14. Infans

Ecco, ecco che arriva quella sensazione di calore. Calore misto a formicolio che risale l’intestino poi lo stomaco, come gli elettroni risalgono un cavo elettrico, di sicuro con la stessa intensità. Il calore è troppo, esplosione; il formicolio pure, impulso. Esplosione e impulso si palesano nel sorriso che Alessandra si aspettava. Un sorriso da occasione speciale: involontario, incontenibile e felice come un sogno. Era proprio ciò che le sembrava: un sogno. La sua bambina, Andrea, così l’aveva chiamata, aveva aperto gli occhi e la guardava. Il suo sguardo era profondo, azzurro, grande, e le comunicava più emozioni di qualsiasi altra cosa al mondo, nell’universo. Nessuna parola, né canzone, né film, né quadro sarebbe stato mai tanto espressivo quanto quel segno di vita e di bellezza, nato dal frutto del suo grembo.

Passavano i giorni e, contandoli, anche i minuti e Andrea ancora non aveva parlato. Era ancora un infante e nella liscia rotondità del suo capo aveva uno sciame foltissimo di pensieri che non riusciva a comunicare, non ancora. Alessandra lo percepiva, se ne era accorta da come la sua bambina osservava le cose, il mondo, lei. C’era stato un momento in cui i loro sguardi si erano incrociati e Alessandra era convinta che Andrea in quel momento avrebbe parlato. Riusciva a vedere la parola “mamma” nel luccichio dei suoi occhi. Il cuore aveva iniziato a batterle con una foga e un’intensità tale da farle girare la testa; la sensazione di udire la parola “mamma” cresceva di secondo in secondo. Tuttavia Andrea emise solo un gemito, un piccolo, significativo, tenero e affettuoso “ma”, o almeno questo era ciò che Alessandra aveva sentito. Andrea non aveva deluso le aspettative, la mamma era felicissima. Il calore saliva a vampate scaldando il viso di Alessandra, che si faceva man mano sempre più rosso. Alessandra allungò le braccia verso Andrea e la strinse prima con le dita, poi con le mani. La leggerezza con cui sollevava quel fagottino avvolto nelle coperte pareva la stessa con cui il vento solleva una foglia da terra. Cinse la mano destra, ancora calda dall’effluvio di emozioni, attorno al capo di Andrea e l’appoggiò al seno, cullando la sua bambina. In quel momento erano una cosa sola, indivisibile, silenziosa.

Senza parole, attraverso il contatto comunicavano la vita l’una all’altra.

Ancora nel silenzio Alessandra ripose la figlia nel lettino e uscì dalla stanza.

Andrea rimase a fissare il vuoto ancora per qualche minuto. Poi le cadde lo sguardo oltre la finestra e osservò un fiore di una magnolia che con movimenti sconnessi e disordinati si agitava, attaccato saldamente al ramo. Andrea si perse in quell’immagine. L’aveva già vista qualche volta, ma non l’aveva mai osservata. Andrea si stava facendo delle domande. Stava iniziando ad assaggiare il mondo, la vita, la conoscenza. Andrea stava crescendo. Lentamente chiuse gli occhi e si addormentò.

Il giorno dopo un lieve rumore proveniente dalla porta la svegliò. Entrò un uomo dalla barba folta e scura. Si avvicinò ad Andrea, la prese in braccio, e questa figura imponente spaventò la bambina. Lei era confusa e riuscì soltanto a piangere. Ma l’uomo la strinse al petto e disse qualcosa che Andrea percepì come suoni gravi e vibranti, che tuttavia la tranquillizzarono e la fecero smettere di piangere. Lì, stretta fra quelle braccia, si sentiva al sicuro. Il tessuto della camicia dell’uomo le accarezzava il viso. A tratti sollevava e muoveva il capo provocandosi prurito e solletico. Ma non riusciva a esternare le sue sensazioni, le sue emozioni, come quando sua mamma era presente. Sentiva il bisogno di definire ciò che stava provando e ciò che aveva provato. Allora, quasi per istinto, raccolse aria nella piccola gabbia di ossa, e fece per aprire la bocca; stava per emettere un suono quando l’uomo la riaccoccolò nel lettino e lei non riuscì a terminare il respiro. Alessandra infatti aveva chiamato: “Alberto, vieni”.

La piccola rimase sola per qualche minuto. Quando Alberto rientrò la riprese in braccio, l’accarezzò e la baciò sulla guancia vellutata. La barba pungeva il viso ad Andrea, ma sembrava che questo la divertisse. Alberto la rimise nel lettino, aprì la porta e stava per uscire quando una vocina flebile, acuta e piena d’amore riempì l’aria.

In un primo momento Alberto non capì che cosa significassero quei suoni, ma raccapezzandosi capì che era stata Andrea. Era stata Andrea a parlare e aveva detto “paapa”. Andrea stava scoppiando dall’emozione, era riuscita a comunicare, a entrare in contatto con quell’uomo tanto pauroso quanto rassicurante. Andrea stava imparando a essere.

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