07/2016. Italia da una capsula

Un giorno, all’apparenza un normalissimo giorno, io, studente italiano medio, mi stavo preparando per andare a scuola, doccia, jeans e felpa. Alle 7.20, fuori di casa per prendere il pullman, capisco  che non è un giorno come tutti gli altri, il cielo di uno strano colore rossastro, il vento molto forte, pochissime le persone in strada. Eppure non mi preoccupo di quelle strane “avvertenze” e proseguo imperterrito verso la fermata, distante meno di un km da casa.

Man mano che avanzavo e il tempo passava notai che, nonostante fosse mattina, il cielo diventava sempre più buio mentre il sole si faceva più nitido. Noncurante di ciò che stava succedendo intorno a me, proseguii nel mio cammino. In strada non si vedeva più nessuno – ma dov’erano finiti tutti? forse erano tornati a casa, preoccupati dell’atmosfera che ci circondava? -, così pensai anche io di tornare a casa, ma ci avrei messo troppo, perché ero arrivato alla fermata.  Assorto ancora in questi pensieri, notai un punto luminosissimo nel cielo, che, avvicinandosi inesorabilmente, diventava sempre più luminoso e grande. Provai a girarmi  per vedere se c’era qualcuno a cui chiedere aiuto, ma niente, non c’era anima viva; intanto l’oggetto si avvicinava sempre di più e diventava sempre più grande. Restai lì, impassibile davanti a tutto ciò, rimproverandomi di non essere tornato a casa come tutte le persone, ma intanto rimanevo inchiodato al suolo -  il destino mi aveva fatto arrivare a questo punto e li dovevo restare? -  E l’oggetto misterioso continuava ad avvicinarsi ancora, ormai lo vedevo bene, riuscivo a distinguerlo nitidamente. Al suo impatto con la terra, che avvenne poco lontano da me,  fui scaraventato anche io al suolo, se fosse stato possibile l’onda d’urto mi avrebbe sbattuto ancora più in basso.

Spinto dalla curiosità mi feci coraggio e andai a vedere cosa fosse quello strano oggetto: una volta vicino, la prima cosa che vidi era un grande cratere e al suo interno una specie di astronave. Un po’ timoroso mi avvicinai e vidi un essere molto curioso: era un animale a metà tra uomo e tartaruga, nel senso che sulla schiena aveva un grande guscio simile a quello di una tartaruga, anche se stava in posizione eretta. Dopo avermi fatto un cenno col capo, al quale risposi, in un italiano abbastanza corretto mi chiese dove si trovasse: <A Bergamo> risposi io, che gli confermai anche di trovarci in Italia, il Bel Paese.  <Bene! – continuò – Vengo da una galassia lontana, ho l’incarico di esplorare l’Italia, piacere di conoscerti. Vuoi venire con me?>. Restai ammutolito per qualche istante, shockato da quello che avevo appena sentito. Senza pensarci troppo, forse anche inconsciamente,  risposi di sì, lui mi fece salire e si presentò: <Mi chiamo Gilgias>. Poi mi fece vedere l’astronave, era dannatamente grande, grandissima, una grandezza spropositata, poi aprì una porta e disse: <Questa sarà la tua camera>, infine si mise al comando e partimmo. <Partiremo da Nord-Ovest, da Genova, per poi visitare il Sud, poi ti riporterò a Bergamo ed io ritornerò nella mia galassia>.

In meno di due minuti arrivammo a Genova, vedemmo il porto, l’acquario e facemmo un salto a vedere lo splendido paesaggio delle Cinque Terre, poi andammo a Torino a visitare la Mole Antonelliana, il Museo egizio ed anche l’antico palazzo dei Savoia. Poi fu la volta di Milano, dove andammo a fare un giro al duomo e sui navigli – “dalle  Alpi  alle  Piramidi, dal  Manzanarre  al Reno” – . Mi impressionò molto il fatto che di ogni città che visitavamo Gilgias sapesse quasi tutto, per cui gli chiesi come faceva ad avere tutte quelle informazioni.  < Prima di venire qua, i nostri ………. ci hanno preparato al viaggio> disse Gilgias. In effetti non c’era bisogno di spiegargli quasi niente sulle città e la storia italiana perché sapeva già tutto. Da Milano arrivammo a Bergamo, dove fui io a parlargli della storia della nostra amata città; da qui andammo a Venezia: proprio qui, quando entrammo in piazza S. Marco, vidi Gilgias così colpito e tanto entusiasta che gli domandai il motivo di tutto quello stupore. Mi rispose che non aveva mai visto niente di simile;  una città galleggiante sull’acqua, per lui una bellezza unica al mondo e probabilmente anche nell’universo. Fu così tanto stupito che tirò fuori un “occhio” fotografico con cui scattò una foto: <I nostri ………. ci hanno chiesto di fotografare le bellezze più incredibili reperibili in Italia, per cercare di riprodurle nella nostra galassia. Il vostro paese è davvero inimitabile, tanto che sul pianeta da cui provengo i nostri ………. hanno coniato il termine “made in Italy”>. Mentre proseguivamo il nostro viaggio attraverso la bella Italia, passando per Bologna, Firenze ed altre famose città, notai che a Gilgias il nostro paese piaceva sempre più, le nostre bellezze naturali, ma non solo, lo avevano impressionato tanto da lasciarlo a bocca aperta: nonostante si fosse preparato, non pensava che l’Italia potesse essere davvero così  bella. A Roma visitammo tutto ciò che c’era da visitare, dal Colosseo ai Fori imperiali, dal Circo Massimo alla Domus Aurea e tutte le rovine archeologiche che ci ha lasciato l’Impero romano – ma cosa ci fa quell’obelisco egizio al centro della piazza? -. Gilgias sapeva benissimo quanto Roma rispecchiasse in tutto e per tutto l’Italia, per la storia, le tradizioni, i colli, la gente – e chi non conosce come sono fatti ‘sti Romani de Roma?!? -.  Ma nello stesso sapeva anche quanto la città immortale fosse lasciata sola a se stessa e mal governata. Proseguendo il nostro viaggio verso Sud, il mio nuovo amico ed io visitammo le meravigliose coste calabresi e siciliane e facemmo un bagno nell’acqua trasparente e azzurra della Sardegna. In poco meno di un minuto tornammo a Bergamo, esattamente dove l’astronave era atterrata .

<Il viaggio è terminato, grazie dell’accompagnamento> disse Gilgias. <Grazie a te, mi hai fatto riscoprire la bellezza della mia nazione> gli risposi, ci scambiammo i saluti e gli augurai buona fortuna per il ritorno. <Un giorno ti farò visitare la mia terra> continuò subito dopo per poi aggiungere poco prima della partenza: <L’Italia è un paese veramente bello, in cui convivono natura e storia, arte e modernità, dove le tradizioni sono preziose e vive, la gente è cordiale e simpatica>. <E’ vero!> dissi <Spesso critichiamo il nostro paese perché  non  ne comprendiamo appieno la sua bellezza>. Neanche il tempo di finire la frase e Gilgias era partito. Guardai l’orologio: erano solo le 13:30, eppure sembrava passato un tempo infinito, sembrava non essere successo niente di strano, il cielo era azzurro limpido, non una nuvola, e la gente camminava tranquilla.  Ero pronto a tornare a casa, felice dell’ennesima mattinata tutta italiana appena trascorsa.

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