6. Il muro di Edurne

Edurne nella sua vita aveva scelto la solitudine.

L’aveva accettata segretamente a far parte di sé, eppure Edurne aveva amato in passato, a modo suo. Era stato un fuoco generoso quello che le era scaturito dal petto, ma ogni volta si era riacceso per poi spegnersi, per poi perdersi. Con tacita consapevolezza, non più tristezza, aveva imparato a convivere con il ricordo confuso, spezzato delle storie degli altri a lei intrecciatesi e da lei dipanatesi. L’aveva raccolto, il proprio ricordo, come si fa con le schegge, ma a piedi nudi e con gesti lenti, fermi. Sì, forse se ne era liberata, per sempre, e le sue caviglie non avrebbero più dovuto trascinarne faticosamente il peso: lo spettro umano della menzogna, lei aveva voluto calpestarlo.

Edurne sta camminando, i lunghi capelli le ricadono scomposti sui fianchi, il respiro è affannoso ma sicuro. È quasi arrivata, le sue gambe ancora forti la guidano, senza incespicare, conoscono quella strada. Si ferma. Il battito non è ancora tornato regolare e già Edurne è scossa da un lieve tremore, un fremito che la percorre fin dentro le ossa: lo stesso che l’aveva assalita il primo giorno in cui era giunta in quel luogo, davanti a quel muro. Il suo muro, il loro muro.

Nella mente le ritorna il canto di un violino, straziante eppure carezzevole. Potrebbe ricordarne ogni nota, ogni pausa, ogni sfumatura di colore che ancora le tinge l’anima, a colpi forti, densi. Era la sua sinfonia, parlava di lei.

Edurne riprende il respiro, sorride ripensando all’assurdità della sua piccola vita, che aveva voluto condurla fin lì, quasi a dirle: “Bene, sei arrivata, Edurne. Puoi fermarti qui. No, non lo oltrepasserai, questo muro, semplicemente ne resterai fuori. Perchè, ti chiedi? Coraggio, siediti”.

E davvero si era seduta lì quel giorno. Vi era poi rimasta seduta per ore, spesso per giornate intere, a seguito del loro incontro.
Lui, Ramòn, in piedi dall’altra parte del suo confine, aveva fatto di quell’archetto il prolungamento delle proprie dita: non aveva mai cessato di suonare quel violino, per tutto il tempo in cui Edurne aveva fermato i suoi passi dietro il muro.

Edurne aveva scritto dal primo momento, aveva scritto pagine e pagine sgualcite di vita, la sua giovane vita, che a Ramòn giungevano attraverso quell’unica e stretta fessura di pietra, vicina ai loro piedi. Al crescere della musica le parole di Edurne avevano ripreso forma, fino a straripare dagli angoli della carta, impazzite e sprigionate dall’inchiostro nero della sua esistenza passata. E lei le aveva viste finalmente nude le sue parole, su quelle pagine, e senza più veli, senza più lacci di finzione. Le aveva viste accrescersi come cumuli di fango, mostruosi, le aveva sentite agitarsi nella sua mano mentre le forgiava, quasi le si strappassero dalla pelle. Le aveva sentite urlare. Poi avevano trovato pace, si erano adattate a quelle pagine, e la calligrafia era tornata chiara, leggibile. Edurne aveva parlato a Ramòn della propria infanzia, gli aveva descritto gli odori, i profumi, le strade, le persone ed i luoghi che trasudavano per lei di vita, di memoria, di polvere. Erano diventate parole riconoscenti, allora, non più figlie della disperazione, ma prossime ad un amore che riscalda, senza più nuocere. Non più rivestite di viscida menzogna, ma, intrise di sudore, erano state parole madide quelle che Edurne aveva scritto e ritrovato. Parole nate dall’unione delle loro due solitudini, ma non per questo spente, non per questo sepolte. Erano state piuttosto parole che avevano scelto di ardere e di anelare alla vita.

Edurne si riscuote dalla fiumana di pensieri che la investe. Essere tornata a quel muro dopo tanti anni è un tonfo al cuore: d’improvviso si sente vecchia, è vecchia. Muove qualche passo: non è più deciso, sembra vacillare sotto il peso schiacciante dei ricordi.

L’aria si fa quasi tesa: silenzio.
Silenzio, e poi, di nuovo, il suono del suo violino: Edurne è tornata, Ramòn la aspettava.
Quella figura esile di donna abbraccia ora il muro che le si para davanti: Edurne piange, mentre, nel loro abbraccio, Ramòn le sussurra le sue note, le sue Parole.

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