La sentiva tutte le notti. Musica. Cominciava dal fondo di Via delle Rondini, proprio dietro la panchina di legno consunta, e si avvicinava sempre di più, sospinta dal vento, prima di fermarsi sotto il davanzale della signorina Lara. Allora alla dolce melodia si univano le parole. Il giovane romantico restava lì, con la chitarra fra le mani, ad aspettare che la signorina si affacciasse e lo chiamasse per nome, con tutto l’amore che un nome sussurrato alla luna può recare con sé. A volte si udivano i basta dei vicini, qualcuno addirittura minacciava di chiamare la polizia, ma al Professore del terzo piano piaceva rimanere ad ascoltare; era una delle poche cose che gli tenevano compagnia durante la notte.
Perché il Professore non riusciva a dormire.
Strano come al calar del sole affiorino alla mente pensieri, ricordi di una vita, fino a prima sepolti fra le preoccupazioni quotidiane. Al Professore accadeva sempre. Allora se ne stava lì, si girava e rigirava, fra le coperte calde, di lana anche in primavera, e ascoltava. Si era trasferito dalla campagna, dove abitava con la madre, in uno degli appartamenti poco spaziosi del condominio in Via delle Rondini numero tre, solo per sfuggire al silenzio, quel tremendo silenzio che gli incuteva un’angoscia tale da raggelare il sangue nelle vene. Udire i rumori, persino le frasi bisbigliate attorno a lui, lo aiutava a non sentirsi solo e a temere un po’ meno la morte che, tutto sommato, è sinonimo di silenzio.
Aveva scelto di insegnare per vivere tra le parole, quelle fuggenti degli alunni e quelle eterne dei poeti, perché nella letteratura non esiste il silenzio. Lì puoi sempre vivere.
Il condominio del Professore non muore mai, nemmeno la notte. Ed ogni notte il Professore ascolta. Il primo a turbare la quiete, dopo il giovane chitarrista, è sempre il bambino del piano di sopra. Il padre fa l’operaio, esce di casa verso le undici e rientra al sorgere del sole. Il Professore può benissimo percepirne i movimenti. Strascica i piedi sul pavimento di legno, il passo pesante, le membra indolenzite. Tutte le volte le stesse frasi “Buonanotte amore mio”, un momento di silenzio, forse un bacio alla moglie, così impercettibile, ma così intenso. Poi l’uomo si trascina verso la culla, sussurra qualcosa al piccolo e fa per andarsene. Immancabilmente il neonato scoppia in lacrime. I passi del padre si fanno più decisi, torna verso la culla e ridendo esclama “Torno presto campione!”. Allora il bambino si calma e basta la voce del genitore a farlo scivolare nel sonno più profondo. Quando il padre esce dall’appartamento, chiudendo la porta con delicatezza, il Professore tende le orecchie. Tic tic. Coglie il suono frettoloso dei passi sulle scale, si alza. Vorrebbe aprire la porta, sorridere a quel padre tanto buono, ma cosa potrebbe dire a un povero operaio nel cuore della notte, senza apparire inopportuno? Sa che le parole morirebbero sull’uscio e si limiterebbe forse ad uno sguardo compassionevole, totalmente inadeguato. Allora ritorna al calduccio fra le coperte e riprende l’ascolto.
All’improvviso, il fischio del treno. Il treno si porta via gli operai e qualche vagabondo che canta barcollando per la strada. Il Professore ama sentire quel fischio, le urla del capostazione, il frastuono dei motori, forse perché, di notte, il treno è l’unica cosa che si muove, l’unica cosa viva.
In carrozza sale sempre anche il Matto del secondo piano. Possiede una valigia rossa ricoperta di nastro adesivo che si porta dovunque. Tutte le sere, in giacca e cravatta, esce di casa sorridendo, senza proferire parola, per poi rientrare dopo qualche ora, sempre armato di bagaglio. Nessuno, almeno da quanto il Professore ricordi, ha mai scoperto dove si rechi e cosa contenga la valigia. I bambini lo guardano con gli occhi spalancati quando passeggia disinvolto per la via, spaventati ma allo stesso tempo affascinati. Si chiedono quali meraviglie nasconda lì dentro, quali oggetti strabilianti; qualcuno addirittura è convinto che sia in realtà una macchina per il teletrasporto. Gli adulti non si pongono domande: osservano l’uomo con aria di superiorità, altezzosi, la fronte accigliata. Quando si accorgono dello sguardo incantato dei figli afferrano loro la mano e li trascinano via con violenza. Li esortano poi a non prestare attenzione a un matto perdigiorno con una valigia vuota. Ma a nulla valgono le parole dei genitori. Per i bambini, che la valigia sia vuota, è una cosa assolutamente inconcepibile.
Il Professore non ha mai parlato con il Matto. Se ne accorge alle ore undici del trenta aprile quando estrae i temi dalla valigetta e impugna la penna verde per correggere (non utilizza mai il rosso perché gli sembra in qualche modo di “sporcare” la carta, come sangue su un abito bianco). Osserva il titolo “L’incontro di Dante con Beatrice”. Allora si chiede cosa sia un incontro. In effetti, medita fra sé e sé, io sono solo. Gli inquilini di Via delle Rondini numero tre sono per lui rumori, ombre, voci notturne. In effetti, non ha mai parlato con la signorina Lara o con il suo inguaribile spasimante, né con il padre del piano di sopra. A pensarci bene, non ha mai neanche conversato veramente nemmeno con Margherita, la vedova dai capelli candidi con cui condivide il terzo piano. Si è limitato forse a un “Le serve una mano?” “Tutto bene signora?” o, alla meglio, “Che tempaccio! Speriamo smetta di piovere in fretta”. Si accorge, con una punta di fastidio, di quanto spesso parli ai propri alunni senza pretendere una risposta, o di quanto ami i suoni e le parole, senza nemmeno tentare di apprendere da dove provengano.
–Mamma sei sveglia?– Uno sbadiglio al telefono, un mormorio lontano –Alessandro, sei tu? Non dormi?– –Mamma uno di questi giorni ti vengo a trovare-.
Il Professore assapora il suono tenue, lievemente intorpidito dal sonno, della voce della madre. Le racconta dei rumori notturni di Via delle Rondini numero tre, dei suoi inquilini che ascolta, osserva e non conosce. Forse domani prenderà il treno con il Matto. Forse berrà il tè con Margherita, darà un bacio al bambino del quarto piano o forse, magari più avanti, potrà cantare accanto al musicista per la signorina Lara. E quando la signorina si affaccerà dal davanzale, chiamerà anche il Professore per nome.
Solo una, una canzone. Solo una, una parola. Una preghiera sotto le coperte grondanti calore e Alessandro si addormenta. Fuori, nient’altro che musica.