18. Il manierista

Genere: Thriller

Era notte nel paese di Lille.

La donna aveva parcheggiato l’auto. D’un tratto percepì un odore. Mandorle? No, acido cianidrico.

E la poveretta si trovò riversa sul sedile anteriore della Ka.

Con misurate mosse l’artefice si sedette accanto alla conducente inanimata e reclinò il suo sedile.

Bisturi alla mano, cominciò l’intervento.

Infine, la Ford finì combusta.

 

All’alba l’Eurostar arrivò nella stazione di Lille. L’ispettore di Scottland Yard F. Bors scese dal treno ed  entrò in un cafè della stazione.

Era un uomo sulla quarantina, ancora in forma nonostante il lavoro stressante.

Amava attendere le coincidenze. Si gustava sino in fondo ogni piccola permanenza in stazione prendendo un caffè e sfogliando il giornale locale.

Terminato l’espresso e data una rapida occhiata alle prime pagine, salì di nuovo sul treno in partenza per Parigi. Non era la sua destinazione, ma solo una tappa del tragitto che lo avrebbe portato definitivamente in vacanza.

 

Il rito del caffè e del giornale si ripetè a Parigi e a Lione, ma con meno serenità rispetto a quello di Lille. Una notizia ricorrente appariva sulle prime pagine di giornali. Provava un insolito senso di turbamento. Le parole “morto” e “auto bruciata” affollavano la sua testa e si trovavano troppo spesso sulle prime pagine.

Salì sul treno per Marsiglia – l’ultimo che avrebbe dovuto prendere – ma dopo poco tempo dovette cedere il posto all’inquietudine.

 

La parte della sua mente che voleva godersi le ferie tentava invano di sopprimere l’altra parte, che  era invece rimasta in servizio nel Murder Investigation Team. Più si sforzava di non pensarci e più ci pensava.

In pratica, quello che la mente di Bors stava miseramente tentando di allontanare era il fatto che un omicida seriale stesse agendo nell’Hexagone. E stava seguendo il suo tragitto.

 

“Non sono al lavoro, quindi non devo pensare al lavoro”, si ripeteva.“E poi sono in Francia, se la sbrighino le autorità francesi!”.

La verità era che gli piaceva il suo lavoro e per lui ogni pretesto era valido per indagare.

“Dunque: è un omicida che brucia la scena del delitto. O è un piromane – ma i piromani agiscono per l’amore verso il fuoco, non per uccidere direttamente – oppure non vuole lasciare tracce perché ha una firma troppo particolare…”

 

Questi pensieri lo accompagnarono al bagno, ma ad essi se ne mescolò uno più inquietante.

Al ritorno trovò seduto al suo posto un uomo.

L’ispettore gli disse, con il tono più pacato che gli riuscisse, che il posto era occupato. Lo sconosciuto di tutta risposta si spostò sul sedile vicino al finestrino, riservando quello prossimo al corridoio.

“La maniera divenne poi la più bella – esordì l’uomo – da l’avere rimesso l’uso il frequente ritrarre le cose più belle, e da quel più bello, o mani o teste o corpi o gambe a giugnerle insieme e fare una figura di tutte quelle bellezze che più si poteva”.

“Dio, questo è matto. Matto da legare” pensò Bors.

“Non mi guardi così. A quel modo si guarda un pazzo. La mia è una citazione del Vasari.”

“Mi scusi, io non volevo offenderla…Ma andare in bagno e trovare al proprio posto un individuo che cita il Vasari non è cosa comune”.

“Oh, lei ha una voce fantastica…” disse l’uomo estasiato, senza preoccuparsi della continuità del discorso.

Un bagliore si materializzò nella mano destra dell’uomo.

“Ma che caz…”

Un bisturi.

In quel momento l’ispettore si accorse della vacuità della carrozza. Si alzò e si incamminò verso il fondo del treno. Lo sconosciuto fece altrettanto. Ogni volta che l’ispettore Bors si voltava, vedeva l’uomo attraverso i vetri delle porte. La lentezza di quell’inseguimento era irreale.

“Cielo Santissimo, Non sono io che mi porto il lavoro da casa, è il lavoro che mi segue” pensò in un momento di lucidità.

 

Risolse di nascondersi nel bagno dell’ultima carrozza. Ci rimase a lungo. Scosso e spaventato. Era disarmato e questo gli dava un detestabile senso di impotenza.

Quando decise di uscire, lo fece con lentezza e titubanza. Percorreva i corridoi con passo indeciso e occhi vigili, noncurante degli sguardi torvi che i passeggeri di seconda classe gli riservavano. Probabilmente lo credevano un cocainomane paranoico ma, francamente, non gli fregava niente.

Ultima carrozza, nessuna minaccia.

Penultima carrozza, idem.

Terzultima.“Merda!”

Se lo ritrovo a un palmo dal naso nell’intercomunicante tra la penultima e terzultima.

Notò che il suo volto era sfregiato da cicatrici, anzi, suture. E tra una sutura e l’altra la pelle era disomogenea. Pareva che gli zigomi, i lobi auricolari e la fronte provenissero tutti da persone diverse.

Lo sconosciuto minacciò Bors silenziosamente e lo condusse nella terzultima carrozza. Era vuota. No. Era piena di persone non vive. I finestrini erano tutti aperti e Bors sentì sotto le narici un lieve odore di mandorle amare.

 

“Per prima cosa lasci che le faccia i complimenti” iniziò l’uomo. “Lei stava quasi per trovarmi. In ogni caso l’ho trovata prima io”.

“Non capisco cosa voglia dire!” disse l’ispettore, ostentando falsa serenità.

“Ma come… le auto bruciate, le persone carbonizzate, Lille, Parigi, Lione…Non le dicono proprio niente?”

“Lei è l’omicida seriale.” sentenziò Bors.

Un sorriso si accese sul volto sfigurato dell’uomo. “Esatto”.

“Solo una domanda. Perché non mi ha ancora ucciso?”

“Io sto solo valutando la qualità di ciò che voglio prendere da lei…”

“E sarebbe?”

“Lei non ha ancora capito il mio modus operandi, temo. Si ricorda la citazione di Vasari? Ecco, io faccio la stessa cosa – in maniera più raffinata, s’intende – su un corpo, sul mio corpo. Quando avrò finito, sarò l’incarnazione della bellezza ”.

La parola “bellezza” e il raccapriccio dato dal volto deturpato stridevano nella mente di Bors.

“Comunque, lei ha una bella voce…” disse l’uomo.

“La voce? Santo Dio, ecco cosa vuole da me ‘sto pazzo. La laringe!” pensò l’ispettore.

 

L’assassino gli fu subito addosso, con un fendente dal basso verso l’altro. L’ispettore, con la porta alle spalle, afferrò l’avambraccio del sicario e fece in modo che la lama puntasse verso l’aggressore. Questi però tendeva sempre di più il braccio.

Bors sfiorò il sensore apriporte. I due caddero a terra, ma l’assassino si trafisse il petto con il bisturi ben oltre la lunghezza della lama. L’ispettore si scrollò di dosso il corpo esanime dell’uomo.

Prese il cellulare. “Che deficiente non averci pensato prima”. Contattò la gendarmerie.

 

Alla reception dell’albergo a Marsiglia gli chiesero se avesse viaggiato bene, vista la faccia poco riposata.

“Il viaggio è stato ottimo” rispose. “Per colpa di quei nerd ritardati dell’Interpol che non si sono accorti di un serial killer che viaggiava in treno io ho rischiato la vita e un vagone di persone è morto. Ho scoperto che ovunque vada il mio lavoro mi perseguita. Ma in questo modo mi sento a casa…” proseguì nella sua mente.

Pensò tra sè e sè: “Però, porca vacca, sono arrivato prima di Interpol e Europol… forse il viaggiare cambia la prospettiva da cui si guardano le cose. Più generale. Più divina”.

Il suo pragmatismo ebbe però il sopravvento: “Ma che diavolo sto dicendo?”.

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