Gli alberi fioriscono di nuovo, dopo mesi di morte, il mare mormora ancora. Ahmed Maher affonda i piedi nella sabbia umida e come sempre va avanti, procede verso l’alba. La luce gli accende gli occhi, gli fa avvampare l’anima, rende i suoi sogni concreti, trasforma stimoli cerebrali in simboli. Ecco che si creano: non sono più concetti astratti, sono significati, sono speranze, sono parole.
Lei sta a miglia di distanza, al buio, una coperta sopra la testa, il mare ce l’ha solo negli occhi. L’alba nemmeno l’ha guardata, la luce che accende la sua anima è lo schermo di un telefono. Chissà cosa nasconde il mondo dietro la tapparella di quella stanza; troppo giovane per riuscire a pensarci, troppo spaventata per poter sognare di guardare oltre. E’ felice così però, o così crede, mentre sorride e risponde ai messaggi che al loro arrivo fanno tremare da tutta la notte il suo cuscino, e non solo.
Anche Ahmed sorride, ora che con il computer riesce a condividere le sue parole con milioni di egiziani rivoluzionari quanto lui. Ha trovato il coraggio guardando le onde marine, che non temono di infrangersi su quella stessa spiaggia tutte le mattine, davanti ai suoi occhi e a quelli del sole nascente. Ora non può più avere paura di un regime: ha tra le mani un’arma invincibile, e sa di avere il dono per valorizzarne il potenziale. Impugnando un carattere dopo l’altro inizia la sua battaglia, accende la scintilla del cambiamento e si abbandona al suo ideale di libertà.
Tuttavia che ne sa lei di Ahmed? Ignara delle vite altrui, ha come primo obiettivo quello di conoscere se stessa, di capire il valore della sua libertà. La ama così tanto, il suo più grande terrore è abbandonarsi alle parole di questo Giovanni, e perderla. Ha paura: ogni volta che gli dona una sillaba le sembra di privarsi di un pezzo di se stessa. Un’altra notte è passata e un’altra parte di lei si è infranta, come le onde sugli scogli di quel bel paesino dove trascorre le vacanze.
Giovanni è attaccato alla realtà come alla sua moto: le poche parole da lui spese sono chiare e incisive a sufficienza, si spiegano da sole. Lei ha pesato le sillabe di G insieme alle conseguenze che avrebbero determinato. E’ impaurita, e getta via con un rifiuto il dono che poteva renderla felice.
Ahmed invece il suo dono l’ha utilizzato egregiamente, e quegli stolti che avevano sottovalutato la sua arma sono costretti a vedersi sconfitti, leggendo ora il nome di quel ragazzo sui giornali. La fiamma della rivoluzione, ormai, arde nei cuori dei giovani che, logorati dalle costrizioni a loro imposte, si riversano in piazza Tahrir come un torrente in piena. Le parole di un giovane sono diventate il sentimento di un popolo intero, un insieme di lettere incollate dall’ingegno ha già consentito a Maher di sconfiggere l’eternità del silenzio.
Anche a distanza di secoli “la fama corre su rapide ali”, sebbene cambi voce. Ora segue le correnti del progresso. Così le parole dei giornalisti e le grida di speranze celate troppo a lungo si distribuiscono in tutto il mondo grazie alle televisioni, alle radio e ai socialnetwork.
Finalmente anche la ragazza si sente parte della storia, e più che mai protagonista della sua vita. Prende coraggio e decide di rimettersi in gioco, reputando facile ritirare parole già pronunciate per sostituirle con nuove frasi e nuovi significati. Forse sbaglia.
Ahmed crede di non dover più combattere. Forse pure lui sbaglia.
“Tutto deve cambiare perchè non cambi niente”, diceva uno scrittore europeo che, fino a quel momento il giovane egiziano non aveva mai capito davvero fino in fondo.
Ora ritrovava il suo paese di nuovo in trappola, e da creatore era diventato vittima delle sue parole, che si erano dimostrate una vera e propria arma a doppio taglio.
A governare era un regime militare, di nuovo.
Lei è disperata, sola sotto le stelle, in una casa piena di gente e vuota allo stesso tempo. Se solo avesse capito in tempo che parola è sinonimo di responsabilità! Si sente così vuota e stupida, adesso che guarda Giovanni consumare la sua vendetta, sdraiato sul prato con quell’altra: vorrebbe solamente avere davanti un bel libro di poesie, usare la parola come conforto e con la propria esperienza dare un senso ai silenzi.
“E il passato cos’è? Solo lettere disperse nel vento?”
Ahmed già pensa di essere il ricordo di se stesso. Troppe illusioni infrante, troppi dolori patiti per nulla dal suo popolo e dalla sua persona: troppi erano stati uccisi in quella piazza. Aveva intravisto in ogni goccia di sangue dei suoi compatrioti una sillaba delle proprie parole, quelle che avevano aggregato una nazione e che erano state capaci di spingerlo a volare tanto in alto da farlo precipitare così violentemente nella terribile realtà.
Si trova ora davanti al dolore, i pensieri sono spenti, le labbra serrate; non può più nemmeno pensare di riempire l’abisso dell’anima con un suono.
Non ci sono parole adatte a quel presente, e sembrano scomparse per il futuro.
Incredibilmente Giovanni è tornato, insieme all’estate. In lei la scintilla della speranza si è riaccesa, ma la stessa insensata paura di sempre l’ha pervasa e la assale come un’onda.
Grazie ai messaggi, però, la notte è più luminosa; lei la passa sdraiata sul terrazzo, quando tutti dormono e non sanno quello che si perdono.
Lei cerca la luna e il significato delle stelle, lui con le sue parole quasi le permette di raggiungerle.
Si sentono più vicini ora, agli estremi della Penisola, di quando sono nella stessa città. Il sentimento si stringe intorno a lei, come l’abbraccio che tanto sogna di ottenere appena lo vedrà e finalmente gli aprirà il cuore.
Si ritrova sulla sua bicicletta, in discesa verso la città, alla luce delle stelle e dei lampioni di una strada deserta. “Ecco cosa si prova a vivere un film”, pensa. Si tratta di quella sensazione inesprimibile, che libera la mente dai pensieri, che ruba al fiato le parole, che intrecciata con l’insicurezza illude di poter esserci per sempre, di essere invincibile: lei si sente viva per la prima volta, affidandosi unicamente a lui, godendosi il profumo che assocerà per sempre a quel ricordo.
Ahmed, invece, sa di non essere invincibile, ma decide, a suo rischio e pericolo, di non rimanere uno sconfitto. Impugna nuovamente la sua arma, perché “parola è potere di rappresentare il mondo e di rappresentarselo”.
I fiori sono appassiti, le foglie gialle, le onde si allungano più del solito sulla spiaggia.
I rami sono gelati, le foglie diventate parte del terreno, le onde picchiate dal vento.
E’ già passato un anno da quando Ahmed è stato messo a tacere dal nuovo regime militare salito al potere, ma uno così ha preferito il carcere al silenzio della sottomissione.
La Primavera araba è passata, e dopo un anno lei è di nuovo sola.
Ripensa alla rivoluzione, anche a quella che inconsciamente ha vissuto in prima persona grazie a Giovanni: adesso è un’altra, ma si accorge del gelo che l’inverno ha lasciato tra loro, e guardando indietro ha trovato il silenzio. Come distruggere il muro che le sue stesse parole hanno costruito col tempo? Come gridare a uno che non ascolta: “Non ti tradirò mai, sono tornata per restare”?
Così lo aspetta ferma sulla panchina che ha segnato l’inizio di quella storia; una storia che sarebbe dovuta essere un gioco, come tante altre.
Ora intravede in ogni rimpianto una parola pronunciata al momento sbagliato, oppure mai espressa; ritrova ovunque una lettera del loro alfabeto passato.
Lei e Ahmed, espressione dell’intera umanità moderna, mai si incontreranno.
Nonostante le loro ricerche, non riusciranno più a trovare un significato in un mondo in cui troppe parole vuote nascondono brutture che offuscano verità.
Questa globalizzazione della frustrazione delle parole è il Caos del nostro tempo, il ritorno alle origini.
Ecco la città mondiale costruita dal progresso, quella che non conosce il silenzio.
Benvenuti nella Babilonia contemporanea.