Il sole splende alto nel cielo terso, sento i gabbiani in lontananza e il calmo ondeggiare del mare. Una brezza leggera mi accarezza il viso, mi spettina i capelli. Corro tra il verde fogliame degli alberi ove risplendono limoni e arance dorate. Sto giocando a nascondino ma mi troveranno presto, sento la risata di mia sorella che si avvicina.
«È pronto » la voce cristallina di mia madre si perde nel vento e nel rumore del mare. « Dai che si fredda! Bambine!» Non riesco a sentirla, il fragore delle onde la sovrasta.
Non sono onde, ma è pioggia battente. Non mi trovo al mare, ma in centro Milano. La sveglia segna le 7.45, sono in ritardo. Mi preparo in fretta e furia, non faccio colazione, prendo da terra la mia ventiquattrore e mi ravvivo come posso i lunghi capelli nero pece.
Esco di casa. Ho dimenticato l’ombrello, dannazione! Sento il rumore dei freni del treno che stridono sulle rotaie e mi rendo conto che è troppo tardi.
Sono le 8.10, ho perso il treno e forse con esso anche il lavoro, ma la cosa non mi tocca particolarmente. Mentre fisso con sguardo vacuo i binari vuoti, sento i morsi della fame. Un giovane mi porge un volantino. “Sapori del Sud”. Un’altra pasticceria, come se non ce ne fossero già abbastanza. “Assaggi gratuiti”. Dista poco dalla stazione. Decido di andarci, almeno starò al caldo. Opto per un’anonima fetta di torta margherita spolverizzata di zucchero a velo.
Mi siedo al tavolo e la tolgo dall’involucro. Mi sento avvolgere da un aroma di limone intenso . Mi ricorda qualcosa. Si ma cosa? È una fragranza che non riesco a individuare. Osservo il dolce. Apparentemente sembra una torta margherita, ma i miei sensi mi ingannano, è qualcosa di più. È soffice al tatto, ha una consistenza leggera : è succosa come un limone. Limone.
Una leggera bruciatura bruna sul fondo mi suggerisce che è stata cotta un po’ troppo, ma ciò non sembra guastare la riuscita complessiva della torta. La spezzo in due: la crosta è bruna mentre l’interno è giallo paglierino. La annuso di nuovo: lo stesso aroma intenso di prima ma nulla più. È come una voce in sogno che non riesco a distinguere, familiare eppure difficile da cogliere. Decido di assaggiarla.
Oh.
Le mie papille gustative vanno in estasi. Come ho potuto dimenticarla? La torta di mamma. Il sapore deciso di limone mi pervade e risveglia in me un flusso di ricordi, senza quasi che io me ne renda conto.
Mi tornano alla mente le domeniche pomeriggio assolate passate a studiare su di una sdraio nell’agrumeto di famiglia. Ricordo ancora il profumo dei frutti dorati che splendevano nel verde fogliame, baciati dal sole. Quelle lunghe giornate erano addolcite dalla spremuta d’arancia di mia madre, d’un colore arancio-rosso intenso, freschissima, aspra, addolcita da un solo cucchiaino di zucchero che si andava a posare sul fondo del bicchiere. E la sua torta. Dio. La consistenza soffice, il sapore dolce ed amaro del limone. Nel mezzo era farcita con una crema color giallo paglia, di vaniglia e limone che ammorbidiva ulteriormente la torta. La crema era sempre in esubero, tanto che colava da ogni fetta. Aspettavamo tutta la settimana per quel dolce paradisiaco. Alla domanda quale fosse l’ingrediente segreto per farla così buona mamma rispondeva sempre: « Annachiara, qua dentro ci metto tutto l’amore per le mie bambine!». Ed era vero.
Mamma non era una donna che esternava spesso i suoi sentimenti, anche con noi figlie. Preferiva dimostrare il suo affetto più con i fatti che con le parole. E uno dei modi che utilizzava era proprio il cibo. Sentivamo il suo amore tramite ciò che ci preparava con tanta cura con i frutti della nostra terra.
In casa non mancavano mai gli agrumi. In primavera lo sbocciare della Zagara rilasciava, specialmente all’imbrunire, un profumo orientale. Si pregustava il sapore degli agrumi già solamente dall’aria, che permeava le strade della mia piccola città in provincia di Salerno. Le barche ormeggiate al molo, gli alti palazzi che creavano un mosaico ricco, l’odore di pesce fresco, i bisbigli nelle onde del mare leggermente mosso, la sabbia fine solcata da orme cancellate a metà dalla risacca. E poi casa mia. Ricordo i tramonti sulle distese di alberi da frutto dei miei genitori, che non erano particolarmente ricchi, ma che si mantenevano in una situazione dignitosa proprio grazie alla coltivazione degli agrumi. Quella fragranza inconfondibile, intensa della mia terra, selvaggia e libera che ci nutriva da generazioni. Nonna Mariuccia era particolarmente legata alla nostra terra. Ricordo quando da bambine, io e mia sorella ci arrampicavamo sugli alberi da frutto per rubare qualche agrume. Nonna non voleva assolutamente, eppure noi lo facevamo lo stesso. Ricordo i suoi rimproveri in dialetto strettissimo e le corse a perdifiato con mia sorella. Ci fermavamo solo quando eravamo sicure che nonna, data l’anziana età, si fosse stancata di rincorrerci sventolando la scopa in aria con minacce che si perdevano nella risacca del mare. Una volta al sicuro gustavamo il nostro bottino. I limoni grossi e gialli e le arance rotonde e ambrate, talmente grosse e pesanti che a malapena stavano nelle nostre mani bambine. La scorza era dura e spessa, la polpa chiara meravigliosamente grondante di succo. Ricordo il sapore aspro degli spicchi di limone e d’arancia, mangiati a crudo, ma ne ricordo anche la squisitezza. Erano spicchi di una vita lontana, che non può essere stata la mia.
Quando tornavamo a casa c’era nonna seduta in cucina, a braccia conserte. Mamma faceva finta di sgridarci, per dare l’impressione a nonna di averci dato una lezione. Ma appena nonna si girava, mamma ci faceva l’occhiolino e ci stampava un grosso bacio in fronte. Erano bei tempi, quando non esistevano preoccupazioni non conoscevamo il dolore.
Sembra successo in un’altra vita.
Quando mia madre è morta avevo 16 anni. Ero troppo piccola per gestire la situazione, ma troppo grande per non rendermi conto di ciò che era successo. In seguito alla sua scomparsa ho cominciato ad avere problemi alimentari. Appena raggiunta la maggiore età sono scappata di casa, trasferendomi a Milano dove vivo tutt’ora. Non potevo rimanere in quella terra, così piena di ricordi. E non volevo. Tutto mi riportava a lei. Non ero pronta a perderla. Non si è mai pronti a lasciare andare chi amiamo.
Chiudo gli occhi un istante.
I pomeriggi passati nell’agrumeto di famiglia, l’ultima notte della malattia di mia madre, il funerale, i giorni bui, i miei disturbi alimentari, la fuga al nord, il grigio pallore di Milano, i lavori che ho dovuto fare per mantenermi, le volte che ho composto il numero di casa per sentire la voce di mio padre e poi riattaccare subito perché non avevo il coraggio di parlargli, fino ad oggi quando ho perso il treno e sono entrata in un bar. Tutto come se fosse ieri. Ho rivissuto tutta la mia vita in una fetta di torta.
E ora? Sono lontana 800 km dalla mia terra, da 17 anni. Me ne sono andata da un posto che non faceva più per me, eppure quel posto non mi ha mai lasciato veramente. Come tu mamma, non mi hai mai lasciato davvero e me ne rendo conto solo ora. Sento che qualcosa è cambiato. La morte, non mi spaventa più. Non voglio più scappare. Mamma è sempre mamma, io sono sempre io. Allora ho avuto paura. Paura di non averti più accanto a me. Eppure tu sei qui, anche se non posso vederti con questi miei occhi. Posso vederti col cuore.
Mi avvivo verso la stazione dei treni, non piove più. Guardo in alto, un cielo cristallino che sembra non avere fine mi sovrasta. È turchese, come gli occhi di mia madre. Stringo nel palmo il biglietto che ho appena acquistato. Un altoparlante mi avvisa : «Il treno delle ore 10.00 per Salerno è in partenza dal binario 16». Se salgo sul quel treno cambierà ogni cosa. Sento di poter trarre la mia forza vitale da dove ho iniziato. Ma ciò mi spaventa. Non sono sicura di quello che troverò a casa. Ma qui non c’è più nulla che mi trattenga qui.
Faccio un passo avanti. Torno a casa.
Un bellissimo racconto che ha suscitato in me tante emozioni, mi ha fatto rivivere la mia infanzia e sopratutto la mia terra.
Bellissimo
Intetessante
Bellissima poesia