Infanzia
In pricincipio fu sabbia, biscotti e sabbia. Cotone, luce e erba. Latte, ciliegie e crostate.
Braccia, labbra, nidi di pelle umana. Calore, libertà.
Narciso in bilico, sereno e imberbe.
L’incontro
Lampo di ghiaccio. Arcaica paura. Solo uno squarcio, “non esistono i mostri” si insegna.
– Si aprirono allora gli occhi di tutti e due e si avvidero che erano nudi –
Lo specchio rigurgita. Scaglie lucenti penetrano il giovane burro. Bollono le ossa, cigolano e ruotano. Bucano le retine.
“Vuoi del tè, cara?”
Appigli cartacei di luccicante perfezione. Raffinate sirene scheletriche gorgogliano nenie. Nessuna corda, nessun marinaio. Pupille seccate dal sole.
E cade. Si tende, si strappa, si aggrappa a un traslucido mondo cartaceo.
La malattia
Arrivò inaspettata.
Freme e zoppica, il grasso, silenzioso si infratta in ogni pertugio. Cresce. Si gonfia. Suda e ghigna.
Odio e disgusto. La pelle si tende. Ossee certezze si inabissano.
Si sono dimenticati i bottoni!
La carne si intoppa, non scivola, stritola.
Ma insomma che sbadatezza!
L’unto si allarga, insostenibile putridume. Nessuno ha pensato ad un cambio costume.
Ma insomma che sbadatezza!
Silenzio. Nessuno ode, nessuno acolta.
Smozzica e morsica, vene tra i denti. Peli sotto alle unghie. Ci si avvicina alla luce, l’insostenibile maschera si assottiglia. Cola la pelle.
Aiuto! Aiuto!
Qualcuno si volta. Maschera di orrore. E il terrore nei loro occhi appaga.
Zucchero e caramello.
Avvizzisce l’orologio. La mela torna acerba, si torna alla sabbia. Ma qualcosa è diverso. Vitrea la luce, bulbi scheggiati, bambole lacerate. Le porte scardinate, finestre incrinate. Cigolano le piante. Deserto.
Legata al seggiolone. Ingozzata.
Aiuto! Aiuto!
Nessuno ode, nessuno ascolta.
– Il serpente era il più astuto di tutti gli animali della campagna, che il Signore Iddio aveva formato –
Ammicca, abbraccia, carpisce. Il grasso. Impasta capelli e narici. Soffoca i pori.
“È così naturale!”
Penetra nelle orecchie.
“Mangia, fa bene!”
Morboso abbraccio zuccherino. Avanza la melma.
Un piccolo sforzo e questa carne verrà scalzata.
Niente bottoni! Che sbadatezza!
L’aria è ferro. Gli appigli aria. Conturbanti praline. Viscidi canditi.
“È buono!”
“Fa bene!”
“È naturale!”
– Il serpente era il più astuto di tutti gli animali –
“Vuoi del tè cara?”
Aiuto! Aiuto!
“È buono!”
“Fa bene!”
“È naturale!”
Miele e prugne. Caleidoscopi calorici scagliati nelle orbite. Cigolano le ossa. Stridono le ossa. Cumuli di ossa fino alla fine del concepibile. Sole sanguigno. E la melma. Avvizziscono i pensieri. Stridule cantilene.
E il volante?
Aiuto! Aiuto!
Chi tiene il volante?
Nessuno ode.
Ma c’è qualcuno?
Fantasmi sguscianti. Sibilano, sfrigolano, evaporano.
“Vuoi del tè cara?”
Lingue di polvere raspano la gola. Un ultimo sforzo, si vedrà la luce. I tendini si sciolgono. Collassano le esili impalcature d’avorio. Il viso è calce.
“È buono!”
“Fa bene!”
Untuosi aliti spingono alla resa. Illusi. Forte il parassita si erge schiumante nel suo esamine involucro.
Praline. Buio.
Il marciume devasta la preziosa materia grigia; colma i freddi incavi. E scende. E pesa. E trasuda umori infetti. E urla. E stride. E graffia. Si gonfia.
Millenarie falangi raspano stonate le corde della vita. Tonda desolazione. Un piccolo sforzo.
– Chiunque non fu trovato scritto nel libro della vita fu gettato nel fuoco –
La morte
Sabbia.