06/2016. Cosa c’è oltre loro

“Non basta un giorno per raccontare la storia di una vita…”  scrisse su un foglietto stropicciato il regista, non prima di aver ingurgitato un bicchiere di cognac. Era fortunato che il suo tavolo si trovava nella parte più estrema della terrazza del Virtus Hotel delle Alpi: lì il vento da leggero riverbero d’aria diventava una tormenta quasi incessante e il sole colpiva senza sosta, sebbene fosse ormai giunto nel cuore di ottobre.

“Un altro bicchiere, Wilson!” gridò.

Wilson, il cameriere personale, giunse subito, correndo, per adempiere ai suoi compiti.

“Eccomi, signor Iannuzzi. Desidera altro?”

“Chieda alla direzione il conto: sono prossimo a lasciare l’albergo.”

“Certamente, certamente!” rispose lui, senza lasciare la postazione.

Il registra lo guardò con vago disprezzo e disse “Puoi andare.” ma vide che non si muoveva.

“C’è qualche problema?” chiese.

“In realtà, vorrei porre la sua attenzione verso qualcuno.” bisbigliò Wilson.

“Qualcuno?”

“Una donna.”

“Una donna?”

“Si, una donna, poco antistante a lei.”

Iannuzzi si voltò di scatto, ma ne vide ben quattro disposte lungo la terrazza: la prima era di mezz’età, in carne, con abiti lussuosi e una palese carica d’adrenalina che le pervadeva il volto; la seconda, accanto, era anziana, quasi decrepita, appezzata di ridicole cianfrusaglie scadenti, quali un vecchio paio di occhiali, una sciarpa polverosa e un bastone da passeggio; più avanti c’era una ragazza di circa vent’anni, un fiore appena sbocciato, bello ma delicato, la quale era ritirata in disparte, come se nulla di quel mondo le appartenesse, dedita ad osservare i monti e la natura. Infine, vide una signora piuttosto giovane incinta, probabilmente nella fase terminale, nel tentativo di stringere forte la mano del marito, quasi in preda ad una crisi improvvisa, mentre sorreggeva un fazzoletto, con cui si asciugava la fronte e accarezzava la pancia.

“Ti riferisci alla signora anziana, vero?” chiese al cameriere il regista, immerso in un profondo pensiero.

“Perché crede che mi riferisca a lei?”

“Forse perché è l’unica che in questo momento mi ispira qualcosa.”

“In verità, pensavo fosse l’unica che non le dicesse nulla.”

“Non mi dice nulla, è vero. Ma è l’unica che potrebbe dirmi qualcosa.”

Wilson scosse il capo “Non comprendo un simile gioco di parole.”

“Ti invidio, sinceramente.”

“Per che cosa?”

“Per il fatto che non comprendi.” bevve un altro goccio “Alla fin fine non è importante esattamente cosa io vorrei dire o a chi parlerei, perché prima penso inevitabilmente a quale sventurata parlerebbe a me: non potrebbe essere nessuno se non lei.”

“Lei ha paura della gioventù.”

“No, ho solo paura che ci sia altro, dietro le cose. Io mi sono girato e ho visto quattro donne: sono sicuro che ognuna sia un personaggio a sé stante, ma sento che manca qualcosa, non in loro, ma in me. Vedo due mondi diversi ed è così che la società si è formata. C’è un netto divario. Penso e vedo questo: da un lato c’è la vita di un fiore che è sbocciato da tempo e sta continuando ad assolvere i propri doveri; affianco a lui un secco abete, resistente ma prossimo ad essere sradicato; vedo anche una rosa, forse è lì che dovrebbe cadere la mia attenzione, ma non mi sono accorto di come appaio proprio io agli altri. Potrei essere un mostro. Poi c’è un seme pronto ad essere coltivato: quello dovrebbe essere il motivo del sorriso universale, se solo  non pensassi a tutti quelli che ho visto prima di lui e che, uno dopo l’altro, finiremo tutti ad essere l’abete sradicato. Mi vuoi, quindi, privare del piacere di parlare con la signora anziana? Questo cerchio porta lì.”

Wilson prese la bottiglia di alcol che aveva lasciato sul tavolo “Ho capito. Posso portarle altro?”

“Credo di aver bisogno di palare.”

“Si deve riprendere.”

“Sono incredibilmente stanco.”

“La faccio accompagnare nella sua camera da letto.”

“Chiamami la signora anziana, per cortesia.”

Il cameriere chinò il capo ed obbedì. Il regista stette fermo per qualche minuto, osservando il panorama. Aveva passato così tanto tempo in quella stessa posizione che, dopo aver guardato alle sue spalle, era rimasto sconvolto, turbato, a tal punto che non si accorse di nulla quando l’ospite giunse al suo fianco.

“E’ lei il signor Iannuzzi?” domandò, dandogli un leggero colpo sulla spalla.

“Si!” gridò lui, stringendole la mano “Mi scusi, ero sommerso in un pensiero.

“Ora dovrei chiederle perché mi ha chiamato.” ammise lei “Ma prima mi faccia sedere: sono affaticata.”

La fece accomodare e le offrì un bicchiere di liquore. Lei bevve felice, lustrò le lenti degli occhiali e lo fissò alquanto soddisfatta. Iannuzzi non ebbe esitazione nel parlarle.

“Mi dispiace averla disturbata. Stava passando una mattinata tranquilla con sua figlia?”

“Sono qui sola.” rispose seccamente lei “Mi chiami Caterina.”

“Caterina, ho pensato che tu potessi essere l’unica a potermi aiutare.”

“Mi dica tutto.”

Iannuzzi esitò per un momento nel vedere che la sua convinzione non eguagliava quella dell’ospite.

“Sono un regista, ormai decaduto e cerco solo qualcosa che non mi deluda. Dovrebbe essere un film a riportarmi a galla dal vecchio baratro che mi ha avvolto, almeno lo spero. Il motivo di tutta l’esitazione è la mia insoddisfazione è ciò che vedo, Caterina, ovvero il distacco che mi separa dal resto del mondo, un mondo molto più acerbo di me.”

“E questo implica me in che modo?”

“Gira la testa, come ho fatto io, poco fa. Cosa vedi?”

“Vedo una terrazza e diverse persone intente nei propri affari.”

“Cosa c’è oltre loro?”

“Un Hotel.”

“Non parlo da un punto di vista materiale.” sospirò.

“Ho capito cosa intende, signor regista. Il punto è che non vedo cosa ci sia di strano.”

“Non ti chiedi perché ho chiesto di parlare proprio a te?”

Caterina cercò di non vedere una nota di follia oltre gli occhi di Iannuzzi. “So che lei non riesce più ad affermarsi su un pubblico giovane. E’ un uomo frainteso.”

“Tutto qui?”

“C’è altro?”

“Deve esserci: non mi spiego cosa può accadere di così straniante da separare me dagli altri. E’ la mentalità forse? Lo stato? Gli ideali sono cambiati?”

“Il cognac?” domandò lei.

“Il cognac?”

“Beva altro cognac!” fu lei stessa a versarlo ad entrambi e a metterlo nella mano dell’uomo “Penso che lei abbia un serio bisogno di riposarsi ed espellere le energie negative.”

“Non ho intenzione di fare alcun tipo di meditazione.”

“L’alcol non è meditazione… Piuttosto mi dica cosa pensa di fare domani.”

“Domani?”

“Si, è una soluzione.”

“Dove sarebbe la soluzione? Non ti seguo.”

Caterina si spazientì “Le è così difficile rispondere?”

“Domani tornerò a casa, a Firenze, dove credo tornerò alla monotonia che questa vacanza sulle Alpi avrebbe dovuto sgretolare.”

“Non si sente diverso?” parve soddisfatta, al contrario di Iannuzzi.

“No, perché, se traccio un bilancio, il domani è peggio dell’oggi.”

“E questo perché sta accadendo?”

Lui esitò: probabilmente la sua esitazione durò all’incirca dieci secondi, che però riassumevano un’intera collezione di polvere e incertezze. Forse era giunto il momento di fare qualcosa, che non credeva sarebbe mai riuscito a fare.

“Le giro la domanda: cosa c’è oltre loro? Oltre queste persone?” insistette Caterina.

“Come posso rispondere, se ti ho fatto prima la stessa domanda?”

“Sai la risposta.”

“Come puoi sapere tutto? Non ci siamo mai incontrati.”

“E’ così facile! Avrai notato la mia età: tutti passiamo in questa fase della vita. Forse non hai capito perché sei decaduto?”

Iannuzzi parve pensieroso “Forse si.”

“Perché, in fondo, nulla è così diverso dalla realtà dei nostri tempi.” si alzò, pronta ad andarsene “spero di esserti stata di aiuto.”

“Davvero, non so come ringraziarti.”

“Risponditi: Cosa c’è oltre loro?”

Se ne andò definitivamente, ma non tornò seduta. Insieme alle altre tre figure, si diresse verso l’uscita della terrazza. Iannuzzi rimase solo, poiché anche Wilson se ne era andato chissà dove. Per fortuna, non gravitava più un punto interrogativo sulla sua testa.

“Io.” rispose, sbuffando.

 

 

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