79. Raggio di sole

Genere: fantastico

Un raggio di sole illumina la stanza. Il buio regna, contrastato solo da quel debole soldato solitario. Manca poco. Ecco che l’ultima tapparella viene abbassata, chiusa l’ultima finestra. Tutto è stato preparato, nulla è veramente pronto. Nessuno è veramente pronto. Nemmeno Lucia. Soprattutto non Lucia. Ma la partenza è inevitabile.

Sfratto. Quante cose dietro ad una singola parola! Paura, frustrazione, smarrimento. Soldi. Il dio denaro, incostante, volubile, imprevedibile. Il mondo ruota attorno a questo tutto, o piuttosto a questo nulla. Crudele ed insensato criterio di valutazione, mostro dei peggiori incubi, oggetto dei desideri più reconditi ed inappagabili.
Poco tempo era passato da quel giorno semplicemente infausto in cui era arrivato l’ordine di sfratto. Sembrava fosse stato il demonio in persona ad averlo recapitato.

Solo un anno prima il padre di Lucia era morto. La malattia era stata devastante, e lo aveva divorato giorno dopo giorno, una tortura paragonabile alla punizione di Prometeo. E così Lucia aveva perso il padre, Selene l’amato marito.
Selene era stata licenziata poco dopo la morte di Riccardo. La sartoria dove lavorava aveva risentito della crisi economica al punto da esser costretta a ridurre il personale. La crisi aveva mietuto vittime su vittime. E Selene, una delle tante, era stata falciata, capro espiatorio dell’assurdo crollo di un sistema illogico. Una come altri, ma diversa dagli altri. O forse no.

Selene, mentre chiude definitivamente la casa, ripensa all’ultimo anno trascorso. Oh, quante sofferenze! Oh, quanti sacrifici! Oh, quante crisi di pianto! Ed anche ora scoppia. Pianto dirotto, incontenibile, straziante. Lacrime di dolore, sconforto, paura. Anzi, vero terrore. Il peggior incubo, che l’ha angosciata nelle ultime settimane, prende corpo, diventa più concreto che mai.
E Lucia? Lucia non sa. Beata ignoranza. “Sapere è soffrire”, dopotutto. Selene la vuol tenere all’oscuro di tutto: non pensa possa permettersi di soffrire ancora. È di salute molto cagionevole, debole, fragile, non autosufficiente. Ha bisogno di costante aiuto, e pare sempre cercarlo. “Come un fiore appena sbocciato, s’abbandona mollemente sul fragile stelo, pronto a concedere le sue fragranze alla prim’aria che gli aliti punto d’intorno”.
Lucia pensa debbano andare in vacanza. Una strana vacanza, però. Insomma, niente spiaggia, niente lago, niente casetta di montagna. Nulla di tutto ciò. Solo una nuova casa. Per giunta più piccola. Assurdo. Semplicemente assurdo.
Ma Lucia ha imparato a non farsi troppe domande. Crede sia inutile. Troppe cose le sono capitate. Troppe cose dovrebbe capire, e superare. Ma non tutto è possibile. Il delirio di onnipotenza è perlomeno deleterio, e lei in un certo qual modo se ne rende conto.
Ovvio, trova strana la sua situazione. Non ingiusta, ma perlomeno strana, non consueta, se così vogliamo dire.
Sarebbe illogico ritenere ingiusta una condizione fisica. Come del resto assurdo adirarsi contro il destino fino ad odiarlo. Certo, tutto probabilmente è privo di senso. Ogni persona nasce per volere-o perlomeno agire-altrui, vive per…vivere, e muore per un fatto fisiologico. Nemmeno la vita ci appartiene. Nemmeno su di essa possiamo agire in modo tale da attuare totalmente la nostra volontà. Ma che senso avrebbe odiare il destino? Forse è, in parte, una sorta di ragionamento logico. Ma, d’altronde, il destino non ha volontà. Forse bisognerebbe lasciar che ogni cosa si sviluppi, perché la si possa comprendere. Nel malato spesso subentra un contorto, psicotico e paradossale senso di colpa. Qualche volta capita infatti che un malato si ritenga responsabile della propria condizione. Cosa non vera. Nei casi più disperati, il malato pensa perfino di meritarsela. Può sembrare assurdo, ma agli occhi del malato tutto il mondo, o meglio il suo mondo cambia. Ciò che sembra una pastiglia innocua diventa strumento di salvezza per alcuni, funesto simbolo della propria innata e maledetta debolezza per altri. Sembra normale, e forse lo è. Ma la logica scompare quando il dolore sfocia in irrazionalità.
Delirio di onnipotenza e delirio da dolore. Superbia e disprezzo nei proprio confronti. Psicologie agli opposti, ma non poi così diverse.

Lucia riflette su queste ed altre cose nell’allontanarsi da casa.
Casa. Cosa rappresenta per ciascuno di noi? Una prigione da cui fuggire, una tana in cui nascondersi dalle burrasche della vita all’esterno della propria nicchia. Costrizione e sollievo, luogo di crescita di virtù come di vizi.
La macchina parte e la casa si allontana sempre più.
<<Addio casa.  “A noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura”>> sussurra Lucia. Sembra aver capito tutto, ora, ma non si oppone. Ricorda alcune letture, e finalmente capisce il significato di quelle semplici parole misteriose. Come può opporsi? E perché dovrebbe? È candida, pura, debole ma infinitamente buona. Si fida della madre. Non è ingenua, ma non ha motivo di dubitare delle buone intenzioni della donna.

Arrivano. La madre scarica i bagagli, e Lucia si rende subito conto del fatto che non si riesca ad orientare in quel nuovo ambiente. Lucia non avrebbe dovuto spostarsi. Per una persona come lei un trasferimento può risultare deleterio, e nel suo caso lo è. Ora non sa di preciso dove si trovi, non può camminare liberamente in casa propria. Come potrà attraversare le stanze senza sbattere la testa? Impossibile.
Perché, vi state chiedendo? Semplice: Lucia è cieca.

Subito bussano alla porta-la casa è talmente fatiscente da non aver nemmeno un campanello-. Selene apre. Ad aver bussato è un uomo basso, tarchiato, formale ma, a ben guardare, rozzo. Denti rotti, pochi capelli mal pettinati, occhi quasi grigi. Un grigio spento, ma non  triste. Nelle pupille una scintilla d’un rosso acceso, rosso fuoco. Un uomo dall’aria demoniaca, come il postino a cui tanto assomiglia. Entra senza tanti complimenti e sbatte una valigetta, anch’essa grigia, sul tavolo della zona giorno (se tale si può chiamare la stanza che avrebbe dovuto fungere da anticamera, sala e cucina). La apre. Tanti fogli. La richiude, se ne va sbattendo la porta, senza dire una parola.
Selene la riapre e quasi grida di gioia quando si accorge di cosa ci sia dentro. Pensava fossero solo carte per l’affitto di quel buco nel quale erano entrate, invece ora trova ben altre carte. Certificano il possesso di ville, castelli, palazzi colossali. Nulla dice a Lucia. Poco ci rimette a rifare i bagagli, rimettere Lucia in macchine e chiudere il tugurio. Lascia le chiavi sullo zerbino e riparte, diretta alla prima villa.

Arrivano. Selene esce e vede all’esterno tre persone. Una coppia, forse marito e moglie, prendono le chiavi da un uomo che dà le spalle a Selene. La donna poco capisce, ma riparte diretta alla seconda villa. La scena non cambia. Altra coppia, altro venditore.

Castelli imponenti, ville lussuose, bungalow enormi. Sempre la stessa coppia, sempre lo stesso venditore. Eccezion fatta per un castello ed una villa. Lì rispettivamente due ragazzi e due ragazze non ottengono dal venditore le chiavi. Lui è schifato, Selene grida all’ingiustizia. Non perché gli vengano sottratte tutte quelle case, sia ben chiaro. Trova umanamente ingiusto il comportamento del venditore nei confronti dei quattro. Qualunque persona con una sfera emotiva un pochino più grande di quella di un bradipo sarebbe d’accordo con lei.
Selene, quindi, riparte. Raggiunge l’ultima villa. Qui capisce chi sia il misterioso venditore: è l’uomo della valigetta. Chiede spiegazioni, ma lui tace, e sorride. Un sorriso malefico, pieno di malvagità.
Lei torna a casa. La trova chiusa, con le luci accese. Altri la stanno già abitando. Piange, si dispera. Torna alla prima casa. Solo qui gli viene aperto. Un benefattore le ha pagato l’affitto per un anno. Lucia  torna in camera sua. Ora può. Un raggio di sole le riga il viso. Tutto sembra essersi risolto. Ma bussano alla porta. È il venditore “della malora, venuto a chiedere il conto”…

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2 thoughts on “79. Raggio di sole

  1. Racconto molto bello e ben scritto.
    Affronta temi attuali come la crisi, e delicati come la disabilità, pur essendo di genere fantastico.
    Il modo descrittivo è chiaro, sintetico e di facile lettura.
    Molto bravo l’autore.

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