12/2015. La fame di Alberto

La vita è come un cheesburger da McDonald’s: non sai mai cosa ti riserva al suo interno, ma tu spalanchi lo stesso le fauci e, non senza difficoltà, addenti il panino sperando che il futuro abbia riservato per te formaggio e bacon croccante e non squallida insalata insapore accompagnata da cipolla. Ci sono persone, però, che sono alla costante ricerca di quel tanto e atteso utopistico ingrediente, talmente da passare ogni singolo pomeriggio da McDonald’s, anche se a volte muniti di libro e quaderno per ripassare prima della verifica.

Una di queste persone è Alberto.

Se non lo conoscete ancora, Alberto è quel ragazzo paffuto e un po’ in carne, per non dire grasso. Quel ragazzo che, quando il divano in salotto viene sostituito con uno nuovo, si veste di nero, come per celebrare la morte di un caro parente, e rimpiange il duro lavoro che ha fatto per imprimere la forma del suo fondoschiena alla morbida stoffa. La principale attività che pratica Alberto, oltre a giocare alla Xbox, è degustare il cosiddetto “cibo spazzatura”, ossia tutto quello che un lavoratore di McDonald’s o della kebabberia più vicina gli offrono a modico prezzo.

Alberto, quindi, scarta la confezione unta del cheesburger: dapprima coglie l’odore del fritto e del formaggio, poi addenta il panino reggendolo con due mani. Il primo morso è il più suggestivo: coglie il sapore della carne e del ketchup, solo dopo si accorge del bacon croccante, piccante giusto quel pizzico che basta. Infine si accorge del formaggio, dei pomodori e dell’insalata e viene a conoscenza, solo grazie alla vista, della presenza del pane.

Ogni giorno è lo stesso procedimento, anche se reso sempre più rapido dalla mandibola allenata di Alberto. Tutto quello che mangia, però, non si dissolve una volta ingerito: o meglio, i carboidrati assimilati vengono trasformati in calorie che, se in eccedenza, come in questo caso, portano all’obesità o a malattie ancora più gravi.

Di tutto questo Alberto non era a conoscenza e a causa di problemi circolatori dovuti all’assunzione di troppi zuccheri fu ricoverato in ospedale.

Alberto è morto ancor prima di diventare maggiorenne e di poter imprimere la forma del suo fondoschiena anche sul sedile dell’auto. E’ morto per la mancanza di attenzione e di qualcuno che lo guidasse verso un futuro migliore, pieno di autostima e di coraggio. Il coraggio di dire di non all’insegna rosso e gialla e a quello che gli veniva servito;  il coraggio anche di credere in se stesso e capire che non bisogna cedere ai cibi “spazzatura” per raggiungere la felicità di spirito e men che meno di stomaco o per soffocare tra due fette di pane le proprie insicurezze.

Questa storia, però, non è ancora finita perché, in realtà, Alberto è tutte quelle persone che soffrono di malnutrizione: non quelle persone che si guardano alla specchio e maledicono il cameriere che ha servito loro una fetta di torta la sera prima, ma bensì quelli che muoiono di fame travolti dalle conseguenze dell’obesità.

E’ questo il paradosso in cui si trova la civiltà del giorno d’oggi: la gente muore anche per il troppo cibo ingerito, mentre una parte non marginale della popolazione potrà assaporare massimo due o tre pasti prima di abbandonare la vita sotto i morsi della fame.

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