26/2015. Gli ingredienti della vita

Apro la porta, e a darmi il benvenuto nel lungo corridoio bianco è il profumo accogliente e familiare del pranzo appena preparato. È stata una giornata tosta a scuola, amara come il caffè di prima mattina quando ti dimentichi di metterci lo zucchero, ma entrare qui è lo zucchero della mia giornata.

Ah, la casa della nonna: sin da quando ero piccola ogni volta che varco la soglia gioco ad indovinare dal profumo che mi avvolge  quale sia il gustoso pasto del giorno. Mi bastano un paio di secondi per capire cosa mangerò per pranzo: polenta e cotolette.

Insieme al profumo nel lungo corridoio vedo spuntare un volto sorridente. Intorno a quel sorriso ci sono gli occhi luminosi della nonna, la mia nonna. Nella mano destra stringe un cucchiaio di legno, lo sventola mentre mi saluta e lo sfodera come fosse la sua spada, la sua difesa in una vita di stenti.

Mi racconta spesso di quando era piccola ed era tempo di guerra, del cibo scarso da dividere con i suoi nove fratelli, motivo per cui oggi mi invita sempre a non sprecare un bene così prezioso, cosciente del fatto che non tutti hanno la possibilità di nutrirsi in modo adeguato e sufficiente.

Dal corridoio buio come quel passato ci spostiamo insieme nella cucina luminosa del presente. Al centro della stanza c’ è un grande tavolo apparecchiato, lungo i muri corrono mensole appesantite dalle stoviglie e piegate dall’ usura del tempo. Il mio sguardo è catturato da un ripiano particolarmente colorato. Le spezie che lo sovrastano rendono viva quella porzione di muro, un’ esplosione di colori, la decorano come farebbe un quadro di Picasso.

La nonna mi saluta con un abbraccio di quelli che solo i nonni ti sanno dare, di quelli che ti avvolgono e ti coccolano e ti fanno vedere il mondo come un posto migliore rispetto a ciò che ti sembra.

Scambiamo un paio di battute sulla mia giornata mentre mi siedo a tavola e davanti a me si presenta un mega piatto giallo e oro di polenta e cotolette: oggi a pranzo mangio il sole!

Il fumo denso e caldo sale dal piatto appannandomi gli occhiali. Si dice che i quattro sensi che i ciechi possono sfruttare siano molto più sviluppati che nelle persone vedenti, e io, come se fossi cieca, sento in bocca l’ esplosione di sapori che solo la nonna sa creare, sapori che riportano alla mente i chiassosi pranzi di Natale, quelli in famiglia come una volta, quelli tutti allegria e sorrisi, quelli  che ti si scalda il cuore solo a pensarci.

Mentre la nonna sistema le erbe aromatiche nei vasetti sul davanzale taglio la carne morbida e soffice, il cui bianco interno contrasta con l’ impanatura croccante e dorata. Il profumo del basilico mi ricorda il sapore delicato della pasta fredda nelle giornate di caldo intenso, quello del prezzemolo la salsa verde che da sapore al petto di pollo rendendolo appetitoso e gustoso.

Afferro un panino ruvido, leggero, ne prendo un pezzo che con fragore si stacca dal resto. L’ interno è soffice, chiaro, profumato e liscio. È un po’ come alcune persone, questo panino: magari da fuori sono invitanti, ma appena ti avvicini le trovi ruvide e dure. E’ sufficiente ascoltarle, lasciare che ti parlino di ciò che le fa stare male perché diventino dolci e aperte, disponibili. Adoro le persone, sono una sfida. La mia sfida. Gli altri sono la ragione per cui esisto, danno uno scopo alla mia vita  rendendola vera, perché qualsiasi sensazione, emozione, idea o esperienza diventa reale solo quando viene condivisa.

Addento il boccone di pane che si scioglie in bocca, è fresco, appena comprato, assume un gusto tendente al dolce dopo qualche  secondo.

L’ acqua sta, frizzante, nel mio bicchiere. Le bollicine, qualche d’ una più grande delle altre, saltano allegre e raggiungono non solo gli occhi ma anche le orecchie con un frizzo vivace. Come i miei amici. Noi siamo frizzanti, siamo attivi, diversi.  Tra di noi non ci sono discriminazioni, anzi siamo contro le discriminazioni del mondo. Da soli siamo semplici bollicine ma  tutti insieme diventiamo l’ acqua che toglie al pianeta la sete di entusiasmo. Se il mondo ci darà  un po’ di ascolto gli parleremo, lo convinceremo che “uno per tutti, tutti per uno” non sta solo nelle favole; se ci affiderà un pizzico di voglia e disponibilità  lo faremo giocare, lasciando che riscopra il piacere della concordia, se avremo dei colori lo renderemo  più allegro: ci basta un po’ di tempo e lo faremo diventare migliore.

Finalmente, tra una chiacchera e l’ altra, è il momento del dolce. Di fronte a me la nonna ha appoggiato un vassoio coperto da uno strato argento di carta stagnola. Scoprendolo potrei trovare qualsiasi cosa, dallo strudel tanto bramato a dei biscotti secchi decisamente meno desiderati.  E’ come la vita, in questo momento: io la ho lì davanti, è mia, ma non so assolutamente cosa ci sia nascosto sotto quel coperchio.

Mi aspetto il meglio. Aspetto di aprirlo e trovarci dentro ciò che più mi piace: mi aspetto di aprirlo e  trovare la meraviglia. Vedo gli adolescenti, alcuni compagni e amici che tendono al dramma, alla tristezza, al vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto delle situazioni. Per me non è così. Da qualche anno a questa parte mi sono posta come obiettivo quello di cogliere il bello in ciò che mi circonda, e ad oggi l’ unico dramma che vivo è quello di vedere la meraviglia in qualsiasi cosa, anche la più semplice, anche nello spiraglio di sole che si insinua nella mia camera nelle mattine in cui non voglio vedere nessuno, e non trovare il modo di esprimerla per condividerla. Vorrei prendere le persone e fargli vedere quanto bella è la vita, dirgli che ne hanno una sola e che devono godersela. Vorrei portare quelli che non escono di casa da tempo per i parchi del paese e stare con loro a guardare i bambini che giocano, coloro che vedono morte e distruzione ovunque a contemplare le prime margherite e i boccioli colorati che fioriscono; vorrei prendere chi non trova  la luce nella sua vita e fargli vedere il sole che gioca tra i rami degli alberi, regalare a chi odia la scuola un libro da leggere, oppure un viaggio a Roma, per suscitare in lui lo splendore che solo la cultura può creare. Vorrei che tutti avessero una nonna come la mia, che con gli abbracci ti rende la vita più facile e il mondo migliore.

So però che non può essere per tutti così. A volte mangiare significa solo rimanere vivi e  dover vivere una vita che non si vuole, come rinchiusi in una gabbia troppo stretta per un corpo che ora, diventato grande, non ci sta più.  Significa dover abitare una casa bellissima fino a qualche mese prima ora invecchiata, svuotata, devastata dalla malattia o dal dolore. So che non tutti hanno la mia fortuna. C’ è chi è distrutto dalla società, dal pensiero della gente, dallo specchio. E per quelle persone che non mangiano perché non si piacciono vorrei solo che potessero tornare a vedere le cose con gli occhi dei bambini, puri, menefreghisti, che vogliono un futuro bellissimo e impossibile, come quello dei film, e così trovare la gioia in ciò che fanno e la forza per vivere.

Scopro con esitazione il vassoio e ci trovo lo strudel, come speravo.  La frutta all’ interno della pasta è un connubio di gusti diversi, equilibrati, preparati con cura per un risultato perfetto. Come la mia vita.

A volte costa investire tempo e forze in un futuro che sembra buio, magari senza lavoro, ma so che con cura, impegno, e gli ingredienti giusti i miei desideri saranno esauditi e anche la mia vita sarà un’ esplosione di sapori.

E al mio fianco avrò sempre qualcuno, amici, parenti, amori, che sarà pronto a sfoderare la sua spada e i suoi migliori abbracci per illuminare una vita a volte un po’ oscura, qualcuno che sarà lo zucchero a velo sullo strudel perfetto.

2 thoughts on “26/2015. Gli ingredienti della vita

  1. Descrivere così bene l’amore x tutto ciò che ti viene regalato non è da tutti….solo di chi non riuscirà mai a vedere solo il buio di una giornata

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