27/2017 Così diversi, così simili

E’ una giornata afosa, il caldo è così opprimente che i contorni di ogni cosa appaiono sfocati e tremolanti. Tutto è avvolto da uno strano silenzio e non si vede anima viva. Ma d’altronde chi mai si aggirerebbe in quella terra brulla e desolata, dimenticata da tutti?

Il terreno è arido e polveroso. Le uniche piante che riescono in qualche modo a sopravvivere a quel clima estremo sono secche, prosciugate dalla mancanza di acqua e incombono in modo inquietante sul paesaggio circostante.

Improvvisamente però, il silenzio viene interrotto da un rombo cupo e sordo, che sembra provenire da un punto indefinito del paesaggio. All’orizzonte compare una piccola macchia scura, un minuscolo punto nero che continua a muoversi in un mare di sabbia, continua ad ingrandirsi. Si tratta di un camioncino sporco e malandato, ammaccato in più punti. Un tempo doveva essere di un bianco cangiante ma ora è ricoperto da uno spesso strato di polvere rossastra. I vetri sono anneriti dal tempo e dai numerosi e lunghi viaggi compiuti in quella terra desolata.

Alla guida si trova un uomo allampanato, il viso è solcato da un numero infinito di rughe tanto da sembrare anch’esso prosciugato dalla calura, gli occhi ridotti a due fessure, nel tentativo di riuscire ad orientarsi in quell’immenso nulla di luce abbacinante. L’uomo continua a detergersi la fronte con uno straccio, per cercare di asciugare almeno una parte del sudore che continua a colargli lungo le guance.

Il suo nome è Razim. Vive da sempre in un piccolo villaggio ai margini del deserto ma fin da ragazzo il suo sogno era quello di trasferirsi in una grande città. Ora che ha i capelli bianchi però, ha rinunciato a questo desiderio e vive con la sua famiglia in una casa dagli spazi angusti, dove neanche l‘acqua corrente è assicurata. Più che per se stesso, però, è preoccupato per il futuro dei suoi figli. Come faranno a vivere da soli?

Razim si ridesta dai suoi pensieri e sbuffa. Non deve lamentarsi, questo è l‘unico modo per guadagnare un po’ di soldi. L’uomo si china sul cruscotto per controllare l’ora: è l’una di pomeriggio.

Intanto il caldo si è fatto ancora più opprimente, così decide di fermarsi. Si siede all’ombra di un masso e apre la bisaccia con il cibo.

Dalla buia parte posteriore del camioncino, intanto, due occhi gialli fissano incuriositi la scena. L’afa è fastidiosa anche per l’animale che essendo costretto in uno spazio angusto, sembra più morto che vivo. Si tratta di un’iguana. Ha le palpebre semichiuse e il suo petto si alza e si abbassa freneticamente alla ricerca anche della più piccola ventata di aria fresca. Fortunatamente sulla fiancata del mezzo c’è una piccola finestrella che gli permette di respirare meglio. Le squame hanno perso tutto del loro originale colorito verde brillante e ora sono grigie, spente. Gli occhi sono ricoperti da una patina giallognola e appiccicosa che gli offusca la vista e che rende il suo sguardo vitreo.

Delle mosche fameliche volano attorno al corpo martoriato del povero animale, producendo un ronzio irritante. Razim apre il retro del furgone e subito viene travolto da un tanfo penetrante. L’iguana, nonostante sia allo stremo delle forze, apre gli occhi e si gira verso l’uomo, nel tentativo di conservare almeno un minimo della sua dignità. Per un attimo i loro sguardi si incrociano. Razim si sente rapito da quegli occhi profondi e malinconici.

Un lampo di debolezza attraversa lo sguardo dell’uomo. Improvvisamente si sente impietosito dallo stato in cui è conciata la creatura: prende il tappo della sua borraccia arrugginita e versa al suo interno un po’ d’acqua. La fa passare tra le sbarre della gabbia e attende. Ma la povera bestiola è così stordita che non si muove di un passo.

Dopo aver atteso ancora qualche minuto Razim, vedendo che l’iguana non accenna a muoversi, si riprende l’acqua e la ingurgita in un solo sorso. Quel lampo che gli aveva illuminato lo sguardo si spegne e l’indifferenza umana riprende il sopravvento. In fin dei conti non ha acqua da sprecare, nè tanto meno tempo. L’appuntamento è stato fissato per le cinque di pomeriggio e ci vorrà ancora qualche ora prima di arrivare a destinazione; e poi l’importante è che l’iguana arrivi viva e senza danni troppo evidenti. Dopotutto non è colpa sua se si è ridotta in quello stato.

E’ tutta colpa di quel maledetto caldo che lo fa sentire sempre stanco e che gli secca la gola. Quell’afa non gli permette di coltivare e lo obbliga a vivere in una minuscola casa dove non c’è nemmeno l’acqua corrente. Quella casa in cui tornerà quella sera stessa e in cui lo aspettano sua moglie e i suoi figli. Quanto gli sono mancati questa settimana! Ma bisogna rassegnarsi, è normale dover stare via tanto. Questi pensieri lo rendono indifferente a tutto, persino ad un essere vivente come lui e che gli punta gli occhi dritti dentro l‘anima. Perché sì, lui e l’animale che ha catturato sono simili più di quanto possa sembrare a prima vista.

Perché Razim non sa che l’iguana è una femmina di cinque anni, che aveva dei cuccioli da accudire. Non sa che si era avventurata lontano dal riparo sicuro del suo albero per i suoi piccoli, a discapito della sua vita, disposta a correre mille pericoli e ad affrontare i predatori più feroci. Ma questa volta ha incontrato il nemico peggiore, l’uomo, che l’ha catturata e condotta lontano da quello che amava di più. E mentre lei sarà rinchiusa nel rettilario di qualche ricco collezionista, i suoi piccoli moriranno di fame e di sete. Razim non sa tutte queste cose e pensa solo a raggiungere la sua casa, i suoi cuccioli. Chissà: magari se sapesse tutto si fermerebbe, restituirebbe la madre ai suoi cuccioli. Ma non possiamo dirlo con certezza, perché è un essere umano. E gli uomini sono imprevedibili. Il loro cuore è insondabile e pieno di contraddizioni.

 

 

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