13/2015. Incontro

L’ultimo sorso di un cappuccino zuccherato va assaporato lentamente, con avidità. Diego Lamera accarezza con la lingua quel poco di schiuma morbida rimasta attaccata alle labbra, mentre sfoglia un quotidiano scolorito. Guarda distrattamente l’orologio e scorre mentalmente tutti gli appuntamenti della giornata. Il lavoro. Poi la spesa, la mamma che ha chiamato, l’infermiera, l’affitto da pagare perché l’amministratore non transige.

Per fortuna che il Caffè è un posto tranquillo. Diego si lascia cullare per un istante dal silenzio delle prime ore del mattino, dall’atmosfera pigra, indolente che si respira da quel tavolo accanto alla finestra.

Il rumore della città è solo un eco distante, il fischio di un treno in lontananza, un mondo da cui svanire, almeno per un attimo.

Diego è talmente assorto nei suoi pensieri che non si accorge di aver finito di bere. Tiene la tazza ancora in mano, sul fondo nemmeno una goccia. Nessuno sembra prestargli attenzione; d’altronde è un cliente abituale. Ha ancora dodici minuti prima di attraversare la strada come ogni giorno, salire le scale ed entrare in ufficio. Dodici minuti prima di una routine che è vita o forse solo sopravvivenza, dodici minuti prima di farsi travolgere dal torrente della quotidianità.

Diego Lamera ordina un altro cappuccio.

Dietro al bancone del locale, Adriana fa spillare dalla macchinetta le ultime gocce di caffè. Solleva la tazzina e la appoggia delicatamente sul vassoio, attenta a non versare nulla. Non ha bisogno di istruzioni, sa esattamente dove portare quella tazza. Adriana non sa niente dell’uomo che tutti i giorni siede solo accanto alla finestra se non che lavora dall’altro lato della strada, ordina sempre lo stesso cappuccio e la stessa brioche alla crema e assapora il tutto con un’espressione assorta.

Una cameriera slava da poco arrivata in Italia deve astenersi dal fare domande, a maggior ragione con quel poco di italiano che conosce. Però quell’uomo ha un volto tanto malinconico.

Adriana vorrebbe sedersi lì con lui, ogni tanto, e parlare. Perché avrebbe tante cose da raccontare, a cominciare da quella foto stropicciata che tiene nella tasca destra della felpa. E’ uno scatto uscito male, ma ci sono loro, i bambini. Ci sono loro che la aspettano a casa. Ma casa è lontana.

Un ricordo sfumato, eppure indelebile.

Mentre si dirige verso il tavolo accanto alla finestra, Adriana lascia scorrere sul viso una lacrima invisibile.

 

Diego Lamera solleva lo sguardo dal giornale. La cameriera posa la tazza di caffè. Ha mani molto robuste, un braccialetto di cuoio leggermente consumato legato stretto al polso.

Diego si chiede se l’ha già vista.  Da poco. Lavora lì da qualche settimana, due o tre forse.  E’ straniera, mormora un “prego signore” intimidita. Diego non può fare a meno di notare un’ombra di tristezza sul suo viso pallido.

E’ incuriosito, vorrebbe fare domande ma è tardi per intrattenere conversazioni. Sorseggia il suo caffè rapidamente, rischiando di scottarsi e lascia la mancia alla cameriera.

Il direttore non tollera i ritardatari.

 

Lev amava la cioccolata con la panna e la cannella. Adriana sorride quando vede spuntare da dietro il bancone un biondino paffuto che ordina tutto d’un fiato una cioccolata calda. Di nascosto, così la mamma non si arrabbia perché mangio troppi dolci.

L’uomo malinconico le ha lasciato dei soldi sul tavolo. Adriana pensa a Lev e a Sophie mentre si lascia scivolare quei pochi euro in tasca. Chissà se anche quell’uomo, all’apparenza così solo, ha dei bambini..

Il pensiero la assilla mentre il profumo di cacao le stuzzica le narici. Abbonda con la panna: adora la forma della panna montata, bianche spirali ordinate che sprofondano molli nel colore denso. Bianche come la neve che bagna Kiev a dicembre, bianche come il cappotto di Sophie, come il volto di Lev quando è dovuta partire.

Il desiderio di casa è pungente come la cannella che Adriana spruzza sulle nuvole bianche. Ma desiderio è mancanza e Adriana lo sa. Tornerà a casa e colmerà quel vuoto. Quando sarà tempo.

 

Diego è immerso da carte, fatture, giornali. Aria di sporco, di malato. Pensa ai film americani: gli uffici lindi e immacolati, la scrivania sempre in ordine, il caffè servito rigorosamente dalle segretarie nelle ore di punta.

L’immagine della cameriera triste del Caffè gli balena d’un tratto davanti. Diego si domanda, per la prima volta, se si sente felice. Tutto sommato ha un buon lavoro, una casa comoda, una madre anziana  e premurosa, che chiama tutti i giorni e si preoccupa per lui. Aveva amato, forse. Diego è innamorato, o almeno, lo era stato. Avrebbe voluto figli ma lei se ne era andata, portandosi via in una notte gelida di Gennaio una marea di sogni, di desideri.  Anche Diego ha una storia da raccontare.

Pensa che magari potrebbe raccontarla a quella cameriera. Magari anche lei ha qualcosa da dire. Più tardi, più tardi forse lo farà.

Nel tardo pomeriggio, un pomeriggio tetro e nuvoloso, Adriana chiude la porta del Caffè: ha concluso il suo turno. Nell’uscire si scontra con l’uomo malinconico che lavora dall’altro lato della piazza. Si scusa, arrossisce.

“Posso invitarla a bere un caffè?” Lo guarda incuriosita. Che abbia voglia di parlare? Strano l’aver desiderato lo stesso poco prima.

Accetta. L’uomo ride probabilmente per quel suo buffo accento.

Adriana riapre la porta; le altre cameriere del Caffè la fissano con aria interrogativa. Si siedono al tavolo, davanti alla finestra perché è il tavolo di Diego. Fuori comincia a piovere. Non se ne accorgono.

Lei mostra la fotografia stropicciata custodita avidamente in tasca.

Lui ordina l’ennesimo cappuccino caldo. Però questa volta ne aggiunge uno, e torta al limone per entrambi.

Parole.

Anche se lei in italiano parla poco.

Anche se lui non si confida con qualcuno ormai da anni.

Diversi, ma soli allo stesso modo. E un caffè non è che un pretesto per un incontro.

Non hanno più limiti. Forse ogni limite, alla fine, non è che convenzione.

Adriana sorride.

Diego sorride.

Il profumo di caffè si confonde con la pioggia.

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