(Racconto dove ogni parola ha
verso ma non direzione)
Ho provato a mandarti un messaggio ma: qualcosa è andate è andato storto: si è forse perduto.
Io non so scrivere, me lo ripeti da anni, dando il primo premio al più scontato (legge, in fondo, di mercato), ma Tu, mio caro lettore, non sai leggere, se non leggére lettere, o frammenti di lotterie date in pasto al tritacarta. Lettera aperta a un circuito chiuso: la poesia non muta nulla.
Che poi tanto chi se ne importa se la luna è viva e la vita è corta?
Natura matrigna, licet, ma allora Luna sorella che ti porta la pappa in camera se sei in castigo. Tutto in un rigo e dimmi: che non Ti basta.
Se ho il battito corto: non sono morto, aspetta a dire che ero bravo, e dimenticari che esisto. Ugualmente la parola: se parlo vuol dire che sto morendo, e mentre casco nel pozzo la Luna si fa più vicina. Sempre più vicina (ma non meno distante).
Non parlo per enigmi, né per contante, parlo per chi ha voglia e tempo di rileggere; e per una volta, in sincerità: non corro per vincere, ma per fuggire: non scrivo per vincere, scrivo per dire.
E il messaggio si è perso nel cielo terso, nella voglia di ascoltare i τοποι: fammi leggere qualcosa che so già.
Vuoi sapere una cosa? In principio era il verbo (v. del V. “amare” – dolci parole – ) e Dio, il barba, era pazzo, parlava da solo. Babele? Ognuno si faceva i cazzi suoi, pàrlai e rispondii, nella lingua che preferisci, anche quella dei muti se ci riesci. Dire, fare, scopare, lettera e testamento: l’eredità di un momento; quanto me lo paghi un solo minuto in più, ah, giudice? Finché arrivi esausto con l’unica consapevolezza: chi non sei e cosa non vuoi.
Non ò capito un’h: certo, dici, è muta: un sorso socratico di cicuta ed è finita: se non lo dico esplodo: godo se capisci che non vi va a nuoto nella poesia. Solo: ci si affoga, o ci si cammina sopra e allora sei bravo.
Ti ho inviato un messaggio forse troppo pesante per il genere pensante, il messaggio racconta se stesso, il suo disastrato percorso, voleva arrivare in tempo per un certo concorso. L’ha incontrato chi non lo capiva e non l’ha certo rincorso, sai che sforzo. E col fiato mozzo dalla fatica si è portato in un vicolo cieco, ma non si è fermato: dama dixit: Ti scrivo sempre, anche quando non mi leggi, affatto affranto, e tanto basta.
Un grumo di nuvole ha detto di averlo scorto, mezzo sepolto, al largo di un porto, in un lago d’inchiostro, nuotava tra la critica e l’indifferenza del ratiocigno (animale terribile!). Il messaggio ha poi incontrato un ponte su cui viaggiava il sentimento del tempo, gli ha chiesto indicazioni e gli ha risposto con versi incomprensibili.
Allora il messaggio che Ti ho inviato si è lasciato trasportare da i fiumi, e si è scialacquato nell’Arno.
Lì l’anno scorso l’hanno perso di vista: andava verso est.
Ti ho inviato un messaggio di poche parole, prole che non duole né muore, e con in mano il cuore: non chiedermi la parola, perché un brivido, dal vento dell’ovest vale molto, molto di più.
Caro lettore lascia le carte, esci in terrazzo e guarda il cielo, piangi, se Ti va.
Dai un abbraccio a qualcuno, dai un senso a queste parole che Ti dicono (fra parentesi) che la realtà, se si vede, non esiste. Non fiutare false piste: odi.
Taci: dai spazio alla parola che componga da ogni lato: chi e perché.
Poi, col Tuo segreto tra la lente d’occhiale e il cristallino, fatti più vicino: eccoTi. Sei nudo con questa parola. Lascia stare il concorso. Lascia stare tutto…
Non lasciare che la parola si perda, ma lascia che trovi la strada per trovarTi.
HO PROVATO A MANDARTI UN MESSAGGIO
E se tarda a venirTi incontro si è forse persa in un doppio senso, è inciampata in un errore di grammatica, su un metro scazonte. Ma in fondo si capisce comunque.
Ché, caro lettore, non di sole parole vive lo scrittore.
Ti ho inviato un messaggio: l’hai trovato?
Mi piace un sacco, è bellissimo!