23. Aveva mal di gola

<< Salve a tutti. Come saprete, io sono il professor Bernabò de Vespri. Il motivo per cui ho divulgato il proclama di una grande assemblea, nell’aula magna di questo ateneo, invitando i maggiori esponenti tra coloro che ancora si ritengono fautori delle arti letterarie, è la profondissima anzi abissale crisi in cui stiamo sprofondando. Senza dubbio sarete al corrente di cosa sta accadendo, ma alle orecchie di molti di voi sono giunte solo voci, sussurri timorosi di sé stessi. Ebbene, ora vi chiarirò la situazione in modo, ho paura, inequivocabilmente allarmante. >>

De Vespri prese un sorso dal bicchiere appoggiato al leggio davanti a lui. Aveva bisogno che il suo discorso fosse come l’acqua che aveva appena bevuto: fluido e cristallino; difficilmente avrebbe potuto ripeterlo. Circa duecento occhi erano fissi su di lui. Occhi stanchi, preoccupati; occhi di chi ha paura che tutto ciò per  cui ha vissuto gli venga strappato. Gli studiosi sedevano pazientemente nella sala a forma di anfiteatro, e Bernabò decise di non farli attendere oltre.

<< La follia.. – incominciò – esiste in molte e varie forme, con innumerevoli cause differenti. Ora, la follia sembra che abbia raggiunto un picco vertiginoso, forse il suo culmine assoluto. Un furore autodistruttivo ha colto l’umanità… Una setta, un gruppo senza nome di persone senza nome, è diventata per la nostra specie qualcosa che un nome ce l’ha, ed è “cancro”! >>

Un lungo preambolo, che però non attenuò l’esitazione del professore a procedere. Si ritrovò con le labbra serrate e gli occhi spalancati a fissare un auditorium funereo, con il silenzio come un macigno sul petto.

<< Costoro, questi furenti, queste cellule impazzite… hanno deciso di eliminare la Parola. >>

L’aveva detto. Aveva trangugiato l’amaro calice e ora gli si rivoltava lo stomaco. Nell’aula i solitamente composti ascoltatori non poterono fare a meno di causare un forte brusio di voci sconcertate. Il professor Bernabò alzò la mano destra, per richiedere silenzio.

<< Essi, sono riusciti a diffondere la loro convinzione malata oramai quasi ovunque. Ciò è accaduto sia grazie a questa, a mio parere, inspiegabile pazzia che ha colto buona parte della nostra specie, sia grazie ai metodi orribilmente brutali di cui fanno uso contro chi si oppone alla loro dottrina dell’ignoranza. Varie fonti testimoniano punizioni atroci per i dissidenti, tra le più comuni vi sono… mutilazioni della lingua e dita fracassate. Sì, per impedire di parlare e scrivere. Sembra che non comprendano che ciò che ci differenzia dagli animali in primo luogo è- >>

Un’esplosione squarciò il muro in corrispondenza della porta d’ingresso, in alto di fronte al relatore. La polvere non fece in tempo a ricadere, e le persone all’interno a gridare, che una marmaglia vestita di nero, con maschere coprenti naso e bocca, si riverso all’interno. De Vespri rimase congelato sul posto, ma solo fino a che non vide una rudimentale arma, probabilmente, in origine, un attrezzo agricolo, calare sul capo inerme di letterato. Egli sentì il tempo rallentare, una frazione di secondo dilatarsi fino a durare in eterno. Si ritrovò a fissare una piccola goccia di sangue, denso e caldo sangue, che schizzava via da un uomo privato anche del suo ultimo fiato.

Si gettò a destra, verso l’uscita più vicina. Spalancò la porta e iniziò a correre lungo il corridoio che si trovò davanti, sicuro che da un momento all’altro si sarebbe trovato a gridare di dolore con un accetta o un coltello conficcati nella schiena. Ma ciò non accadde ed egli dopo pochi secondi riuscì a trovare rifugio in uno stanzino di servizio buio. Senza nemmeno badare a cose ci fosse intorno a sé, si buttò sotto un tavolo. Con le ginocchia strette al petto e gli occhi pieni di lacrime e paura, Bernabò de Vespri offrì uno spettacolo davvero patetico al gruppetto che entrò poco dopo. Con grande sollievo del terrorizzato professore, questi erano, come lui, fuggitivi.

<< Numi, professore, mantieni almeno la dignità >> Disse in tono di rimprovero marcatamente tedesco il dottore in grammatica Von Wertenschnaugg. Bernabò sollevò lo sguardo sull’uomo alto e massiccio con il volto adornato da un paio di folti e ingrigiti favoriti.

<< Tu parli di numi, ma quali dei ci restano? Ciò in cui credevamo, che ritenevamo sacro, è consumato dalla furia dei mostri fuori di qui. Tutto è perduto >>

<< Ah! Tu ti arrendi proprio ora? Hai visto cosa stanno facendo. Roghi su roghi; danno alle fiamme Catullo, Tolkien, Nietzsche… Sentii un uomo parlare, una volta; egli disse che l’Inferno è terribile per colpa dei suoi fuochi, fuochi alimentati da libri. L’Inferno è dove i libri bruciano, vecchio amico mio >> Cadde il silenzio. Ma dopo pochi secondi de Vespri si alzò, e dalla sua bocca uscirono parole poco cortesi sicché aveva sbattuto la testa contro il tavolo. Il tedesco sogghignò, ma non poté fare a meno di indietreggiare un poco quando vide cosa si era sprigionato negli occhi del compagno.

La porta dello stanzino si spalancò di scatto per la sfortuna dell’uomo nero vestito che vi passava davanti, che crollò a terra senza un suono. Subito alle sue spalle, il compagno sollevò la spranga di metallo che aveva in mano per mandarla a spaccare il cranio di Von Wertenschnaugg, ma a metà del gesto fu immobilizzato da un secco << No. >> Il corpulento uomo scampato ad un trauma cranico guardò, molto stupito, Bernabò.

<< Per tutti i pronomi, come hai fatto? >>

<< Si privati di qualsiasi nutrimento per la mente, e hanno respinto completamente il concetto di parola, a cui non sono più abituati. Ora la loro volontà è cartapesta, sono meno che animali. Si sono condannati da soli, e il Verbo sarà la lama del boia>> Si allontanarono lungo il corridoio, lasciandosi alle spalle il tizio che rimase fermo, ciondolando, con le braccia abbandonate lungo il corpo. <<Comunque grazie>> disse Wertenschnaugg << Mi hai salvato per un soffio… anzi, per una negazione!>> E sghignazzò compiaciuto.

<< Non era divertente >>

<< In  tedesco avrebbe fatto ridere >>

<< In tedesco nulla fa ridere >>

Fecero ritorno all’aula magna. Ormai non era più un luogo di sapere, ma un luogo di massacro. Decine di corpi erano le macabre decorazioni di un grottesco palcoscenico. Il protagonista in quel momento era l’uomo che Bernabò presumette essere il capo della feroce marmaglia e che dava le spalle all’ingresso con una manciata di altri. Egli si voltò non appena sentì i passi dei due letterati e con un sorriso si rivolse a loro.

<< Io sono Jork. Se sapevo che voi eravati così molto difficilissimi a sbudellarvi, portavo più gente. >>

Una grossa, grossissima lacrima bagnò i baffi del grammatico.

L’uomo alzò la mano con cui teneva una pistola puntandola su Bernabò. Ma egli si limitò a dire con voce stentorea: << Lasciala cadere. >> L’arma colpì il pavimento. I cinque dietro Jork fecero per muoversi, ma il professore fu ben più rapido: << Correte a nascondervi nei vostri bui tuguri, bestie. >> In quattro fuggirono senza voltarsi, il quinto cadde a terra e non si mosse. Jork invece riconquistò un briciolo di lucidità e fece per chinarsi a raccogliere la pistola, ma un poderoso montante di Wertenschnaugg lo raggiunse al volto scagliandolo a terra privo di sensi e con il naso che sanguinava abbondantemente.

<< Niente ultime parole per te. >> Concluse il tedesco. Si rivolse poi al suo compagno.

<< E ora? >>

<< Ora credo che me ne andrò. Ho qualcosa da dire. >>

Bernabò de Vespri si diresse verso la scalinata che conduceva direttamente allo squarcio nel muro, da cui la luce del tramonto illuminava la stanza. Prima dell’ultimo scalino si fermò. Raccolse da terra un pezzo di carta e una matita spezzata; si appoggiò ad un banco, scrisse, quindi uscì.

Il grammatico, sospirò e andò a prendere il pezzo di carta. Lesse.

I Soli tramontano e risorgono

La nostra luce è breve

E ci attende una notte senza fine

Ma con essa illumineremo le nostre pagine

Scriveremo il nostro poema

E sarà epico.

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