40/2015. Pane quotidiano

GRANDI FAUCI PER PICCOLE PREDE 

Amico Frank,

Ti prego di scusarmi se ti scrivo solo ora. Prima di risponderti, ho sentito la necessità di riflettere a fondo sulle lettere di Timothy e Calix e anche sull’amicizia tra Calix e Jedidiah, a dir poco straordinaria.

Non mi chiedo come ha fatto un ragazzino povero del quartiere malfamato della città, così chiamato sinistro, a evadere e diventare amico di un sedicenne ricco del quartiere levante, di Calix per l’appunto. Mi chiedo perché non ce ne siano stati molti altri, e più documentati. Ogni volta che ripenso a Jedidiah, così come riporta Calix a Timothy «… ricoperto di luridi stracci, immerso tra i rifiuti alla disperata ricerca di cibo…», penso che la filantropia dell’uomo non possa essere annichilita integralmente dall’avarizia. Ma questo è un pensiero troppo universale ed io non posso applicare un metodo deduttivo alla mia ricerca storica. Devo attenermi ai fatti. E i fatti mi raccontano di quest’orribile atrocità, commessa quasi cent’anni fa, che prevede la spartizione di ogni singola città in due parti, due quartieri per l’appunto, ma che di fatto quartieri non sono, sono ghetti casomai. Com’è possibile che i più abbienti sprechino cibo, organizzino eventi vani e mondani, si lascino insomma sedurre dalle frivolezze della vita, mentre lasciano morire di fame, oltre un recinto a pochi passi da loro, più di sei milioni di persone, i loro concittadini, i loro connazionali?

Come storico sento il diritto e il dovere di citare questa storia, ma come uomo ne sento solo il dovere. Non solo Calix può risanare il senso di colpa che oggigiorno questa nazione può sentire sulle proprie spalle, ma infonde prima di tutto speranza: rinvigorisce la fiducia di noi uomini per gli eventi che verranno. Oggi infatti, abbiamo sconfitto il fardello che ci opprimeva, la fame nel mondo è vinta. Purtroppo c’è un’altra fame che è più difficile da spegnere e soffocare. Se mai – inorridisco- dovessimo ricadere in epoche simili, avendo letto questo mirabile esempio, non di vita, ma di azioni, forse riusciremo a risollevarci. Ti lascio con una lettera di Calix:

«Caro Timothy,

Ieri ero seduto in parte a Jeididiah su una panchina del nostro parco. Faceva caldo e con la palla in mano aspettavo che finisse di mangiare. Mentre gustosamente affondava i denti nel panino che gli avevo portato, notavo che le sue guancie si erano appesantite e il colorito della sua pelle era più roseo, più naturale. Nella mia testa riemergevano i ricordi del nostro primo incontro, del tutto casuale e accidentale. Il mio primo ricordo di lui sono le sue fameliche braccia che annaspano tra i rifiuti della spazzatura, poi lui si accorge di me e di scatto si tira indietro e mi guarda con terrore. Non te lo dissi nell’altra lettera, per timore di essere preso in giro, ma ora lo confesso: in quell’istante ho provato un brivido che mi percorreva la schiena, come mai prima di allora. C’era qualcosa nel suo viso smunto e sporco, nelle sue costole ben visibili sotto  i vestiti stracciati, nel suo sguardo impaurito e nervoso che ancora oggi mi provoca incubi. A volte vorrei non averlo mai incontrato. Vorrei vivere ancora nell’ignoranza, sbeffeggiarmi con i nostri amici come al solito di persone pigre e misere come lui. Jedidiah mi ha detto come si vive dall’altra parte del recinto e ancora adesso mi manca il fiato, mi trema la mano al solo ripensarci. Perché il governo permette o meglio decide queste cose? Perché ci inganna? Non vorrei raccontarti queste cose, non vorrei nemmeno saperle, doverci fare i conti, ma è doveroso conoscere e fare qualcosa per provare a cambiare. Non so come dire ai miei genitori che ho trovato un sinistro. Quando torni, ti prego, devi aiutarmi. Finora ho gestito abbastanza bene la situazione, ma ho bisogno di te.

Un caro saluto, Calix.»

Pensando a quell’epoca, da tempo mi ronza nella mente un’idea: l’antropofagia. Non si tratta solo di una fetta di popolazione che pativa e moriva di fame, ma dell’altra che ha sentito un altro tipo di fame: la fame di potenza, di soldi, di gloria. Questa, come l’altra necessaria e naturale, non si spegnerà mai nell’animo di ogni uomo. Ma solo quello più egoista, furbo e ignorante non sarà in grado di trattenersi. Qual è l’oggetto che può placare i suoi desideri, il cibo di cui si nutre l’avido animo di questi? Io penso sia il tempo. Il tempo della vita degli altri uomini. Il diamante impareggiabile e più velato del quale questi purtroppo riesce a intravedere il suo valore. Deve sfruttare il suo simile affinché questo gli ceda il proprio tempo, le fatiche del suo lavoro. Il tempo ceduto non prolungherà di certo la vita della persona servita, ma è divenuto per un attimo e nello stesso istante possessore di tante possibilità dell’esistenza, capeggiando più vite oltre alla sua, e da queste ne ha tratto guadagno. È un bel guadagno in effetti, ma bisogna coprirsi gli occhi o voltare il capo di fronte agli effetti di questo meccanismo portato all’esasperazione. Sarebbe bello se l’uomo riuscisse a contenersi, a saziarsi, invece non si contenta mai. Non gli basta credersi padrone degli animali, vuole anche sentirsi superiore agli altri uomini. Per farlo deve ridurre a brandelli il loro animo, masticare la loro dignità, macerare la loro intelligenza, renderli simili più a bestie che a uomini. Solo così dormirà contento la sera, non temendo alcun essere superiore a lui. Come vedi purtroppo alcuni amano la pregiata carne umana, non lo possono negare. Ora però sappiamo come rimediare per fortuna. Quell’epoca buia appartiene al passato, ma bisogna sempre riesumarla per continuare a evitarla.

Spero con questa lettera di non averti rubato troppo tempo e di farmi perdonare per il lungo periodo in cui non hai ricevuto nessuna mia risposta. Mi aspetto varie contestazioni, trovami controesempi e stupiscimi come sai fare con la tua logica, che è di gran lunga superiore alla mia.   Aspetto con ansia una tua risposta. Stammi bene.

I miei più cari saluti.

P.s. solo un’ultima riflessione Frank: avrai  notato che Calix attribuisce ancora la colpa della ghettizzazione al governo.  Non ha ancora capito, ma del resto non può capirlo, che i veri colpevoli sono le persone come suo padre, che hanno escluso gradualmente le persone disagiate dalla loro strada, dai loro quartieri. Il recinto è stato solo l’ultimo atto, non  la condizione di partenza. Chissà se alla fine della guerra l’avrà capito, ma forse non è neanche sopravvissuto. Forse lui e Jedidiah sono rimasti sepolti sotto i cumuli di macerie sbriciolate, mi piace pensarli sempre insieme.

One thought on “40/2015. Pane quotidiano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *