“Ol bergamì” in dialetto bergamasco, colui che porta la mucche in alpeggio durante il periodo estivo e le riporta verso il fondovalle all’inizio dell’autunno: questa è la storia di Ignazio, produttore di formaggi della val Taleggio. Come tutti gli anni aveva trascorso l’estate in alpeggio spostando di malga in malga la sua mandria alla ricerca dell’erba migliore e profumata, così da poter ottenere del latte di elevata qualità per la produzione dei suoi formaggi. Si narra che nel tardo pomeriggio di una giornata di fine estate, al rientro dall’alpeggio con la sua mandria, raggiunse il paese quando ormai gli animali erano già stanchi, perchè avevano camminavano tutto il giorno. Il sole stava calando verso l’orizzonte ed era giunta l’ora della mungitura; arrivato alle stalle, vista l’ora tarda, unì tutta la famiglia per mungere immediatamente gli animali. Credendo che la qualità del latte fosse inferiore a causa della stanchezza dei suoi bovini, decise di produrre dei piccoli formaggi di forma quadrata per differenziarli dal formaggio d’alpeggio rotondo e per la vendita immediata, evitando di distruggere la sua reputazione faticosamente costruita. Dopo una breve stagionatura, una volta pronto il formaggio, assaggiò una fetta e notò che il sapore era nettamente differente da quelli prodotti normalmente ma ottimi al palato e collegò la differenza al fatto che le mucche erano stanche, in bergamasco “strache” appunto. Decise allora di alterare la forma di questo formaggio in modo permanente. In origine, il suo nome era un connubio tra il fatto che le mucche erano stanche e la forma quadra da cui deriva il nome: “strachì quader”. La produzione di questo formaggio si ripeté negli anni a venire di generazione in generazione coinvolgendo altri “bergamì”, rendendolo parte della cultura della valle. Successivamente da un errore di lavorazione del caglio, data dall’unione della produzione della sera con quella del mattino, si accorse che all’interno delle forme di formaggio, si era ottenuto un nuovo tipo di formaggio erborinato, ovvero con la presenza di muffe “nobili” all’interno della forma: “lo strachitunt”, cioè stracchino tondo.
Ma lo stracchino non è solo un formaggio, è una tradizione secolare, è il legante di varie generazioni, è quell’elemento che ha reso famose le valli bergamasche durante il XVI secolo ed ha permesso alle stesse di mantenere tale prestigio, rendendo i prodotti locali cibi utilizzati in molti pregiati ristoranti parigini e londinesi. Il bergamì, come tanti personaggi che vivono in valle ed animano la vita rurale di piccoli centri isolati e malghe in alta quota, crea prodotti tipici locali, i quali portano in alto il nome della bergamasca, luogo di produzione di beni ricercati in tutto il mondo. Fu così che, grazie ad un ritardo causato dalla scomparsa di una mucca e dalla sua conseguente ricerca da parte di Ignazio, i bergamì della val Taleggio scoprirono un nuovo, e funzionale, metodo per produrre latticini di eccelsa qualità. Dapprima, la scoperta, si diffuse lentamente ai paesi limitrofi, venduta ad un modico prezzo, poi raggiunse le valli circostanti le quali ne aumentarono esponenzialmente la richiesta, culminando con la propagazione in tutta Italia, diventando così merce di scambio. Tanti, nel corso degli anni hanno chiesto a Ignazio quale fosse il segreto della sua produzione ma lui si limita a ripetere: “alimenti sani e genuini accompagnati da amore nella cura degli animali”. Ed è proprio questo che Ignazio ha tramandato alla sua discendenza, permettendole di instaurare un legame non finalizzato al lucro ma al benessere reciproco: essi portano, infatti, gli animali al pascolo e forniscono loro protezione e fieno durante l’inverno, e le mucche in cambio, donano ai mandriani un latte di elevata qualità, particolarmente adatto alla produzione di latticini.