10. Primavera

Genere: drammatico

La mattina del giorno in cui Leonardo Cattaneo ritornò a casa l’aria era pervasa dal frizzante scintillio della Primavera imminente.

Un vento fresco stava cavalcando con spensieratezza i crinali delle Prealpi fin dall’inizio del nuovo giorno, ed alle prime luci dell’alba era straripato in pianura ad incantare le foglie, le bandiere e gli animi degli uomini.

Io seppi del suo ritorno per puro caso, informato da un banale messaggio di un mio vecchio amico di scuola, e non ne fui particolarmente colpito… Dopo tutto, anche se avevamo passato cinque anni nella stessa classe, non eravamo mai stati particolarmente legati. Ma nonostante ciò, dato che allora lavoravo già da mesi all’aeroporto di Orio come scarica-bagagli, decisi di aspettarlo in pista, per accoglierlo non appena avesse toccato il suolo bergamasco.

L’atterraggio era previsto per le 7.02, ora locale. Quando arrivai in aeroporto, alle sei in punto come ogni mattina, il tabellone segnalava il volo in perfetto orario.

- Ehi, Giò – dissi al mio capo poco dopo aver iniziato il lavoro – ti fa nulla se fra un’oretta me ne vado per dieci minuti al piazzale n°6? Solo per salutare un amico… -

- Fai come ti pare – rispose lui – basta che per le otto tu abbia finito tutto il lavoro che ci siamo lasciati indietro -

Alle 6.55 mi ritrovai fermo in piedi di fronte al gate 6, a scrutare il cielo senza saper di preciso a quale strano incontro stessi andando intorno.

Dopo qualche istante l’aereo apparve all’orizzonte, illuminato dalla stentorea luce di un sole ancora addormentato, ed iniziò ad effettuare la manovra di atterraggio. Compì una graziosa virata nel cielo limpido, puntò verso l’aeroporto, aprì il carrello e, accompagnato da un rombo leonino, atterrò con puntualità svizzera.

Rimasi qualche secondo a contemplarlo. Dopo giorni e giorni sempre uguali trascorsi intorno a cose che un tempo ti sembravano speciali si finisce sempre per perdere la capacità di apprezzarne la bellezza, ma quella mattina l’argento lucente dell’aereo mi incantò come se fossi stato ancora un bambino.

Il velivolo iniziò pigramente le manovre di parcheggio. Dopo pochi minuti i motori vennero spenti e la scaletta affiancata ai portelloni d’uscita. I primi viaggiatori iniziarono a scendere.

Mi avvicinai, colto dal dubbio di non riuscire più a riconoscere il mio vecchio compagno. L’ultima immagine che avevo di lui era il suo volto scalfito da troppe emozioni e pensieri, con gli occhi secchi e la sigaretta in bocca, mentre ci salutava all’ultima cena di classe, prima di andarsene da Bergamo per anni. Aveva stampata sul viso la stessa espressione di qualcuno che ha appena smarrito l’elemento della sua vita.

Attesi qualche minuto, ma non riuscivo a scorgere nessuna faccia che combaciasse con il suo ricordo.

- Sbrigati! – mi urlò quella canaglia di Giò alle mie spalle.

- Un attimo ancora! – gli risposi, voltandomi verso di lui.

- Che cazzo, abbiamo tre tonnellate di bagagli da stipare e tu ti perdi nei saluti? -

- Un attimo, ho detto! -

Mi voltai.

Era completamente cambiato da quel mio ultimo ricordo, ma lo riconobbi subito.

La barba cresceva folta e ben curata sulla guance, risalendo verso i capelli spettinati dai raggi del sole, che illuminavano quel castano già chiaro. Aveva un portamento più maturo, un aspetto più curato e una faccia da uomo, ma quella figura appena apparsa sulla scaletta era senza dubbio Leonardo Cattaneo.

- Ehi! Leo! – lo chiamai. Cercò di individuarmi tra la folla mentre scendeva lentamente i gradini, ma non mi vide.

- Insomma, hai finito? - sbraitò Giò.

Aveva uno strano sguardo. La cosa che più mi colpì, a prima vista, fu quello strano sguardo mentre percorreva la scaletta. Sembrava che non si accorgesse di quel che gli capitava intorno. Sognava. Camminava, appoggiava un piede dietro l’altro, e nello stesso tempo si librava a tre metri da terra.

- Leo! – lo chiamai ancora. Mi fissò, senza fermarsi. – Ehi, non mi riconosci? -

Continuava a fissarmi, ma non rispondeva. Sognava.

- Basta adesso, vieni qua che c’è da lavorare! -

Appoggiò un piede sul suolo dell’aeroporto. – Leo… mi riconosci? – . Appoggiò anche il secondo.

La sua bocca e i suoi occhi furono percorsi da un sorriso complice, poi mi strizzò l’occhiolino, si voltò e iniziò a correre verso l’intarsio indecifrabile delle piste d’atterraggio.

- Ma che cazzo fa? È rincoglionito? - strillò Giò da un posto lontano.

Senza capire più nulla iniziai a correre, seguendolo.

Leonardo Cattaneo si gettò a perdifiato nel bel mezzo di un turbinio di aeroplani, alianti, correnti d’aria e confusi giochi di vento che si intrecciavano indifferenti nell’atmosfera, e ne uscì del tutto indenne. Lo vidi volare sopra l’asfalto del terreno, senza badare a nulla, con lo sguardo fisso in avanti.

Corsi come un matto, chiudendo gli occhi mentre attraversavo quel pazzesco miscuglio di pericoli, e lo raggiunsi. Si era fermato sulla cima di una minuscola collinetta d’erba, al limitare estremo dell’aeroporto.

Bergamo era apparsa al di sopra di una macchia d’alberi, esponendo con eleganza le vie e le stradine che si intrecciavano verso città alta, con il suo profilo di torri, cupole e vecchi mattoni.

Leo aveva smesso di sognare. Ora fissava.

Fissava Bergamo. E la fissava talmente intensamente che cercai di formulare una domanda, ma i suoi occhi mi zittirono prima ancora che potessi parlare.

Nelle sue pupille non c’era una sola traccia di nostalgia, neppure un velo.

Oh, no… Non era nostalgia quella apparsa nei suoi occhi sognanti. E non era neanche rabbia, o tristezza, o rimpianto, o malinconia… Era lo stesso sguardo di sfida che si lancia ad una ragazza appena prima di baciarla per la prima volta.

Leo fissava la città, e la sfidava.

E dietro di noi gli aerei decollavano, e le sirene d’allarme ululavano, e gli addetti alla sicurezza lanciavano maledizioni mentre la polizia aeroportuale ci correva incontro, ma lui continuava a sfidare Bergamo.

E la città stava silenziosamente accogliendo la sfida…

- Leonardo… – gli dissi, sussurrando per paura di risvegliarlo.

- Sì? – rispose lui per la prima volta, con voce decisa.

- Bentornato a casa… -

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