12. Come muoiono i leoni

Genere: realistico

Mi indica il cartellino che porta al petto e pronuncia il suo nome, Amadou.  Ci siamo incontrati per caso mentre vendeva, con poche speranze, i suoi libri. Quello stesso giorno, per la prima volta, mi sono fermato e mentre lo guardavo negli occhi lo ascoltavo con interesse.

Amadou ha quarant’anni ma la sua pelle è secca, gli occhi sono rossi, le labbra faticano a schiudersi e il suo sguardo è disorientato. Il suo viso è testimone della sofferenza di un popolo che guarda all’Europa come una possibilità per rinascere. Ogni anno centinaia di uomini compiono un lungo viaggio tra deserti, mari e disgrazie per giungere in un mondo diverso da quello da cui sono partiti, e che spesso li delude. Questi viaggiatori, infatti, ambiscono ad ottenere un posto di lavoro e del denaro ma non sanno delle infinite difficoltà che incontreranno al loro arrivo. Il mio amico parte così: ricco di sogni, in compagnia e con una nuova vita ad aspettarlo.

Il caldo sole senegalese era pronto per illuminare il continente nero quando Amadou sale a bordo di una vecchia Peugeot malandata alla volta del Maghreb. Era seduto al posto del passeggero e i suoi occhi fissavano il paesaggio che stava abbandonando. In pochi attimi rivede tutto ciò che ha vissuto lungo quelle strade sterrate,  anche con gli amici che lo stanno salutando e sente a cute le sofferenze che la povertà gli ha procurato. Guardando un muretto un po’ all’ombra ricorda il primo bacio che diede alla donna che sta per lasciare, per sempre. A causa della mancanza di denaro, infatti, non la potrà più rivedere:  è un assurdo ma il motivo della sua partenza è lo stesso che gli negherà il rientro. Nonostante ciò non ha scelta perché i suoi guadagni consentiranno alla sua famiglia una vita migliore e a lui la possibilità di crearsi una carriera, nonché un futuro lontano dalle pene del passato. Il motore si accende, la macchina parte e delle vite stanno per cambiare.

Prima il Mali poi l’Algeria, attraversano il Nord Africa incontrando deserti, città diroccate e piccole comunità come la loro. Si tratta di piccoli centri raramente raggiunti dall’acqua dove le persone sopravvivono grazie all’autosostentamento,  anche se per Amadou questi scenari non sono una novità; gli stessi gli appartengono e ormai costituiscono una parte della sua storia passata. Durante il lungo viaggio qualcuno li lascia, qualcuno si aggiunge e molti rimangono affascinati dalle descrizioni dell’Italia: la loro meta.

Il sole sta calando sul Mediterraneo che si scorge in lontananza e il guidatore contatta l’amico che procurerà loro il viaggio per l’Italia. Dal telefono si sente una voce roca che con poche parole detta le istruzioni necessarie e così preparano i soldi: millecinquecento euro a testa, e si dirigono verso la spiaggia indicata. È una notte silenziosa ma una luce li indirizza al molo traballante dal quale stanno per partire: pagano e pazientemente salgono a bordo. L’imbarcazione è già piena e la chiglia scende sotto il livello di galleggiamento. Tutti capiscono che non sarà una traversata facile. In ciascuno dei volti persi e scavati dalla fatica e dal dolore dei passeggeri ci sono però due leoni nei loro occhi che sono la speranza e la voglia di rinascere in paese nuovo. Quelli di Amadou nascondono un’intera savana, quella che gli ha permesso di resistere a giorni e giorni di pene su quel barcone. Poi ci sono persone che non ce l’hanno fatta; una madre ancora incinta che, dopo intere giornate senza cibo ne acqua, è morta fra le braccia dei compagni. Quel mezzogiorno il capobarca prese la donna e la gettò in mare mentre a  bordo regnava il silenzio.

Capiscono che ce l’hanno fatta quando vedono un isola che emerge dalle onde e dei pescherecci più vicini. Poco dopo arriva la guardia costiera, un faro di salvezza dopo giorni di oblio, che li porta al centro accoglienza più vicino. Un’ immagine brutale quella stampata nelle menti di chi ha vissuto quest’Odissea di cadaveri che respirano spostati da uomini con la mascherina. Amadou e i suoi compagni hanno toccato con mano una linea di non ritorno, hanno visto la morte davanti ai loro occhi e ora sono nella terra di mezzo, quella da cui dipenderà il loro futuro.

Sono in migliaia in quel piccolo pezzo di Africa costruito sul territorio italiano, c’è chi arriva e chi viene riportato nel proprio paese. Le difficoltà non sono finite nemmeno in questa terra fertile. Gli immigrati vivono in enormi spazi con altri arrivati con qualche pagnotta di pane al giorno e dell’acqua. Passano tre mesi dopo i quali Amadou riceve il permesso di soggiorno grazie ad un visto richiesto per asilo politico. Dopo un periodo interminabile di viaggio ha segnato la sua prima vittoria: adesso è in Italia, adesso è rinato.

Comincia prendendo un autobus che lo porterà fino al Nord ma è confuso, si guarda in giro e vede un mondo completamente nuovo e da scoprire. Il viaggio dura poco meno di un giorno ma il mio amico non riesce a dormire; è curioso e osserva ogni minimo dettaglio del paesaggio. Passa per Napoli, Roma e Firenze e guarda le persone, le scruta, nota i vestiti, i modi di fare e cerca di imitarne i gesti. Una sera arriva a Bergamo dove un amico lo aspetta per ospitarlo nei giorni successivi. A casa lo accoglie la comunità senegalese che gli offre subito un lavoro come venditore di libri che narrano storie di africani e di migranti, storie come la sua. Amadou vive questa città fino a conoscerla come il palmo della propria mano e se ne innamora; ama le luci che si accendono la notte, ama i monumenti e il verde dei parchi, ama l’Italia. L’amore che prova però gli provoca disagio perché nello stesso tempo vorrebbe invece tornare nel suo paese così, giorno dopo giorno, il mio amico guarda le persone che lo sfiorano con indifferenza e si sente solo come un pesce tra gli squali e sente il disperato bisogno di tornare a casa.

Dopo dodici anni in Italia il suo sogno si è spento, così come i leoni che lo animavano durante il viaggio  lo hanno abbandonato; gli mancano gli amici, la famiglia con le sue tre bambine e soprattutto gli manca poter sorridere, perché forse non ce ne rendiamo conto ma anche coloro ai quali siamo, o vogliamo essere indifferenti, hanno una storia da raccontare: talvolta unica e importante, almeno quanto la nostra.

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