20. Taci

Mi chiamo Ayde, ho nove anni e non so parlare.

Così mi hanno detto mamma e papà, ma io non so cosa voglia dire davvero.

Mi esprimo con il linguaggio dei segni, una cosa che forse sembra buffa alle altre persone, ma che mi permette di far capire cosa penso, cosa voglio e di cosa ho bisogno… anche se non è facile e quasi nessuno lo capisce.

Mi sento diversa dagli altri, so che loro hanno qualcosa che io non ho, ma non so perché sia necessario che loro mi guardino sempre in quel modo strano che non mi piace. Vorrei tanto saper parlare… è la cosa che voglio di più al mondo, ma so che non è qualcosa da chiedere a Babbo Natale o Santa Lucia. Lo so perché non me le hanno ancora portate, le parole, anche se io a ogni Natale lo chiedo.

Io non mi offendo, ma ci rimango sempre un po’ male, perché, insomma… non credo che costi molto a Babbo Natale, portarmi qualche parola, in fondo i grandi ne hanno tante da buttare via.

Da quando ho imparato a scrivere, la mamma dice che finalmente posso essere me stessa, ha detto proprio così, essere me stessa. Non so bene cosa vuol dire, ma credo che sia una cosa bella. Quando lo diceva mi sembrava che avesse gli occhi rossi, come se stesse piangendo, ma sicuramente mi sbaglio, perché non è possibile che la mamma fosse triste per una cosa bella come essere se stessi. Ha pianto anche quando le ho fatto leggere la lettera che le avevo scritto per il suo compleanno, anche se a me non sembrava scritta così male, in fondo…

Comunque credo che sia bello che io possa essere me stessa. Almeno quando scrivo, sono uguale a tutti gli altri, e nessuno sa che non posso parlare, perché è la penna che parla al mio posto.

La mamma mi ha detto che io sono Muta. Mi ha anche spiegato che chi è muto di solito è anche sordo (vuol dire che non può sentire, ma anche questo non ho capito bene cosa significhi). Io sono anche questo.

Sono abituata a vedere i miei amici che parlano senza bisogno di fare i gesti, ma a volte mi fermo a pensare come deve essere strano, capirsi al volo muovendo soltanto le labbra, e nessun’altra parte del corpo. Sono davvero così potenti le parole, da potersi sostituire da sole a tutto quello che sentiamo ed essere capaci di esprimerlo così chiaramente?

Lo vedo soprattutto negli adulti, quelli che parlano tutti seri l’uno con l’altro, guardo la loro faccia, e mi sembra una maschera. Proprio una maschera, così impassibile da essere incapace di mostrare le loro vere emozioni. Eppure devono provare qualcosa anche loro. Sicuramente sono io che non capisco.

Mi manca qualcosa. Io capisco ciò che dicono ma non riesco a capire cosa provano. Credo che solo le parole possano esprimerlo e io non posso sentirle. Quel suono non lo sentirò mai, quelle emozioni non le capirò mai.

Deve essere proprio bello poter parlare. Soltanto qualche suono che l’orecchio riconosce e il cervello capisce subito tutto quello che l’altro vuole dire, senza bisogno di agitarsi tanto come devo fare io, senza bisogno di fare tutte le smorfie che sono costretta a fare per far capire agli altri –

Senza bisogno di vedere che gli altri –

Senza bisogno di sognare di –

Sognare di potere –

Sognare parole che –

Sognare parole. Che non sentirò mai e mai pronuncerò.

E piangere perché c’è qualcosa che non riesco a capire e comprendere e afferrare, ma posso vederlo… negli altri.

Era meglio che la mamma mi facesse anche cieca.

Quando sono tanto triste lei mi ripete che le parole non sono poi così importanti, che comunque ci si fraintende lo stesso, e anche più facilmente, ma io non ci credo. Vorrei solo potermi esprimere come fanno tutti gli altri. Perché devo essere diversa? Sono sicura che tutto sarebbe più semplice. I miei compagni non dovrebbero fare tanta fatica per parlare con me.

Forse sarebbero miei amici, se solo io non avessi bisogno di perdere tanto tempo per far capire loro cosa voglio dire. Non li biasimo se si stancano di aspettare che la conversazione acceleri.

Se ne vanno sempre, vanno via da me.

Secondo me le parole sono la cosa più importante e bella di noi esseri umani, e la mamma può dire quello che vuole. Forse un giorno anche lei capirà quanto è fortunata a saper parlare e sentire, forse se ne accorgerà. Non credo che succederà oggi però: la mamma è molto triste oggi.

La settimana scorsa la nonna è morta. La mamma mi ha detto che i suoi occhi si sono chiusi e la sua bocca ha smesso di parlare. Io le ho chiesto se non potevamo svegliarla, lo potevo fare io, piano piano, senza spaventarla, l’avrei chiamata a bassa voce, ma lei ha detto che a un certo punto, quando sono molto vecchie e stanche le persone si addormentano, e sono così vecchie e stanche che non riescono più a svegliarsi, e allora bisogna lasciarle dormire. Si chiama morire. Io ho capito, ma ho capito anche che ero non avrei più potuto parlare alla nonna e sono diventata molto triste anche io. Anche adesso sono triste, perché oggi andiamo a salutarla per l’ultima volta.

Ci sono tante persone vestite di nero, con gli occhi bassi e gli angoli della bocca in giù. Molti piangono, ma nessuno parla. Le loro bocche sono serrate.

Alcuni uomini reggono la bara in cui dorme la nonna, anche loro sembrano molto tristi e non parlano.

Chiedo alla mamma perché nessuno parla, è strano, di solito le persone parlano in continuazione e non si stancano mai, ma lei scuote la testa e abbassa gli occhi.

Ma perché nessuno parla?

Nessuno riesce a parlare proprio in questo momento così importante? Tiro il braccio della mamma, ma lei mi ignora. Perché mi ignora? Vorrei tanto poter dire qualcosa io!

La guardo, ma lei non sta guardando me. Guarda la nonna nella bara e stringe le labbra. E la sua voce è tutta lì, nella sua gola, se solo lei decidesse di esprimere quello che sente nel modo in cui l’essere umano riesce meglio.

Se solo decidesse di parlare, allora forse potremmo salutare la nonna come si deve.

Se solo fossi capace io… se solo potessi… ma forse anche gli altri non possono.

Forse sono diventati improvvisamente tutti Muti.

Forse la mamma aveva ragione. Lo vedo dai loro occhi.

Forse le parole non sono la cosa più importante, anzi non lo sono proprio per niente.

Forse è più importante ridere, sorridere, piangere. Stare in silenzio. Forse le parole non sono capaci di dire tutto, e sono solo dei suoni, solo qualcosa che si sente e nient’altro.

Guardo gli adulti, perfino loro non hanno più parole da dire e tacciono, tutti fermi, ad asciugarsi gli occhi con il fazzoletto. Ognuno nel suo silenzio, che è anche quello degli altri. E’ il dolore degli altri. Ed è lo stesso che sento io, ogni giorno, sempre, quel silenzio colmo solo del suono delle emozioni che non posso esprimere. E capisco che quel silenzio adesso sta proteggendo anche le loro emozioni. Quel silenzio le racconta meglio di come farebbero tutte le parole del mondo. Può essere assordante, un silenzio? Può essere silenziosa, una parola?

Un silenzio così potente e pieno, forte… vibrante di emozioni inespresse.

Mamma, adesso ho capito cosa volevi dirmi.

Noi siamo molto di più di un nome, siamo molto di più di un suono.

Forse noi non siamo fatti di parole, siamo fatti di silenzio.

Il silenzio, un insieme così saturo di suoni da apparire silenzioso.

Forse le parole sono solo un modo per nascondere quello che sentiamo davvero ed è quando non ce ne sono più che tutti si mostrano davvero per quello che sono.

Taci. Non è la parola che esprime chi siamo, è il silenzio.

Dopo che siamo tornati a casa ho ringraziato la mamma per avermi fatto nascere senza le parole e lei è scoppiata a piangere. Forse quando sarò grande capirò perché gli adulti diventano tristi per le cose belle.

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