29. Pensieri, emozioni, ricordi

Genere: narrativo

La porta di casa sbatté dietro di me. Me l’ero chiusa dietro con forza per sottolineare la rabbia che provavo. Non sopportavo di restare in casa, tra quelle solite identiche quattro mura che in quel momento sentivo così strette addosso; preferii, invece, uscire per farmi un giro per il paese che ogni giorno mutava nei suoi particolari e le cui viste dai punti strategici non erano mai uguali a se stesse. In preda alle emozioni sentivo rimbombare nella mia testa le frasi del litigio e iniziai a camminare a passo di marcia senza nemmeno guardare la direzione. Dopo pochi minuti il mio corpo, ormai non più così giovane né tantomeno allenato, iniziava a lamentarsi del passo forzato e mi imponeva di rallentare. In quel momento mi accorsi che mi ero avviata per le stradine che conducevano alla parte alta del paese. Proseguii per le scalinate che portavano sempre più in alto con andatura sempre più lenta anche a causa del sole estivo che mi imperlava la fronte di sudore e mi affaticava le membra. Ringraziai di aver indossato un vestito quella mattina che mi permetteva di non soffrire troppo il caldo e di aver portato con me un elastico per raccogliere i capelli che da sempre portavo piuttosto lunghi. Man mano che procedevo sentivo le emozioni turbolente abbandonarmi, rimpiazzate da pensieri più tranquilli. Iniziavo a riflettere con maggiore lucidità su quello che era successo: in fin dei conti la questione era davvero di poco conto e io, nervosa per aver dormito male, ero subito scattata come una molla pronta a sfogare tutto il mio disagio interiore. In ogni caso quella passeggiata mi stava facendo bene. L’odore della salsedine arrivava dal mare riempiendomi la testa con il suo profumo che, per me, sapeva così tanto di estate. La luce donava una colorazione aranciata a tutto il paesaggio. Il mare, quando lo scorgevo, scintillava brillante riflettendo i raggi del sole. Tutte quelle sensazioni accompagnavano il mio viaggio senza una meta precisa rendendolo, però, sempre più piacevole. Finita la scalinata, mi ritrovai nella piazza centrale, dalla quale partiva un vicoletto in salita. Decisi di imboccarlo e davanti a me vidi una ragazza e un ragazzo di circa sedici e diciotto anni. Camminavano tenendosi per mano in silenzio, lentamente. Sembravano non essersi minimamente accorti della mia presenza. Procedemmo così, insieme, io sempre alcuni passi dietro di loro. La loro vista sembrava far affiorare in me un ricordo lontano, un ricordo che restava lì, al limite della coscienza, troppo difficile da afferrare. Nel tentativo di recuperarlo smisi del tutto di pensare al litigio, dimenticando addirittura ciò che l’aveva scatenato o le parole che fino a poco prima mi tormentavano alimentando la mia rabbia. Intanto la ragazza iniziò a parlare del programma per la giornata: sarebbero andati al supermercato a comprare il pane e il prosciutto per i panini, poi avrebbero pranzato in spiaggia e la sera, dopo aver fatto almeno due bagni, sarebbero andati a mangiare fuori, al ristorante cinese, che a loro piaceva tanto. Ogni tanto chiedeva al suo fidanzato se gli andasse bene e lui le rispondeva con poche parole o con gesti affermativi. Sebbene non fosse prodigo di parole, i suoi sguardi parlavano per lui: i sentimenti che esprimevano, di felicità e amore, bastavano come risposte molto più di lunghi discorsi. Mi fermai un attimo, appoggiandomi contro il muro per riprendere un po’ il fiato. Io, invece, cosa volevo fare quel giorno? Fin dove volevo arrivare? Insieme a mio marito, di solito, era così facile decidere un programma. Noi ci capivamo così bene che bastava poco per decidere qualcosa che andasse bene ad entrambi. Anche lui era solito rispondere solo con un cenno, ma guardandomi come se fossi la donna migliore che avesse mai visto, proprio come stava facendo quel ragazzo. Ora, però, ero da sola e la tristezza non tardò ad insinuarsi nel mio cuore. Poco più avanti anche i due innamorati si fermarono, proprio dove il vicolo svoltava verso destra. Probabilmente convinti di non essere più nel mio campo visivo, li osservai scambiarsi un dolce bacio e poi ridere con le teste ancora vicine prima di riprendere a camminare. Vedere un amore così giovane e così bello fece nascere nel mio cuore una certa gioia, la stessa che si prova vedendo quanto la natura possa essere meravigliosa con i suoi colori. Proseguii per la stradina incontrando nuovamente i due ragazzi, ora seduti a riposare. Lei si lamentava un po’ dei sandali, gli unici che si abbinavano bene al bel vestitino verde che indossava, e che ora le facevano male. Lui, premuroso, la invitava a toglierseli e a lasciarsi massaggiare i piedi. In quel momento provai la sensazione di dejà vu, ma sparì in fretta. Quando passai accanto a loro, non si voltarono a guardarmi né si spostarono per lasciarmi passare. Li scusai, immaginando fossero troppo presi dal loro amore. Proseguii oltre, ripensando alla mia giovinezza. Anche io avevo avuto una storia felice come sembrava la loro. Alla loro età anche io avevo passato un breve periodo dell’estate con il mio fidanzato, il ragazzo che crescendo avrei sposato e che ora avevo appena lasciato a casa dopo avergli urlato contro. Mi sentii un po’ in colpa, ma decisi di non turbare la gioia che mi procurava il ricordare tempi lontani con le faccende presenti. Erano passati moltissimi anni da quei caldi giorni di luglio che avevamo passato insieme proprio in questo paese dove io trascorrevo tutte le vacanze. Poiché abitavamo in due città lontane, era venuto a trovarmi con il treno e aveva alloggiato per 10 giorni in una pensione vicino a casa mia. Erano stati momenti incantevoli, eravamo andati in moltissimi posti diversi così da non annoiarci mai. Un giorno, eravamo andati al mare a Mentone, in Francia; un altro, a mangiare fuori in un ristorantino sulla spiaggia, un altro ancora l’avevamo passato facendo il bagno per ore e giocando con le onde. Molte mattine le trascorrevamo passeggiando e a me, dopo poco, facevano sempre male i piedi, soprattutto quando indossavo i sandali… Il flusso dei miei ricordi si interruppe bruscamente e la sensazione tipica del dejà vu tornò dirompente. Ripensandoci, fin da quando avevo incontrato la giovane coppietta, mi sembrava di star rivivendo qualcosa di familiare. Per evitare che la mia mente divagasse, mi concentrai sul ricordo di quelle scarpe abbinate al vestito che avevo fatto comprare a mia mamma al mercato, dopo che il mio fidanzato mi aveva detto che mi sarebbe stato sicuramente d’incanto. L’avevo indossato proprio una mattina per arrivare con lui fino al punto più alto del paese, ma avevamo rinunciato perché non ci importava davvero in quale luogo saremmo andati, l’importante era stare insieme, mano nella mano, perché nell’altro c’era la nostra meta. La verità di quella situazione mi colpì in tutta la sua semplicità e assurdità. Prima non avevo visto altro che i miei ricordi, proiettati nel presente. Sapevo che era un’idea totalmente folle, ma più ripensavo ai due giovani, più mi rendevo conto delle somiglianze lampanti con il passato, ma anche delle differenze con l’attuale realtà. Da quando avevo iniziato a smettere di passare ogni secondo in compagnia di mio marito per fare queste passeggiate da sola con le mie emozioni negative? Girai i tacchi e ripercorsi tutta la strada a ritroso. Dovevo tornare indietro al più presto. Dovevo tornare da lui e chiedergli di perdonarmi, in nome di quell’amore che ci univa da così tanti anni. Mi accorsi che stavo immaginando ancora quel momento del passato, e la me stessa giovane, questa volta, quando passai vicino a lei, mi sorrise. Quella parte di me non era mai scomparsa, quella che non voleva scegliere da sola, quella che non voleva viaggiare senza il migliore dei compagni al proprio fianco. Ora, con la parola “scusa” sulle labbra, dovevo solo tornare casa. Lì era dove volevo davvero arrivare.

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