37/2015. La voce del cibo

Osservavo quella meraviglia, quella meraviglia che sbocciava con tale lenta eleganza da far sembrare tutto il resto un irrefrenabile scorrere di immagini senza senso, una realtà di un altro mondo.

Avevo appena servito a quella dolce signorina la sua solita tazza di tè delle 17.30, che veniva a prendere tutti i giorni: stesso orario, stesso tipo di tè, stessi gesti, stessa persona; eppure mi sembrava che avesse sempre qualcosa di diverso, ma probabilmente non si trattava di lei. Ero io a cambiare ogni giorno, o per lo meno così mi piaceva credere. Avrei voluto dare un senso a tutto quello che facevo. Dopo aver servito la ragazza, tornavo dietro al bancone vicino alla cucina e la osservavo mentre era intenta a gustarsi quell’incantevole sapore. Non mi stancavo mai di seguire i movimenti di quel fiorellino che pian piano si schiudeva per mostrarsi in tutta la sua bellezza. Eppure ogni singola volta sembrava diverso; cambiava leggermente forma, posizione e sfumatura di colore. Probabilmente agli occhi di molti questo sarebbe sfuggito, ma non a me. Quello  certamente non era un qualsiasi tipo di tè.

Mentre mi perdevo in questi pensieri, la signorina mi fece un cenno con la mano e corsi immediatamente da lei, ansiosa di conoscere il motivo di questa chiamata che stavo aspettando da ormai troppo tempo. “Sarebbe così gentile da portarmi qualcosa di non troppo dolce da accompagnare a questo delizioso tè?” sussurrò. “Certamente, le porterò subito una lista così potrà scegliere tranquillamente cosa ordinare” le risposi quasi impaurita da questa richiesta che, se fatta da una qualsiasi persona sarebbe apparsa normale, ma che se detta da lei si tramutava in qualcosa di sconvolgente e insolito. “Mi porti quello che desidera. Per me è indifferente. Volevo solo addolcire questa giornata”. In quel momento non seppi far altro che eseguire alla lettera ciò che mi aveva richiesto. In pochi istanti ero già arrivata in cucina. Mi trovavo di nuovo davanti al suo tavolo, ferma e rigida mentre tendevo in avanti le braccia con un vassoio ricco di dolcetti vari. Nel momento in cui la ragazza si accorse della mia presenza alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo e i suoi occhi si posarono sul mio vassoio: “Cosa mi ha portato di speciale?” chiese lei con un mezzo sorriso e io prontamente le risposi: “Spero che tutto questo sia di suo gradimento: abbiamo dei dolci della luna, del gelato fritto, biscotti della fortuna e un budino alle noci”. Non feci quasi in tempo a terminare la frase che cominciò a ridere, così, senza un apparente motivo. “Vedo con piacere che si è data da fare signorina! Apprezzo molto il suo impegno e la sua precisione nel fare il suo lavoro, ma avrei gradito qualcosa che non avesse per forza a che fare con le mie origini. Avrei desiderato provare una specialità di questo locale, visto che mi piace sperimentare!” mi disse cominciando a ridere. Io non riuscivo a comprendere che cosa ci trovasse lei di così buffo in questa situazione, mentre io ero in uno stato di imbarazzo tale da non sapere più da che parte guardare per non farlo notare. La ragazza mi invitò a sedermi al suo tavolo e senza alcuna esitazione feci ciò che mi aveva chiesto. Iniziò così a far  sentire veramente la sua presenza e si dimostrò decisa a condividere. Così mi fece sapere tutto ciò che in quel momento le passava per la testa:“Nessuno le ha mai spiegato quale dovrebbe essere il suo rapporto con il cibo, giusto? Eppure per lei e per chiunque faccia questo mestiere dovrebbe essere ben chiaro; quindi non posso fare a meno di esprimere il mio stupore di fronte a una situazione come questa. Mi risulta inconcepibile che una persona come lei, che ha costantemente a che fare con il cibo, non sappia in che modo bisognerebbe rapportarsi con qualcosa di così  grandioso. Ma probabilmente la situazione al giorno d’oggi non sarà più come quella che mi è stata raccontata dalla mia famiglia, che è abituata ormai da diverse generazioni a dimostrare una certa venerazione, ma soprattutto rispetto, per il cibo.  Tuttavia ritengo che ci sia sicuramente bisogno sia di persone come lei, che necessitano di imparare, sia di quelle come me, il cui compito non è altro che quello di trasmettere il sapere nel miglior modo possibile”.  Devo ammettere che in un momento come quello non avrei avuto molti mezzi con cui sostenere una mia eventuale difesa riguardo a tutto ciò che mi era stato detto così, in quel modo diretto, tipico non di chi vuole mostrarti di saperne molto più di te in un determinato ambito, ma di chi ne sa effettivamente molto più di te riguardo a quel preciso argomento. “Non è mai troppo tardi per imparare se si desidera farlo davvero” mi disse, quasi come se in quel momento avesse saputo cosa mi stesse passando per la testa. “Desidera saper comunicare agli altri ciò che io in questo preciso momento sto comunicando a lei? Perché sa, il rispetto e la passione per qualcosa di così essenziale, ma allo stesso tempo così straordinario, come il cibo, non sono certo qualcosa di semplice da mettere in pratica! Desidera quindi imparare a servire il piatto giusto, nel momento giusto e alla persona a cui andrebbe servito? O preferisce continuare a svolgere il suo lavoro senza porsi queste domande, a mio parere fondamentali?”. L’unica cosa che riuscii a dire in quel momento fu: “Mi dimostri che ne varrà la pena”.  Da quel momento in poi la mia intera esistenza sarebbe cambiata, ma io non ne ero ancora consapevole. La sua unica reazione alla mia risposta fu quella di posizionare un pacchetto, appena estratto dalla sua borsa, in maniera così delicata da farmi pensare che contenesse qualcosa di molto prezioso. Ebbi quasi paura ad aprirlo, ma il suo sguardo, che ormai era diventato più che luminoso, alla fine mi incoraggiò. “Che cosa sarebbero?” chiesi subito. “Questi sono dei mochi, tipici dolcetti giapponesi. Li ho comprati in un negozio qui vicino stamattina, perché desideravo assaggiarli. Si dice che i mochi forniscano al corpo umano molta energia e che ciò si rifletta anche a livello psicologico!” e fui immediatamente pronta a risponderle: “Ma perché dovrebbe essere utile conoscere qualcosa di questo tipo?”. Lei per un momento scostò il suo sguardo dal mio e lo indirizzò verso uno dei tavoli lì presenti, ma sembrava che stesse guardando ben oltre in quel momento. “Non si tratta di utile o inutile, ma di gusto, che è il sapore della vita. Provi a immaginarsi quanto sarebbe meraviglioso poter gustare tutte le meraviglie di questo mondo!” mi rispose e intanto si stava indirizzando verso il tavolo che stava continuando ad osservare intensamente. Forse non desiderava più cercare di spiegarmi quello che provava o forse, semplicemente, aveva già intravisto qualcun altro che avrebbe avuto bisogno del suo aiuto, per cominciare finalmente ad assaporare la propria vita. Tornai a fare il mio mestiere quando vidi che ormai si alzava. “Cosa mi consiglia di ordinare lei?” “Beh, vediamo, come si sente oggi?” “Euforico direi!” “Perfetto, che ne pensa di una fantastica coppa di gelato con un assortimento vario di gusti? Direi che sarebbero più indicati i gusti alla frutta per lei! Può scegliere tra vari sapori: frutto della passione, frutti di bosco, pesca, lampone, mirtillo, mango, ribes, fragola e melone. Che cosa ne pensa?” proposi io. “Non posso proprio fare a meno che affidarmi alla sua sicurezza: eccomi pronto ad assaporare la frutta sotto forma di gelato” “Siamo d’accordo allora! Vedrà che saprò stupirla!” terminai io e mi diressi verso la cucina, consapevole da quel giorno della mia responsabilità.

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