3. In trappola

Silenzio. Un silenzio penetrante, di quelli che bucano l’anima.

Un liquido guizzo degli occhi, un raggio di pallido sole disegna una linea di luce sul pavimento bianco della cucina, un respiro appena accennato, impercettibile.

Poi, dopo secoli, quell’inaspettato schiudersi delle sue labbra che incerte si aprono staccandosi piano l’una dall’altra, un soffio leggero di fiato, finalmente la sua voce.

Articola qualche parola che rimane precariamente sospesa in bilico tra molte pause, esita, so che dentro sta pensando alle parole adatte; poi all’improvviso qualcosa si sblocca non riflette più, sembra abbia deciso di non porsi limiti.

Mi investe inaspettatamente un fiume di parole, lo sento scorrere sotto pelle, esondare dentro di me; la sua bocca si muove straordinariamente veloce, sto per affogare, ho un disperato bisogno di un appiglio.

Mentre le sue mani bianche e forti si muovono irrequiete vedo le sue pupille dilatate nel buio di quel suo sguardo sicuro e poco più sopra un ciuffo scomposto, spettinato che ondeggia al ritmo della sua rabbia.

Mi sono sempre chiesta come facciano ad essere così neri i suoi capelli, sono talmente neri da far sembrare la sua fronte bianchissima, neri come l’ebano, come l’inchiostro, come le tenebre più oscure.

Le labbra si muovono senza sosta. Mi concentro sulla bocca senza udire più nulla mentre i minuti passano lenti ed interminabili.

Mi gira la testa, un dolore insopportabile si impadronisce di me avvolgendomi tutta, chiudo gli occhi, respiro e ordino alle gambe di andarsene, di non restare un secondo di più, ma sono pesanti, immobili, non rispondono.

Lui sembra essersene accorto. Smette di parlare. Riapro gli occhi, sto piangendo, la voce esce strozzata dalla mia gola: “Vattene” dico quasi in un sussurro “Vattene”.

E’ questione di secondi, forse di minuti; sento sbattere la porta, è arrabbiato, infastidito, si aspettava un’altra reazione da parte mia.

Mi  scosto i capelli bagnati di pianto e con gli occhi lo cerco fuori dalla finestra nel tentativo di cogliere l’espressione del suo volto mentre se ne va ma è già scomparso.

Arrivata in camera mi butto sul letto, sento l’odore fresco e accogliente delle lenzuola che assorbono le mie lacrime senza riuscire a calmare i miei singhiozzi;  chiudo di nuovo gli occhi, questa volta decisa a non riaprirli.

Le sue parole hanno sempre avuto un potere strano su di me. Sono capaci di farmi respirare e poi di uccidermi senza pietà, di farmi sorridere e poi urlare tra le lacrime.

Lui ci sa fare con le parole, le possiede, le domina, l’ha sempre fatto e ne è consapevole. Quando ci eravamo conosciuti per la prima volta mi aveva abilmente catturata con le parole, parole dolci, felpate, pronte ad accarezzare, straordinariamente ammaliatrici. Ma ora quelle stesse parole erano cambiate, ferivano, mi avevano lacerata.

Sono in trappola e pur sapendolo  non desidero altro che non avere via di scampo.

Fatico ad aprire gli occhi, le palpebre sono pesanti ma lentamente mi alzo, devo aver dormito molto.

Mi siedo stanca sul letto ed istantaneamente ricordo: ha sbattuto la porta, non perdonerà facilmente.

Un brivido freddo mi percorre la schiena, mi alzo, mi cambio in fretta, ormai ho deciso: devo vederlo,  esco, vado da lui.

 

L’autunno è appena cominciato e le foglie secche scricchiolano piacevolmente sotto i miei piedi, c’è un vento leggero che le fa cadere dai rami danzando e si insinua fresco tra i miei pensieri.

Ha  piovuto mentre dormivo, nell’aria c’è un odore umido di terra bagnata; prendo l’autobus, la città è deserta.

Mi siedo,ho bisogno di sedermi.

Accomodata sul sedile di fronte al mio c’è una vecchia signora con troppo rossetto e delle strane scarpe, borbotta tra sé qualcosa di incomprensibile, noto che le sue mani tremano leggermente; le sue mani sono meravigliose, tra le pieghe di quella pelle chiara e delicatissima sembrano essere custodite le storie di una vita, giorno per giorno, ora per ora. Mi ricordano le foglie colorate dell’autunno, ho paura che si possano sbriciolare da un momento all’altro.

Mi accorgo all’ultimo che l’autobus è arrivato alla mia fermata, mi alzo di scatto e balzo sul marciapiede poco prima della chiusura delle porte.

Cammino in fretta, sto iniziando ad agitarmi, non posso sapere come reagirà, in pochi minuti mi trovo davanti al cancello di casa sua. E’ una pazzia ma devo farlo.

Alzo la mano verso il campanello, suono e respiro a fondo.

“Chi è?” sento la sua voce metallica “Sono io” rispondo. La serratura scatta con un rumore secco, mi incammino per il vialetto, entro in casa.

“Cosa ci fai qui Bet?” è ancora arrabbiato “io … io non volevo, mi dispiace, mi girava la testa e …” “ Non mi interessa Bet, devi smetterla di comportarti così, non sei più una bambina!” ringhia.

Non mi piace quando mi tratta così, lo odio, lo odio con tutta me stessa “Non mi puoi trattare in questo modo! Faccio ciò che voglio e sono stanca delle tue sfuriate!” una nuova sicurezza nasce dentro di me, mi dà la forza di urlargli finalmente in faccia ciò che penso di lui e di tutto quello schifo che lo circonda “Basta! Lasciami in pace! Non cercarmi più! Hai capito? Ah!” Mi afferra un braccio, stringe forte trascinandomi vicino a lui, punta il suo sguardo così freddo nei miei occhi bagnati di lacrime: “ Non provarci Bet, potrebbe essere pericoloso” sussurra. Non ho intenzione di lasciarlo dire queste cose,non sono sua, non ho bisogno di lui,lo odio, voglio scappare, tornare a casa “ Mollami, lasciami andare, non voglio avere più niente a che fare con te, ti odio” urlo spaventata.

Mi guarda con un’espressione collerica per secondi che mi paiono ore. Nei suoi occhi ardono le fiamme dell’inferno. Non molla la presa, il braccio mi fa male, guardo le sue labbra serrate in un ghigno spaventoso e i suoi capelli neri, così neri, neri come la sua rabbia.

“ Sei in trappola, Bet”

Con un gesto rapido mi sferra un pugno nello stomaco, cado a terra inerme, non posso combattere con lui, mi tira calci coi piedi animato da una forza distruttiva, mi contorco nel dolore, altri pugni, l’ultima cosa che vedo sono le sue belle mani addosso a me che mi ammazzano di botte senza pietà;  poi la stanza prende a girare vorticosamente su sé stessa e con lei tutto ciò che contiene; la vista si annebbia, rimane soltanto il dolore, un dolore lancinante che non avevo mai provato prima, tento di urlare, la voce non esce, riesco a mala pena a respirare.

Lo sento parlare, è un altro dei suoi sproloqui confusi, inutili, non capisco ciò che dice, tutto ciò che sento è il mio cuore che pulsa nella testa. Un altro colpo e mi uccide.

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