Genere: narrativo
Quando ho saputo che avrei dovuto parlare di viaggi, mi è subito venuto in mente il racconto incredibile di una ragazza che ho incontrato qualche anno fa in vacanza. Si chiamava Flora e aveva la mia stessa età, ma al contrario mio era estremamente estroversa, vivace, originale ma non eccentrica; era un vero piacere stare con lei, perché riusciva sempre a scuotermi dal mio torpore e a coinvolgermi in attività di ogni genere, purché ci impedissero di stare ferme a poltrire. Prima di allora non avevo mai conosciuto qualcuno così socievole e pieno di vita, ed è per questo che mi stupii quando iniziò a raccontarmi che fino a poco tempo prima non aveva nessun amico e perciò se ne stava sempre rintanata in casa. Non sapeva esattamente il perché, ma nel paese in cui abitava non era mai riuscita ad andare veramente d’accordo con nessuno , e a scuola non andava molto meglio. Lei attribuiva la colpa al fatto che dalle sue parti, un paesino sperduto della provincia, la gente era un po’ sempliciotta e dalla mentalità chiusa; i suoi non erano di lì, e lei come loro era fatta di un’altra pasta. Persino il suo nome era diverso da tutti gli altri (cosa che non avevano mancato di farle notare). D’altra parte non poteva nemmeno escludere che la colpa fosse della timidezza e della propria natura un po’ introversa; così aveva più volte provato ad integrarsi, a mettere da parte le insicurezze e buttarsi nella mischia, ma ogni tentativo era fallito e dopo tante delusioni aveva deciso che forse era meglio gettare la spugna e rimanere da sola. Da allora la sua vita era diventata ancora più monotona: sempre chiusa in casa, l’unico posto dove si sentiva veramente apprezzata per ciò che era, non usciva mai se non per andare a scuola. Ogni giorno usciva di casa sperando che qualcosa di straordinario sarebbe accaduto e avrebbe dato una svolta alla sua vita; ma quando tornava alla fine della giornata niente era cambiato. Un giorno però, quel fatidico giorno, le cose erano destinate ad andare diversamente. La sveglia non era suonata, perciò era in tremendo ritardo; saltò la colazione, si vestì in fretta e furia con le prime cose che trovò nell’armadio, e quando finalmente mise lo zaino in spalla e guardò l’orologio <<le 7.00! Se mi sbrigo posso limitare i danni!>> pensò. Corse più che poté per riuscire a prendere il pullman delle 7.05, l’ultimo con il quale avrebbe avuto ancora qualche speranza di arrivare in tempo (il successivo sarebbe passato solo mezz’ora dopo), ma quando arrivò alla fermata la trovò deserta, il che la fece supporre che ormai un clamoroso ritardo fosse inevitabile. Dopo pochi minuti passati a disperarsi, però, come una visione da dietro l’angolo spuntò un pullman e di nuovo pensò di essere scampata alla catastrofe. Iniziò a sbracciarsi, per essere sicura che l’autista la facesse salire, ma quando il mezzo si fermò, dove avrebbe dovuto essere indicata la destinazione lesse la scritta “everywhere”. In inglese non era mai stata molto ferrata, ma era sicura del significato di quella parola (o comunque sapeva che non era il nome di una destinazione, certamente non della propria); dunque quando le porte si aprirono, un po’ confusa chiese al conducente: “Mi scusi, dove va questo pullman?”. Al che quello, un uomo sulla cinquantina, con magnifici occhi verdi, capelli nero corvino ed il pizzetto (insolitamente attraente per essere un autista di pullman!) con un sorrisetto beffardo stampato in volto le disse “Dico, ma non sai leggere?”. Non abituata a quanto c’era di più simile ad un tono amichevole, le sembrò che quello sconosciuto stesse cercando di farle tirare fuori un’intraprendenza che sapeva essere sepolta da qualche parte dentro di lei, e che in qualche modo la spinse a replicare: “Beh, mi perdoni… Sarà perché stamattina ho avuto un risveglio piuttosto frenetico e forse sono ancora un po’ stordita ma… Everywhere non mi dice molto! Cioè, so cosa significa ma…” “Allora non c’è niente da capire! Ovunque tu voglia andare, purché abbia le idee chiare, sali a bordo, non esitare: il tuo desiderio puoi far avverare! Semplice no?”. A quel punto Flora spalancò gli occhi: non poteva credere che fosse tutto vero! Se era un sogno voleva svegliarsi subito, perché sapeva che più fosse andato avanti, maggiore sarebbe stata la delusione al risveglio. Così decise di togliersi ogni dubbio alla vecchia maniera, e non se ne pentì (o quasi!): “Ahioooooo! Mannaggia, che botta!” “Tutto bene?” chiese l’affascinante conducente, con una voce mista di stupore, allarmismo e un pizzico di divertimento; Flora annuì, strofinandosi la mano sulla guancia arrossata dal colpo, e poi disse: “Quindi mi stai dicendo che questo pullman è in grado di portarmi in qualunque luogo la mia mente riesca a concepire? Nessun limite?” “L’hai sentita la filastrocca: ovunque. A Parigi, come nel bosco di Biancaneve, in un castello sulle nuvole, sulla luna, oppure nella fabbrica di cioccolato… Se conosci la tua destinazione, stai pur certa che questa carretta è in grado di fartela raggiungere. Attenta però: qui nessuno trova la propria strada, la percorre e basta; perciò prima di salire devi essere certa di sapere dove vuoi andare. Lo sai?”. Stava finalmente accadendo, il fatto straordinario che stava aspettando da tutta una vita, la svolta. Era una decisione importante quella che le si prospettava e non era certa di avere la risposta alla domanda che le era stata posta; ma il tempo stringeva, e se c’era una cosa che sapeva con certezza era che non poteva permettersi di sprecare una simile occasione, che probabilmente non le sarebbe ricapitata mai più. Così, dopo qualche istante di esitazione, annuì e l’autista le si rivolse entusiasta: “Allora forza, monta!”.
Appena salita, Flora capì che con ogni probabilità quella non sarebbe stata la prima sorpresa che quella giornata le avrebbe serbato. Infatti, all’interno il pullman era decisamente molto più grande di quanto non sembrasse visto dall’esterno; ed era gremito di gente impegnata in rumorose conversazioni, in partite a carte che sembravano durare da un bel po’ e che con buone probabilità sarebbero proseguite per altrettanto tempo, e c’era persino un gruppetto di persone che cantava riunito intorno ad un ragazzo che suonava la chitarra. La curiosità avrebbe indotta la mia amica a seguire il frastuono ed unirsi a quella che aveva tutta l’aria di essere una festa in piena regola; ma un po’ perché sentiva di non essere mai stata brava a fare nuove amicizie, un po’ perché era sempre stata abituata a sedere da sola sul pullman, era decisa ad occupare il primo posto davanti. Non fece però in tempo ad appoggiare lo zaino, che udì un grido levarsi dal fondo del mezzo: “Ehi tu! Che fai lì tutta sola? Pare che il viaggio sarà lungo… Non ti va di venire qui a fare due chiacchiere?” si voltò e vide che quella voce apparteneva ad una donna un po’ paffuta ma dai tratti delicati, che la fissava con un dolce sorriso che la faceva assomigliare ad una bambola di pezza. Era la spinta che le serviva: si rimise lo zaino in spalla, e percorse tutto il lungo corridoio che conduceva agli ultimi posti. Dapprima si sentì un po’ a disagio, e dopo pochi minuti si stava già pentendo di quel suo colpo di testa; iniziò dunque a pensare che potesse essere tutto quanto un errore, tutto quel viaggio assurdo, e che se avesse spiegato educatamente le proprie ragioni sarebbe stata ancora in tempo per andarsene, senza che nessuno sentisse la sua mancanza. Era giusto sul punto di alzarsi, quando l’autobus fece la sua prima fermata, e allora guardò fuori dal finestrino e rimase a bocca aperta: rimase strabiliata di fronte allo spettacolo di una collina, che sembrava uscita da un libro di fiabe, da cui si scorgeva appena fare capolino il rossiccio sole dell’alba. Mentre nessuno dei presenti sembrava minimante interessato a ciò che le si stava parando davanti agli occhi, quasi fosse cosa di tutti i giorni, Flora non riuscì a contenere un “Oooh” di stupore, che attirò l’attenzione di un uomo alto ma gracilino, dal viso simpatico (probabilmente per via di un nasone pronunciato, e degli occhietti vispi che lo facevano assomigliare tanto ad un folletto!). Tommy, così si faceva chiamare, disse “Se questo ti stupisce, aspetta di vedere dove scendo io: rimarrai a bocca aperta!” “Il solito esagerato!” intervenne la donna paffutella “Che ci sarà mai di tanto entusiasmante sul pianeta di Star Trek…?!” “È Star Wars! C’è una bella differenza! E poi non è di un pianeta che stiamo parlando, ma di un’intera galassia, lontana dalla nostra…! Tu lo fai apposta Mimì, te l’avrò detto un milione di volte!”. Tommy pareva alquanto indispettito, ma probabilmente chi lo conosceva bene sapeva che non era una situazione a cui dare troppo peso, tant’è vero che tutti coloro che stavano assistendo alla scena si misero a ridere. A quel punto, mentre Flora stava ancora cercando di capire cosa stesse succedendo e dove quel suo viaggio si sarebbe concluso, a turno tutti cominciarono a parlare dì sé (chi erano, da dove venivano e soprattutto dove stavano andando); e nel frattempo, di tanto in tanto l’autobus continuava a fermarsi, mostrando panorami che andavano al di là di ogni immaginazione. Fu allora che la mia amica conobbe più persone che in tutta la sua vita, e dopo solo poche ore aveva ascoltato i 10 motivi per cui il genere fantascientifico domina sugli altri, giocato un paio di partite a carte e persino intonato qualche canzone. Per la prima volta sentiva di trovarsi esattamente dove doveva stare, e avrebbe voluto che quel giorno non finisse mai; ma purtroppo a poco a poco l’autobus cominciò a svuotarsi, Tommy e Mimì ad un certo punto furono costretti a salutarla, e quando anche l’ultimo passeggero fu sceso, Flora avvertì che era arrivato il momento della verità. Nonostante tutto quello che era successo, non le era ancora venuto in mente una valida destinazione, e quindi era curiosa di sapere dove il pullman avrebbe sostato per l’ultima volta. Chissà, magari la risposta era riposta da qualche parte in fondo al suo cuore, e quel magico mezzo era in grado di carpirgliela. Ripercorse nuovamente il lungo corridoio e raggiunse l’affascinante conducente, che abbozzò quel suo solito sorriso spavaldo e le disse “Dunque ci siamo, eh? Un nuovo inizio… Sei pronta?” Flora preferì non rispondere. Intanto la luce fuori dai finestrini si faceva sempre più abbagliante; quando il pullman iniziò a rallentare era addirittura impossibile scorgere qualcosa dell’esterno. Finalmente si fermarono. L’autista si voltò verso la sua ultima passeggera, che aveva gli occhi quasi completamente chiusi, abbagliata dalla luce, e disse “Siamo arrivati”; in quel momento le porte si spalancarono, la luce raggiunse la sua massima intensità, Flora chiuse gli occhi e quando li riaprì…
Si trovò esattamente al punto di partenza, nella pensilina deserta di quel paese inospitale. Flora era confusa: “Come…? Di nuovo qui? Perché?” “Tu hai mentito, ma d’altronde l’ho fatto anch’io!” rispose il conducente; “Io proprio non riesco a capire…” “Tu hai mentito dicendomi che sapevi con certezza la tua destinazione, e io ti ho mento dicendoti che non avresti trovato la tua strada, che nessuno la trova mai! Siamo stati bravi direi… Tu che dici?” “Dico che tutto questo non ha senso! Io… Io tutt’ora non ho idea di quale sia la mia strada, non mi pare proprio di averla trovata! E perché sono di nuovo qui? Credevo che questo trabiccolo fosse in grado di leggere i desideri e di avverarli… Io ne ho tanti: uno qualsiasi sarebbe andato bene!” non riusciva proprio ad accettare che alla fine quell’incredibile viaggio si fosse rivelato inutile; era quasi più deludente che risvegliarsi da un sogno. Allora il conducente si alzò, si sedette sui gradini dell’entrata, la guardò negli occhi e le sorrise, ma stavolta si trattava di un sorriso diverso, tenero e comprensivo: “Questo trabiccolo, come lo chiami tu, ti ha letto nel cuore e ti ha portato dovevi volevi”; lo sguardo di Flora fu attraversato da una nuova ondata di perplessità e allora proseguì “Quando sei partita, ti saresti accontentata di qualunque luogo purché lontano da una realtà per te tanto dolorosa; ma lungo il tragitto, seppure per poco tempo hai potuto vivere una vita che prima non avevi nemmeno sognato. E ad un tratto, senza nemmeno accorgertene, hai trovato la tua destinazione: la gente che hai conosciuto, i luoghi che hai visto… E hai una vita intera per raggiungerla!”. Le ci volle ancora qualche istante per elaborare tutto quanto le era stato detto, ma finalmente Flora capì che era vero: poco prima che il pullman si fermasse, quando credeva che la sua vita stava per cambiare per sempre, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era proprio quanto le dispiaceva non aver avuto il tempo di visitare tutti quegli splendidi luoghi che era riuscita solo ad intravedere, e di conoscere meglio quelle persone eccezionali che erano riuscite a darle così tanto in così poco tempo. Guardando la sua espressione cambiare, l’autista capì che il suo lavoro era concluso, e prima ancora che la mia amica potesse ringraziarlo, disse: “Hai tutta una vita: il mondo ti aspetta!”. Così detto, tornò alla guida, le porte si chiusero e il pullman sparì all’orizzonte. Quando Flora guardò l’orologio erano di nuovo le 7.05 di mattina; questa volta l’autobus (quello giusto!) passò in orario, e il ritardo fu evitato. Lei però da quel giorno non fu più la stessa.
Non ho mai capito se si fosse inventata tutta la storia di sana pianta, o se come rare volte capita le fosse realmente stata fatta la grazia di un miracolo… Sta di fatto che adesso, tutte le volte che sono in ritardo, sto bene attenta ai pullman che vedo arrivare!