4. Cenere e diamanti

“L’immagazzianggio dei beni delle proprietà private non sarà un problema. Coopereranno. Cooperano sempre”. Il Generale sorrise sardonico e ci fu una pausa. Un’interminabile pausa e di compiacimento e di diffidenza.

“’Reinsediamento’, ‘Riassetto’, ‘Trattamento Speciale’. I suoi sono tutti sinonimi meravigliosi per liberarci degli ebrei”. E schioccò le dita.

Non battei ciglio ma sorrisi imbarazzato. Dovevo sorridere o volevo sorridere? D’altra parte quei termini erano miei. Il mio genio. Il mio lavoro. Riprendere e dare una ripulita a ciò che ad altre orecchie poteva sembrare disgustoso o, peggio, chiaro, ecco cos’era il mio lavoro: riunire ciò che all’apparenza era disorganizzato e frammentario.

“Eppure l’esercito è irritato” riferii.

“E di che cosa? La Polonia è caduta in meno di venti giorni”.

“E irritato per la nostra condotta”.

“E che cosa si aspettava?!” sbottò, a gesti e a sputi, inferocito.

“Maggior organizzazione, o forse efficienza: principalmente però credo che l’Alto Comando preferirebbe che i nostri uomini agissero meno apertamente meno, per così dire… ‘alla luce del giorno’”.

E di nuovo calò il silenzio. Glaciale.

“Mi ascolti attentamente: la nostra è una battaglia per la purezza e la salute dell’umanità voluta da Dio”. Mi disse sbocconcellando con attenzione le parole che usava.

“Le ripeto, solemente per informarla, che l’esercito sembra risentire di un indebolimento della sua autorità nelle zone occupate”. Cercavo di farmi coraggio ma continuava a deglutire nervosamente.

“Si metta l’animo in pace, l’esercito. Vinca e occupi. Noi ci occuperemo degli ebrei e degli altri parassiti” disse il Generale puntandosi il grosso pollice contro il petto a sottolineare quanto diceva e riprese:

“Per il momento marciranno nelle loro comunità a Cracovia e Varsavia. Cloache disgustose, ne conviene? Mi fa piacere. Bisogna avere però un piano preciso. Non è con le fucilazioni e le impiccagioni a casaccio che si risolve una campagna di massa contro un nemico tanto subdolo e astuto”. E mi parve turbato.

Ho provato a penetrare i suoi pensieri:

“Forse il nostro problema è rappresentato dal fatto che solo pochissimi di noi hanno un’idea chiara di quale veramente sia il nostro fine ultimo nei confronti degli ebrei”.

“Per lei qual è?”. Il suo sguardo cobalto si fece di ghiaccio.

“L’eliminazione della loro l’influenza dall’Europa. Forse dal mondo” provai a rispondere.

“E cosa intende per eliminazione? Sterilizzazione? Esilio? Immiserimento? Forse…”. Si fermò un istante umettandosi le labbra e chiese ciondolando il capo biondo:

“Sterminio?”

“Francamente, Generale, lo sterminio, come lei dice, di otto milioni di persone sembra un’impresa improbabile, fors’anche irrealizzabile” sentenziai.

“Quasi una crociata…” sospierò. “Avrei delle obiezioni a riguardo”. Si alzò, misurò la stanza a grandi passi e si risedette. “Ma le tengo per me”. E mi sorrise. Questa volta benevolo.

“Tuttavia comprendo che ci sono cose di cui possiamo parlare e cose di cui non possiamo parlare” disse sottolinando il “non” con una prepotente inclinazione della voce. S’interruppe, gesticolò alzando al cielo lo sguardo e proseguì: “Potremmo parlare di tali azioni chiamandole ‘Misure generali pianificate’, che portano al nostro traguardo finale e che però differiscono sensibilmente dagli stadi che a questo traguardo ci guideranno”. Aveva una tortuosa verbosità tutta sua.

“Quarantena e contenimento?” chiesi timidamente; annuì ma sviò immediatamente e il discorso e mi chiese:

“Mi dica, facciamo ciò che facciamo per convinzione o per mero opportunismo?”

“Di certo non abbiamo mai fatto mistero delle nostre reali convinzioni nei loro confronti” ribattei sicuro “ma tutto questo disturbo semplicemente per… eliminarli?”. Scosse lento e solenne la testa non appena ebbe sentita la mia domanda.

“’Convinzione’…”. Scandì con inesorabile ironia ogni singola sillaba di quella maledetta parolo che era disgraziatamente uscita dalla mia bocca e poi, in maniera del tutto imprevista e inaspettata, mi strizzò fraternamente l’occhio.

“Gran parte di ciò che diremo loro saranno menzogne, ma menzogne molto, molto utili. Non lo diemntichi mai.” parlò gravemente.

“Popolo deicida e stirpe diabolica!” gridò in seguito con falso tono da imbonitore e rise grossolanamente. Poi tornò serio:

“Sono solo vecchie ideologie medievali, sensa il minimo senso logico. Eppure, come tutte le false credenze e le bigotterie della gente bassa, della massa ignorante e bruta, si possono rivelare estremamente preziose. In tempi come questi bisogna fare attenzione a ogni termine, evitare che la paura dilaghi e tuttavia farne sentire l’odore ai nostri inermi nemici. Le parole valgono più dell’oro. La capacità di servirsene a proprio vantaggio e piacimento può fare sì che un uomo qualunque, con la sua semplice capacità di tessere ad hoc di parole e frasi e frasi che di primo acchito non avrebbero alcun significato, diventi il re Mida del nostro tempo. Come lei”.

E rise. E ancora e ancora. Quell’uomo aveva in sé il fascino del diavolo e dell’invicibile e immortale divinità pagana delle nostre leggende. Una belva e un fine esteta, un boia e un intellettuale, un assassino e un bon soldat. E le parole che a rigagnoli a torrenti e a fiumi uscivano dalle sue labbra perennemente in movimento e mai a riposo erano in grado di sedurre e affascinare, e probabilmente ingannare, anche il più coriaceo degli scettici. Mai avrei rivisto una mente tanto carica in egual misura d’ingegno e di brutalità. Ne ero ammagliato. Resistere a quella musica ridondante ed esaltante e divina al tempo stesso era semplicimente impossibile.

Nel frattempo che io rimuginavo su di lui e sulla sua persona, si ricompose, il colore cremisi dell’emozione più nobile e infantile era scomparso dai duri ma gradevoli lineamenti del suo volto; incrociò a piramide le lunghe e affusolate dita da virtuoso violinista e con seria cadenza mi disse:

“Dobbiamo isolare i portatori di germi in territori… in ‘Territori Ebrei Autonomi’. Che ne dice? Seducente e terribile al tempo stesso. Sembreranno avere un’aura sfuggevole ma confortante di permanenza e totale immobilità fisica. Uno stadio semplice e indolore per la nostra ‘Regolamentazione del Problema Ebraico’”.

Sapevo che quanto aveva detto non erano proposte, non era congetture, supposizioni, improvvisazioni o altro. Erano ordini. Ordini nati da ponderate riflessioni. Si trattava solo di mettere tali ordini in atto. Il passo successivo sarebbe presto arrivato. Una soluzione finale presto si sarebbe trovata e tutto sarebbe finito per il meglio. Per noi e per loro. Soprattutto per noi però.

Mentre mi lasciavo andare, libero, a questi ragionamenti un ghigno si dipinse all’improvviso sul suo volto altrimenti impassibile. Mi resi conto che era rivolto a me. Mi puntò il suo indice affilato.

“Lei mi ha contagiato” disse sorridendo sempre di più e muovendo su e giù quel suo dito.

“Io, signore?” gli feci, a metà tra il preouccupato e l’incuriosito.

“Certamente. E se n’è reso conto benissimo. Ora parlo la sua lingua. Come lei. Uso un linguaggio per dire ciò che non voglio dire”.

Ci fu un’altra infinita pausa. Mi sentivo sollevato questa volta e mi congedò.

Misi la mano sulla maniglia per aprire la porta e mi rivolse ancora le ultime parole:

“Rammenti un’ultima cosa: nessuno, e sottolineo nessuno, deve mai più parlare di annientamente o tantomeno di sterminio. Almeno per ora”. Un gesto imperiale e maestoso della sua mano e fui fuori dalla stanza.

Sospirai. E mi chiesi, senza sapere se me ne rendevo o no conto: sapevamo forse e non volevamo sapere di girare attorno a una qualche verità ultima, ultima e terribile?

Non mi seppi rispondere.

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