FC/2015. Il sapore della morte

Serse è in piedi, le gambe tremanti, il busto dritto e la testa alta, come a mascherare il tremendo senso di nausea e ribrezzo che la pervade interamente come un brivido gelato che immobilizza, toglie il respiro.

Lo sguardo penetrante, assai singolare nei vispi occhi a mandorla fissi a terra, inchiodati sul corpo dell’uomo che giace, privo di vita, ai suoi piedi.

La osservo cautamente, di nascosto e, involontariamente, rimango colpito da quell’espressione ambiguamente giovanile e matura al contempo, incorniciata dalle lunghe trecce brune che oscillano, scodinzolano, mosse dal lieve venticello proveniente dalla finestra aperta alle sue spalle.

Sembra sussurrarci qualcosa, in un fischiettio del tutto simile ad un lamento funebre. Per finire, le gravi note dell’organo dalla sala degli ospiti contribuiscono a dare all’atmosfera circostante una sfumatura di grigio, che tende irrimediabilmente al nero col farsi vicino della sera.

All’improvviso, la mia infallibile collega decide di agire, ponendo fine ai miei pensieri, che vanno scemando, dissolvendosi nell’aria.  –I parenti.” -esclama con fare deciso. –“Il 90% dei delitti avvengono in famiglia.”- ribadisce convinta. Non mi oppongo, non oserei mai farlo.

Dunque faccio marcia indietro e mi reco in cucina alla ricerca di qualche poveretto da interrogare.

Nel frattempo, Serse, Max e Lucio, aiutati dai medici, caricano il cadavere sull’ambulanza, giunta troppo tardi. La morte è stata imminente: veloce come una saetta, violenta e brutale come il mare in burrasca. Eppure, come testimonia la figlia, tutto sembrava andare per il meglio: in famiglia regnava la pace, gli affari , direi, a gonfie vele, il figlio maggiore sul punto di prendere moglie….Insomma: i Marple non erano mai stati più felici. Poi, questa stessa mattina, la figura contratta e quasi violacea del vecchio dottor Noris, il suo gemito, analogo a quello di un bimbo che vede per la prima volta la luce, solo un po’ più flebile, tanto impercettibile all’orecchio umano quanto chiaro e piacevole a quello sadico ed eterno della morte. L’hanno trovato a terra, tramortito, appena fuori dall’orto, ancora con in mano il rastrello. Dopo aver ascoltato con estrema attenzione la testimonianza della signorina Alda, primogenita del dottore, mi reco in cucina, al piano inferiore, nel disperato tentativo di strappare qualche informazione alla cuoca, mettendo un po’ di chiarezza sulle tante informazioni raccolte. Mentre mi accingo a scendere piano le scale nel tentativo di non fare rumore, comincio a tormentarmi riguardo il movente di quello che ai miei occhi, o meglio, a quelli di Serse, appare  ben altro che una morte naturale. Nonostante l’ormai matura età, infatti, il signor Noris godeva di un’ottima saluta e di un’intelligenza ancora brillante, tanto da fare, ogni tanto, ancora qualche visita privata. Certo, era ricco, ma non una ricchezza smodata. Gran parte dei soldi finivano in opere caritatevoli e, come se non bastasse, nel testamento da lui firmato giusto un anno prima affermava di voler spartire equamente le sue ricchezze fra i tre figli, non trascurando nemmeno la cuoca ed il maggiordomo, cui era tanto grato. Che i figli non fossero d’accordo con questa decisione tanto singolare? Che volessero essere gli unici eredi del patrimonio paterno? Dato il loro rapporto di affetto e sincera amicizia verso i due governanti, quest’ipotesi appare assurda, ma, durante le indagini, nulla va dato per impossibile. In cucina, l’ispettore Serse mi ha preceduto, nella sua irrimediabile tendenza a colpevolizzare i domestici, proprio come nei film. Le lancio un’occhiata di disapprovazione, mentre mi accomodo al tavolo, invitato dalla cuoca che ci offre gentilmente due tazze di cioccolata fumante. Ci avrei giurato: in un attimo, Serse la manda giù, poi sorride, soddisfatta, golosa come una bambina. Già, sembra ieri che giocavamo agli chefs nella casa di campagna del mio vecchio zio materno, felici e spensierati nel nostro mondo di favole. Allora, lei era tutt’altro che la rigida ed intollerabile poliziotta di oggi, anzi, era una bambina buona, spontanea e generosa, sempre con le labbra sottili tirate in un dolce ed ammaliante sorriso. Solo due cose conserva della sua fanciullezza: gli occhi brillanti e le trecce coi fiocchetti azzurri. All’età di 29 anni, non sa ancora rinunciare a questa bizzarra pettinatura, tenendola stretta a sé come un tesoro prezioso, a riflettere quelle parti dell’animo che nemmeno il tempo e l’esperienza sono riusciti a scalfire.

All’epoca, sognavamo di divenire cuochi sopraffini, ma non cuochi qualunque, dei veri e propri stregoni, in grado di preparare erbe miracolose per i malati e minestre letali per i malvagi. Ad alimentare questa nostra passione era lo zio stesso, anch’egli appassionato di cucina, grazie al quale sperimentammo numerose ricette ed imparammo numerose nozioni su sostanze alimentari particolari quali il potassio e il sodio che, assunte in quantità eccessive, risultano mortali. Dopo queste considerazioni, la cioccolata che, fino a poco fa, mi aveva fatto venire l’acquolina in bocca, ora mi appare disgustosa, come avvelenata. Ma certo: Serse deve sospettare proprio questo, che sia stata la cuoca ad avvelenare il dottore?!

Decidiamo di passare l’intera serata in sua compagnia, studiando ogni suo movimento, interpretando ogni singola parola e, inutile negarlo, non potendo fare a meno di trovare in lei una donna onesta, sensibile e deliziosa, proprio come la sua cioccolata.

Il giorno seguente Serse, da esperta caporeparto, mi manda a casa di intimi amici della vittima affinché ne ricavi qualche precisa informazione circa la vita del dottore. Vengo così a sapere che questi, nel vano sogno di divenire un chimico di successo, passava parecchie ore chiuso nel suo studio ad intraprendere esperimenti riguardanti la materia organica e le sue alterazioni. –“Pare ormai chiaro quale sia la pista da seguire. ”-mi dice la mia superiore, appena venuta a conoscenza della notizia. –“Mi perdoni, signorina, non sono certo di avere inteso.”- ribatto, stupendomi subito di averle dato del lei. –“Come Thomas? Ovvio, il cibo!! Da piccolo te ne intendevi, eh, di ricette e veleni!”- Poi, leggendo l’espressione sconvolta e assai buffa del mio volto, sorride, strizza l’occhio, con una leggera sfumatura di ironica confidenza e complicità. Un istante dopo il suo volto ritorna severo, la postura eretta, composta: scrolla le spalle, gira la testa ed esce a passi ampi e decisi dalla stanza, mentre le trecce dondolano armonicamente, alzandosi lievi nell’aria per poi ricadere con delicatezza sulla schiena.  Rassicurato e confortato da quell’insolito gesto di umanità, torno a fare il mio lavoro, al meglio che posso, come sempre.

È ormai passata una settimana, gli eventi sono precipitati: in breve, individueremo il colpevole. Dai risultati dell’autopsia, infatti, sappiamo con certezza che l’assassino ha avvelenato la vittima con una bevanda contenete una dose di cloruro di potassio tale da condurlo ala morte.

È ,quest’ultimo, un sale usato per compensare la diminuzione di ioni di potassio K+ nei liquidi corporei. Tuttavia, se iniettato in quantità troppo elevate, è letale, in quanto causa un tale eccesso di  ioni K+ che provoca l’arresto cardiaco. È proprio questo il metodo che viene utilizzato in alcuni paesi in cui vige la pena di morte.

Tornando a noi, gli unici ad essere a conoscenza del laboratorio sono il maggiordomo, la cuoca e Eddie, il migliore amico.  –“Una reazione chimica esplosiva ed estremamente dannosa per l’ambiente….uhm, sembra interessante. Il vecchio dottore aveva davvero scoperto qualcosa di grosso, per il quale valesse la pena di porlo a tacere.” -Silenzio assoluto. –“Ora- riprende Serse- chi potrebbe aver avuto interesse nel farlo?” Prende fiato, e intanto ci osserva con quegli occhi da rapace, fingendo di attendere una nostra risposta. Poi, ripresa la parola, ci espone una serie di ragionamenti che, infallibili, ci portano come d’abitudine alla risoluzione del caso. –“Dunque, la cuoca ed il maggiordomo avrebbero tratto solo beneficio dal successo di Noris. Eddie no. Era sempre stato in competizione con lui, sin da quando si erano conosciuti all’università di medicina. Occorre una prova per incastrarlo.”- “Resta il fatto che i due domestici dovevano per forza essere complici, se no lo avrebbero denunciato già da un pezzo. Ma a quale scopo?”-Serse mi lancia un’occhiata fulminea, l’ho interrotta, lei odia essere interrotta. –“Lo scopriremo.”- mi risponde offesa. “Puoi occupartene personalmente, visto che la questione ti affascina.”- Sorrido malignamente, e accetto la sfida.

Il mattino seguente, mi reco con Max ed altri due colleghi a pranzo dal dottor Eddie. Sotto mia grande insistenza, ci sono tutti: i parenti, gli amici più cari e, ovviamente, i famosi domestici. Solo Serse manca, è troppo orgogliosa per assaporare  platealmente il gusto amaro della sconfitta. Non c’è dubbio, riuscirò ad incastrarlo.  Per una volta, la vita ha deciso di assecondarmi: non faccio in tempo a terminare la ricostruzione dei fatti che la cuoca scoppia in lacrime. L’avevo detto, in fondo non è poi così malvagia. Poi, sotto mia sollecitazione, anche il maggiordomo conferma di aver partecipato al delitto in cambio di un’ingente ricompensa. Ancora una volta, la teatralità del mio mestiere si fa sentire, facendomi credere di vivere dentro il film di Shcerlok Holmes: dall’ingresso, ecco arrivare i poliziotti, ammanettare Eddie e i complici e condurli in auto tra il brusio generale. Ce l’ho fatta, ancora non riesco a crederci. In un lampo, scendo le scale e mi dirigo verso l’uscita, il volto compiaciuto di chi è al settimo cielo. All’improvviso, un’inaspettata visione mi fa trasalire: Serse è in piedi, di fronte a me, le gambe tremanti, il busto dritto e la testa alta. Mi sta aspettando. –“Ho vinto!”-sussurro in un soffio, ancora ansimando per l’emozione. –“Tu credi, eh? E, sentiamo, come avresti fatto a portarli in caserma senza una scorta? Sarebbero benissimo potuti scappare. Senza il mio aiuto non li avresti mai presi.”- Confuso, la guardo con un fare di ammirazione, è incredibile come riesca sempre ad avere ragione. Però è vero, non ci avevo pensato, come sempre, ho reagito d’impulso. –“Allora siamo pari.-“ ribatto, mentre un’espressione divertita mi si dipinge sulle labbra.  Abbasso gli occhi, quasi imbarazzato e, quando li rialzo, una felicità nuova mi coglie tutto d’un colpo: questa volta, anche Serse sorride.

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