il benessere. Se ogni persona nel mondo potesse contare su questa scodella di riso, sarebbe l’inizio dell’armonia.≫

Pronuncia questo discorso come fosse un pensiero a voce alta, quasi più concentrato nel gesto che precede il boccone; eppure nella stanza cala un frammento d’innaturale silenzio, come se tutti riuscissero a vedere davanti ai loro occhi quel mondo pervaso di armonia, di cui Mahatma ha appena richiamato il ricordo.

Si schiarisce la voce e spezza il pensiero di tutti, Isaac Newton. Il disegno dell’universo, prima così vivido, viene cancellato come da un colpo di spugna sul vetro sporco di un’ automobile.

≪Comunque, io sono dell’idea che il cibo sia innanzitutto la forma primordiale di scoperta. Cerca il cibo un bambino appena nato, lo ha cercato a suo tempo il primo uomo della storia. Da quando si nasce, scatta qualcosa all’interno dell’animo umano, che lo porta -più o meno razionalmente- in cerca di cibo. Non è una pura forma di sopravvivenza ma, come dicevo poco fa, una scoperta. Il cibo è in grado di rivelare infinite verità: sul singolo uomo, su una comunità, sull’umanità tutta, sulle leggi che regolano l’universo. Capisco che questa posizione possa sembrarvi profondamente influenzata dalla mia singolare esperienza personale, eppure sono profondamente convinto che la parola ‘eureka’ sia sinonima di cibo.≫

Termina la frase lanciando in aria una mela, che riprende in mano al volo, addentandola subito dopo con un morso croccante.

Nel corso del pasto, la conversazione si è lentamente spostata su un argomento più profondo dell’iniziale gara (forse più un originale pretesto per movimentare la tavolata). Alcuni degli uomini più illustri della storia sanno che il cibo non deve essere supremazia; ed ecco che alla fine si sono ritrovati a discutere sul suo significato, sulla sua essenza, sulle sue forme. Continuano a parlare, gesticolare, ridere, rovesciare scure gocce di vino sulla tovaglia, assaporare, assaggiare…continuano e l’immagine lentamente evapora sotto le palpebre pesanti del sognatore. Riesce ancora a sentire qualche parola sommessa, fino all’abbandono definitivo di quella meravigliosa e bizzarra tavolata. Il sognatore apre gli occhi, e si ritrova seduto nella stessa posizione di quando si era addormentato, quasi un’ora prima. Sente un ruggito nella parte bassa del torace: lo stomaco reclama attenzione, ormai si è fatta ora di pranzo. Il sognatore si alza dalla sua postazione, una mano portata sul ventre a massaggiarlo, e cammina fino a una grande porta che si spalanca, lentamente.

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