47/2016. Controluce

Sono italiana, nata su suolo italiano da genitori italiani.

Percorrendo all’ indietro il mio albero genealogico è visibile solo un’ autentica discendenza italiana, anzi di più: le mie origini sono principalmente bergamasche.

Italiana al cento per cento.

Forse.

Spesso mi chiedo cosa significa sentirsi italiani.

Se avessi chiesto al mio bisnonno, che ha vissuto il fior dei suoi anni in trincea, mi avrebbe risposto che è l’ essere uniti contro l’ oppressore. Mio padre ha prestato il servizio di leva, presso il diciottesimo reggimento bersaglieri e oggi è attivamente impegnato nell’assemblea comunale. Se domandassi a lui so già cosa mi risponderebbe: sentirsi italiani significa collaborare per garantire sicurezza e una vita dignitosa a tutti i cittadini. Che compito arduo.
Quindi, gli italiani per fondersi nello Stato dovrebbero vivere una condizione di guerra? Solo con le armi e l’odore del sangue in casa riusciremmo a sboccare i cigolanti ingranaggi del nostro sistema?

Sento il disinteresse, l’ indifferenza, la sfiducia, in tutti. Percepisco nitidamente queste sensazioni tanto da gelarmi l’anima fin nelle ossa.

I luoghi comuni insegnano che il governo è ladro, i politici sono corrotti, non si trova lavoro, c’è crisi, gli stranieri rubano, i profughi dovrebbero rimanere a casa loro, la gente fa fatica a tirare a fine mese. Furti, rapine, spacci e aggressioni. Ogni giorno delle persone si mettono nelle mani del mare per giungere qui, in questo Paese che sta diventando sempre più povero e spietato. Ogni giorno delle persone sono costrette a scappare dalla propria patria per cercare la pietà di un popolo che popolo, forse, non è più.

Chi vive in Italia, anche se pronto a parlar male del proprio Paese, sa di avere sempre una Patria e una terra dove poter tornare; per questo non si riesce a comprendere la sofferenza di chi fugge dalle ceneri della propria casa. Se fossi su una barca in fiamme, mi getterei nel mare. In quel frangente il mare rappresenterebbe l’ unica speranza e l’istinto vi si aggrappa con tutte le forze. Se la mia casa non ci fosse più, io non sarei più la stessa, il vuoto mi schiaccerebbe. Mi sentirei tradita, ma, soprattutto, dove andrei a vivere? Quale altro luogo potrà mai essere casa mia?

Sono convinta che bella o brutta, grande o piccola, povera o ricca che sia, nessuno vorrebbe mai abbandonare davvero la terra in cui è nato.

Gli uomini, per costruire, abbattono gli alberi, senza accorgersi di quanto siano simili a noi: hanno rami e fronde che puntano verso il cielo, perchè noi, meravigliosi misteri, siamo fatti per le altezze, e hanno radici profonde per assorbire la vita, perchè ogni uomo è legato ai propri affetti e inserito in una culla che lo accoglie. A volte la culla diventa “stretta” e si sente il bisogno di andare oltre, ma i colori, gli odori e i suoni delle proprie vie resteranno appiccicati addosso.

Una persona senza origini è una persona senza identità, proviamo a chiederlo agli orfani e ascoltiamo ciò che rispondono. Ogni origine lascia in eredità una cultura, una lingua e dei valori. Gli italiani culturalmente dovrebbero essere granitici.

Non ci sono dubbi: tutto inizia dai latini e dall’ Impero romano, e poi il Rinascimento, il Regno d’ Italia e successivamente lo Stato Italiano. E allora tutti hanno iniziato a muoversi come un corpo solo, l’Italia ha mostrato la testa, smettendo di essere territorio di conquista.

Dante, Petrarca, Ariosto. E poi Manzoni.

Con la lingua tutta la nostra creatività ha incominciato a esprimersi nelle sue forme più cangianti, nonostante ogni regione avesse i suoi dialetti, ogni provincia il suo linguaggio, ogni città la sua parlata, ogni paese il suo gergo. Tutti, però, ci riconosciamo in un’ unica e musicale lingua.

In Italia il lavoro è quasi introvabile, poi il lavoro che ti piace spesso non lo trovi e bisogna accontentarsi. Se conosci l’ inglese hai qualche possibilità in più e, se va male, si ha già in mano un biglietto per l’ estero. Ci sono persone a cui non pesa parlare lingue straniere, cambiare città, abbracciare nuove culture, fare nuove esperienze. Mi piace battezzarle: “osei de bosc”. Chi non riesce a stare in un posto troppo a lungo, chi è sempre in viaggio e non si trova mai a casa: “uccel di bosco”.

Piacerebbe anche a me essere così: volare lontano, vedere nuovi mondi, conoscere nuove lingue; ma poi mi rendo conto che, per natura, non lo sono.

Faccio uno sforzo immane quando devo affrontare l’ inglese, anche se poi riesco sempre a cavarmela. È stato proprio questo disagio che mi ha reso più consapevole su una verità: io amo la mia lingua.

Io amo la mia lingua e amo il mio Paese, nonostante tutto, anche se mi riserva quotidiane delusioni e, a volte, si renda odioso.

Forse sono solo un’ ingenua romantica, ma continuo a sperare nei valori umani, perchè esistono nel profondo di ognuno di noi, dobbiamo solo recuperarli.

Sono come il vestito regalato dalla mamma, troppo grande e troppo bello per una bambina che lo indosserebbe senza averne cura: così lo si conserva, aspettando di crescere. Peccato che una volta cresciute ci si dimentica del posto dove da piccole lo abbiamo nascosto, ma il vestito esiste, si tratta solo di ritrovarlo.

Vedo che alcuni lo indossano ancora, altri lo stanno già indossando.

Ci vuole poco per essere popolo.

Cuore, benessere comune, solidarietà, gratitudine, umiltà, pazienza, libertà, onestà, pace.

In una fotografia controluce i soggetti sono tutti neri e vengono messi in risalto dallo sfondo, non sono loro a risaltare per i loro colori.

Vorrei uno stato più controluce: un Paese che metta in risalto i suoi cittadini, tutti indistintamente.

Forse sono solo una sognatrice idealista e quando mi sveglierò tutto si rivelerà un inganno, ma se adesso mi chiedessi: “Perchè ti senti italiana?”, risponderei: “Perchè non mi sentirei me stessa in nessun altro posto.”

25 thoughts on “47/2016. Controluce

  1. Che bellissimo racconto!!!! MI ha fatto davvero tanto emozionare spero sia lei la vincitrice di questo prestigioso concorso se lo meriterebbe proprio.
    Quindi io voto lei.

  2. Ho apprezzato tantissimo questo racconto. Mi sono commossa leggendo queste parole così vere e pesanti sulla nostra Italia. Un buon racconto, oltre ad essere ben scritto, deve trasmettere un’emozione.
    Questo ha centrato entrambi gli obbiettivi. Complimenti.

  3. Bravissima! Sei riuscita a trattare in modo fresco e toccante un tema così importante e allo stesso tempo così trascurato dalla nostra generazione. Complimenti!

  4. Un testo strepitoso, mi hai lasciato senza parole, facendo ragionamenti che non vengono considerati perchè creduti ovvi, ma in realtà non scontati e profondi… mi auguro che tu vinca!!!

  5. Bello mi hai fatto riflettere sul perché anche io mi sento italiana, complimenti spero vinca questo racconto

  6. “In una fotografia controluce i soggetti sono tutti neri e vengono messi in risalto dallo sfondo, non sono loro a risaltare per i loro colori”

    …bellissimo!!! Complimenti!!!

  7. Il modo con il quale vengono descritti i valori umani in cui l’autrice continua a credere: “…Sono come il vestito regalato dalla mamma… il vestito esiste, si tratta solo di ritrovarlo…” e quella frase bellissima, semplice eppure così densa di significato: “Ci vuole poco per essere popolo”, valgono da soli il mio voto incondizionato.
    Tutto il testo rivela una non comune profondità di pensiero unita ad una notevole capacità di scrittura. Brava e grazie per le emozioni che hai suscitato.

  8. Mi e’ molto piaciuto, veramente brava e con una sensibilità’ notevole alla sua età’.Gli argomenti non sono per niente facili da raccontare, ma vengono proposti con tale semplicità’ che ti emoziomano e ti fanno riflettere, continua così’!!!!

  9. Un testo molto toccante, soprattutto per il
    fatto che a scriverlo è una ragazza tanto giovane. Leggendolo mi sono trovata a riflettere su argomenti che spesso sono scontati , ma profondi e reali. Le faccio i miei complimenti perchè non è facile al giorno d’oggi riuscire a colpire e commuovere il lettore con parole così profonde e reali.
    Le auguro di essere la vincitrice.

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