20/2017 Confini

-È una vergogna… una vera e propria vergogna! –questa era la frase che da minuti rimbombava tra le pareti del piccolo appartamento che papà aveva deciso di prendere in affitto durante la nostra permanenza a Brugg.
-Camillo, per l’amor del cielo, con chi ce l’hai? – chiesi al mio imbronciato fratello, interrompendo per qualche istante quel mantra.
-Ma come? Non ti rendi conto, Dina? Centododici franchi… Centododici!
-Cosa dici poi? Dai i numeri?- Ironizzai.
-Ti sembra il caso di scherzare? Stamattina sono andato al mercato giù in paese, per prendere il vestito per la festa. E quei criminali hanno osato chiedermi centododici franchi!- Sbottò, scuro in volto.
-Camillo, non prendertela… Lo sai, sono tempi duri questi! D’altronde se siamo qui è anche per quello…
-A me pare che questi svizzeri se ne approfittino… Scommetterei il mio pugno destro, che in Francia è tutta un’altra musica!
-Perché proprio il tuo pugno destro?
Camillo gonfiò il petto e sferzando l’aria mi rispose, sornione:- Perché è grazie al mio infallibile montante destro che un giorno riuscirò a battere Primo Carnera!
-Attento a non cadere dai tuoi castelli in aria, piccoletto!- Sorrisi a quella fonte inesauribile di energie e speranze.
-E attenta tu a prenderti gioco di me!… Perché a questo “piccoletto” è appena venuta in mente un’idea a dir poco geniale!
-Cosa ti macchina in quella testolina ora?
-Dina, preparati che ti porto in Francia!
-Ma sei ammattito tutto d’un colpo?? Hai pur sempre dodici anni, non puoi varcare confini come ti pare e piace. Poi, servono il passaporto e tutte quelle scartoffie per passare alla dogana.
-Tu non preoccuparti, laisse-moi gèrer ça! Sarò piccolo, ma so il fatto mio.
-È proprio questo che mi preoccupa…- Sospirai, esasperata.

Così, il pomeriggio di mercoledì 15 gennaio 1936, il mio incorreggibile fratello mi trascinò sul treno per percorrere i 45 km che ci separavano da Basilea, dove era situata la dogana.
In stazione, stavamo pazientemente attendendo il nostro turno in fila davanti alla biglietteria, quando notai Camillo piegare le ginocchia, celando un ghigno astuto.
-Cosa stai facendo? Vuoi sembrare ancora più basso di quello che sei?- lo canzonai.
-Abbassa quella voce!- mi intimò mentre mi faceva segno di avvicinarmi al suo viso.
-A volte persino essere bassi può tornare utile: qui le tariffe sono decise in base all’altezza.
Non feci nemmeno in tempo a ribattere, che il bigliettaio ci chiese con un tono monocorde di che cosa avessimo bisogno.
-Un biglietto intero e uno ridotto!- mi precedette la vispa voce di Camillo.
-Il bambino deve posizionarsi di fronte al metro così che possa verificare la sua statura- seguì l’uomo, categorico.
-Ma come! Non vede che non raggiungo nemmeno il bancone?
L’impiegato alzò un sopracciglio e lo fissò brevemente, ostentando una nota di disprezzo. Probabilmente si convinse che non valeva la pena discutere con un bambino testardo e subito dopo ci concesse i nostri biglietti, che pagai abbozzando un sorriso imbarazzato.

Durante il viaggio dovemmo fare i conti con gli sguardi severi di alcuni dei passeggeri, a cui Camillo rispondeva con una divertita boccaccia. La maggior parte dei viaggiatori intendeva questo suo gioco come un atto di insolenza, tanto che ben due volte fummo costretti a cambiare vagone, lasciando il precedente con un coacervo di scuse.
Una volta scesi dal treno, ci mettemmo in marcia costeggiando le rive del Reno.
-Allora Camillo, questi documenti?
-Non servono a noi! – Rispose con fierezza.
-Come sarebbe a dire? Non avevi detto che ci avresti pensato tu?
-E così ho fatto! Sono andato in comune e quei ladri mi hanno detto che bisognava pagare dieci franchi!
-Certo, è ovvio.
-Adesso non si è più liberi nemmeno di andarsene? Prima il passaporto e ora vogliono pure i nostri soldi!
-Te lo avevo detto che non era così semplice andare in Francia, ma vuoi sempre fare di testa tua.
-Almeno io non mi lascio mettere con le spalle al muro!
-E sentiamo, pugile, dove hai intenzione di andare senza un passaporto? Vuoi stendere tutti gli agenti doganali?
-Sebbene non mi risulterebbe un’impresa difficile, si dà il caso che io abbia una strategia migliore. Seguimi, donna di poca fede!
Alzando gli occhi al cielo, decisi di assecondare ancora una volta il mio fratello minore, semplicemente perché l’unica alternativa sarebbe stata sopportare nuovamente un secondo viaggio, occhiatacce comprese.

La frontiera tra Francia e Svizzera era collocata sulla sponda opposta del fiume, oltre un ponte di legno. Camillo intraprese sicuro un sentiero che si diramava dalla strada principale finché non raggiunse un punto di facile guado.

-Camillo, ma cosa vuoi fare?
-Secondo te? Attraversiamo!
-Ma se ci scoprono? E se il ghiaccio non regge? Tu sei agile e leggero, ma non pensi alla tua povera sorella!
-Smettila di lagnarti e fatti coraggio! Se procediamo con cautela, non si accorgerà nessuno. Sei in grado di attraversare almeno quanto me!
Con la gonna sollevata sopra i polpacci per poter vedere dove posizionare i piedi, in fila indiana e col fiato sospeso, incominciammo la nostra spericolata attraversata. Guardavo alternativamente il ghiaccio sotto di me che minacciava di spezzarsi da un momento all’altro, benché fosse ben stratificato, e la luce proveniente dai fari della polizia sopra le nostre teste. Mi sembrava di essere un criminale ricercato per un reato di gravità internazionale. Più volte quasi cedetti alla tentazione di fare dietrofront e scappare, mettendo fine a quel supplizio. La parte peggiore fu però quando misi accidentalmente la punta del piede sopra una zona particolarmente scivolosa e quasi caddi.
-Dina attenta! Non vorrai mica rovinare tutto.
-Zitto tu: è solo colpa tua se ci troviamo in questa situazione.

Per fortuna in quel punto il fiume creava un’ansa piuttosto stretta, così la traversata durò solo qualche interminabile minuto. Appena riuscii a toccare l’argine opposto, iniziammo una corsa sfrenata, finché non fummo sicuri di averla fatta franca.
-Siamo in Francia?
-Siamo in Francia!
L’entusiasmo che ci pervase in quel momento, quasi da farci sentire invincibili, sapeva di libertà.

Quando entrammo nella prima cittadina francese, ci investirono un delizioso profumo di torte di frutta e il suono delle risate di bambini.
-Dina, guarda! Ci sono le giostre!
-Dev’essere giorno di festa qui, è pieno di gente.
-Ti prego, vieni con me sulle giostre!
-Ma ho diciotto anni!
-E allora? Se ti dicono qualcosa, dirò che sei con me! – Esclamò, guardandomi con quel misto di innocenza e desiderio che solo i bambini riescono ad esprimere.

Decisi di accompagnarlo, ma una volta che fu salito, feci valere la mia posizione. Per una volta, fu lui ad arrendersi e mi disse:-D’accordo, hai vinto. Però paghi tu!
Un po’ per l’ilarità del momento e un po’ per la cocciutaggine di Camillo, scoppiai in una fragorosa risata e gli porsi qualche franco francese, che avevo avuto l’accortezza di farmi cambiare.

Quando ne ebbe abbastanza anche delle giostre, Camillo si precipitò tra le bancarelle e riemerse trionfante, recando un vestito blu notte con dei ricami grigio chiaro. Lo vidi corrermi incontro quasi cantando dalla gioia: -Dina! Cinquantacinque! Cinquantacinque franchi svizzeri!

Il mondo era nostro.

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