06/2015. Mangiare o morire? Questo è il dilemma

Silenzio totale, non vola una mosca in casa. Proprio così, in casa. Dentro di me invece c’è una guerra, voci infinite si sovrastano. Non capisco nulla: questi mostri hanno preso il controllo, il mio controllo. Non mi lasciano in pace e non riesco a liberarmene.

È ora di cena e sono in casa da sola: le condizioni ideali per restringere, o, ancora meglio, per non mangiare. A cosa serve tanto il cibo? È soltanto segno di debolezza. Io sono forte, io non ne ho bisogno. Mangiare è come sentire la necessità di ingerire qualcosa per combattere uno stato di malessere, di depressione. Io posso farcela da sola. Non mangiare mi dà forza e determinazione.

Mangio sempre meno, restringo sempre più, la bilancia mi comunica un numero sempre più basso, e io? Io mi vedo sempre più grassa. È lo specchio che mente? Ho un ritratto di me che non può corrispondere al numero scritto sulla bilancia. Mi pare impossibile: i miei occhi ci vedono benissimo, la mia impressione deve essere necessariamente corretta. Non resta altro che restringere ancora di più, tanto sono forte: mangiare, ripeto, è per i deboli.

Questa routine può diventare nel giro di poco una consuetudine. Mi accompagna giorno e notte, senza mai lasciarmi sola. La restrizione è ora il mio stile di vita. Momentaneamente come mi sento? Appagata, potente, fiera. Credo di poter vivere senza dover contare sul supporto di nessuno: ho io il controllo su ogni cosa. Tutto ciò conduce però ad un circolo vizioso. Temporaneamente mi sento forte, ma poi? Nel giro di qualche istante tutto svanisce, e la voglia di restringere sempre di più prende il controllo della mia mente. Dimagrire è una dipendenza, da cui è difficile liberarsi.

Vi presento questa mia amica, la mia compagna di vita dell’ultimo periodo. Si chiama Anoressia, dal greco ἀνορεξίαl, ossia ‘mancanza di appetito’. A mio avviso però questo nome non la descrive al meglio: questo essere che si è impossessato del mio corpo, infatti, mi ha soltanto aumentato la fame. Mi fa sognare una buona pizza, mi vuole mettere alla prova, vuole vedere se sono in grado di resisterle. Cosa dovrei fare? Ingozzarmi di cibo, dimostrando di non esser capace di trattenermi, oppure rifiutarlo, mostrando così di avere una forza di volontà indistruttibile? Scelgo senza dubbio la seconda opzione, quella che mi consente di vivere la giornata senza rimorsi, e con mezzo chilogrammo in meno.

Quando inizialmente Anoressia è arrivata nella mia testa, mi sottoponeva a queste tentazioni saltuariamente, ma io non le prestavo troppa attenzione. Con il passare dei giorni questa diventava sempre più insistente, sempre più presente, arrivando nel giro di poco tempo a condizionarmi ogni cosa. D’altronde c’è lei che mi dà forza e mi incoraggia. Di cos’altro potrei aver bisogno?

Non posso però nascondere che mi priva di molte cose: mi suggerisce di allontanarmi dai miei amici perché possono traviarmi e convincermi a cedere alle tentazioni; non mi fa uscire a pranzo con loro, è meglio che io stia in solitudine. Lo ammetto, a volte è parecchio severa, ma come biasimarla? Vuole solo il mio bene, che io raggiunga una sorta di pace dei sensi.

Eppure c’è qualcosa che non va: sento che non sono pienamente soddisfatta dei risultati che raggiungo, che non sono al massimo delle mie possibilità. Qual è la soluzione? Restringere, restringere e ancora restringere.

I giorni passano ed io mi chiudo sempre più in me stessa: porto avanti un’esistenza in un mondo quasi parallelo, nel mondo di Anoressia. Mi estranio, perdo la cognizione di ogni cosa, soffro di dispercezione corporea, vivo assorta nei miei pensieri e nelle mie paranoie.

Mi sveglio la mattina e, quasi istintivamente, il primo luogo in cui mi dirigo è il bagno, non per lavarmi, bensì per precipitarmi sulla bilancia. La mia giornata si articola alternativamente tra bilancia e specchio, due strumenti -oserei dire- vitali per me. Anoressia mi sollecita a svolgere ogni singola azione IN FUNZIONE di lei. Anoressia desidera che io VIVA per lei.

Stop.

Ho utilizzato il verbo vivere, ma non credo sia il più appropriato. Anoressia desidera che io MUOIA per lei. In poco tempo ha preso il controllo di me e ora cerca di fare il possibile per uccidermi, per distruggermi. L’ho capito solo ora, è tardi, ma posso farcela, posso afferrare il coltello della parte del manico, posso riuscire ad annientarla. Voglio che mi venga restituita la libertà che ho perso e che mi è stata sottratta con sottili pressioni psicologiche, voglio tornare ad essere io.

Non so spiegarmi come sia iniziato tutto questo, so solo che mi sta portando alla disintegrazione più totale e che va assolutamente fermato. Sono arrivata a non mangiare, a privarmi della mia energia, del mio carburante. E si tratta di una droga: togliermi la possibilità di non mangiare è come sottrarre la cocaina ad un tossicodipendente.

Solo ora ho capito che per rialzarsi e cominciare la salita, spesso, l’unica cosa davvero utile è toccare il fondo. Solo questo può aiutare a comprendere quanto vale la vita, perché sprecarla? E per cosa? Per provare realizzazione nell’indossare una taglia 32? Vi assicuro che non ne vale la pena.

È una lotta più grande di me, ne sono ben consapevole, ma combattere è l’unica soluzione che esiste per ritornare a vivere. Perché non è pensabile non dormire la notte per i rimorsi riguardo ciò che si è mangiato il giorno prima. Non è possibile sentire la necessità di isolarsi dal mondo, o non poter fare un bagno al mare per il freddo che si prova, perché ormai la pelle e le ossa sono le uniche cose che rimangono. Non è immaginabile vivere in funzione di un’immagine falsa e ingannevole del nostro corpo: non possiamo diventarne schiavi.

Mangiare non è sinonimo di debolezza. Il cibo è l’unica medicina o, per meglio dire, il farmaco salvavita. Mangiare o morire. Questo è il dilemma. Talvolta la malattia si impossessa a tal punto di una persona da spingerla a scegliere la seconda opzione. La voce di Anoressia è così persuasiva e tremendamente convincente. Ma è anche questa una prova. L’unica cosa da fare è prendere in mano la propria vita, assumerne il controllo e respingere questa voce assillante che non fa altro che perseguitarci.

Fin dall’antichità l’uomo era ben conscio del fatto che il cibo fosse il suo bene primario. Non possiamo privarcene per rispondere alle esigenze di una società che impone modelli di estetica improponibili; una società in cui le modelle devono essere assurdamente magre per permettere alle case di moda di risparmiare sui tessuti degli abiti; una società in cui domina l’ideale di ragazze ritenute belle solo per l’autostrada che intercorre tra le loro gambe scheletriche; una società in cui i social network, il principale mezzo di comunicazione, trasmettono un canone estetico per cui ‘MAGRO È BELLO’. Dobbiamo comprendere che non si può basare la propria esistenza sull’obiettivo del raggiungimento di un corpo malato e malnutrito. Non possiamo ridurre a questo la nostra felicità.

Il cibo è vita. Dunque perché vivere con l’ossessione di contare le calorie giornaliere? Di fronte a un invito a cena, ad una croccante pizza, perché rifiutare? Dobbiamo porci l’obiettivo di combattere le nostre paure, altrimenti ne rimarremo sempre vincolati. Si tratta di reagire e l’unico gesto che ci consente di portare la nostra vita in salvo è proprio mangiare.

La gente non può giudicarci per un chilogrammo in più o uno in meno, non è certo quello a renderci persone migliori. Non possiamo assimilare la nostra vita ad un numero, non possiamo vivere in funzione di quel numero. Dobbiamo mirare a riottenere la nostra libertà sul cibo, che non si tratta di controllo ossessivo, ma bensì della possibilità di mangiare senza sensi di colpa.

Silenzio totale, non vola una mosca in casa. Ora però, per la prima volta da parecchio tempo, sono riuscita a zittire i mostri che mi rovinavano l’esistenza, sono riuscita a dominarli e a sconfiggerli.

Ho vinto io. Anoressia non è riuscita ad avere la meglio. Ora posso finalmente vivere.

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