24. La bottiglia del mercante

Genere: Fantasy

È stato un sogno, un lungo sogno.

Non riusciva a muoversi tanto era meravigliato, tanto era il suo stupore. Lo aveva rivisto: il castello. Grande e imponente, con le sue alte e enormi guglie, e torri massicce. Il portone di legno, gigantesco per lui, era rinforzato con lastre di ferro, le finestre altissime e chiuse. Tutto era come la prima volta che ci era stato, e come allora il silenzio faceva da padrone, nulla si udiva se non il suo cuore palpitante e il suo respiro affannato per la scalata. Mosse un passo tremante e non appena il piede si posò, sprofondò un poco per poi vedere sollevarsi tutt’intorno a lui una leggera foschia.

Era come tornare giovane, come se quel posto lo chiamasse e lo riportasse indietro nel tempo, all’epoca in cui era povero e orfano del padre. Molte volte aveva sognato di ritornarci, ma mai in modo così vivido e concreto e più volte ancora aveva desiderato anche solo un altro di quegli incredibili fagioli.

Si svegliò lentamente. Prima prese coscienza di sé, poi aprì gli occhi e in seguito si mise seduto sul letto. Si guardò attorno stropicciandosi gli occhi e riconobbe con rammarico che quella era la vita reale. Il castello, la pianta, le nuvole, tutto sognato. La luce del tardo mattino filtrava dalle imposte della sua tenuta e gli irritava gli occhi. Si mise in piedi e avvicinandosi alla finestra allungò una mano. Fremeva. Aveva sognato ogni giorno di svegliarsi e di aprire quella finestra trovandosi davanti l’enorme pianta verde, altissima, di cui non si scorgeva la cima, nascosta tra le nuvole candide. Essa rappresentava per lui libertà, avventura e vita vera, che gli aveva fatto dimenticare la povertà e la solitudine di quand’era bambino. Quando aveva dovuto abbatterla, tutto questo andò in fumo. Da allora non aveva mai più smesso di cercare fagioli simili o il misterioso mercante. Le uova d’oro recuperate il giorno prima permisero a lui e a sua madre di vivere da nobili, nella campagna londinese fino ad allora.

Era ancora incerto se aprire o no quelle imposte. Non voleva rimanere deluso ma sapeva già che non c’era alternativa. Le aprì. Un vasto giardino brulicante di giardinieri e alberi da frutto, querce, salici, fiori di ogni tipo, siepi, cespugli e un orto in fondo ma niente di straordinario che potesse fargli rivivere quelle emozioni.

Era solito suo fare una passeggiata, arrivare in un osteria poco distante e ordinare qualcosa da mangiare. Quindi si alzò e si vestì: stivali, mantella e cappello in cuoio. Afferrò la sua double barrel nell’armeria e sgusciò fuori dal portone. Non si sa mai dopo il gigante.

 

Arrivò all’osteria con cinque minuti d’anticipo rispetto alla sua solita routine, si sedette e ordinò all’oste agnello al forno e un sidro. Non aveva particolarmente voglia di mangiare in quel momento né di fare qualcos’altro in particolare, non sentiva niente, solo il solito senso di rimorso e nostalgia dentro.

Stava aspettando il suo agnello quando ad un tratto tra tutti gli schiamazzi, le risate e le voci degli uomini che erano lì ad ubriacarsi di sana mattina, ne riconobbe immediatamente una. Non l’aveva sentita più per quindici lunghi anni. Si girò di scatto, scorse velocemente le figure degli uomini seduti al bancone e ne vide una incappucciata, avvolta da uno spesso mantello nero, bassa, tozza. Lui! Qualcosa si accese: speranza.

S’alzò immediatamente e s’avviò verso di lui, percorrendo quei pochi metri in altrettanti pochi secondi, lo afferrò per una spalla e lo girò verso di sé.

-Ma che ti prende ragazzo?- urlò l’uomo alzando il boccale di birra. Barba, occhi strabici, vecchio, pochi capelli grigi. Non era lui.

-S… scusi, l’ho scambiata per un altro- rispose attonito. Gli ci volle qualche secondo per riprendersi.

Sentì una risata: -Eh Giacomino, non hai mai saputo come trattare l’altra gente!

Sì, questo era lui. Si voltò, lentamente. Ma nessuno era alle sue spalle.

-Dietro di te.- Si girò un’altra volta verso l’uomo di prima. Il volto era cambiato, le fattezze del vecchietto ad un passo dalla morte si erano trasformate in quelle del Mercante. Non era cambiato per niente: naso adunco, occhi furbi, barba leggermente ispida. Jack gli si sedette accanto e arrivò subito al sodo: -Ti sto cercando da molti anni.

-Lo so, lo so- sogghignò.

-Fammi ritornare, ti prego, vendimi altri di quei fagioli!-

Il Mercante sospirò. –Eh Jack, purtroppo ho esaurito quell’articolo, anni fa, proprio con te.

Jack non seppe che pensare. –Ma- continuò lui -Ho qualcosa che forse ti potrebbe interessare.

-Fammi vedere!-

Il Mercante rise, ma scoprì il suo mantello ugualmente, rivelando una piccola bottiglia. Vuota.

-Questa bottiglia racchiude un vento proveniente dal Nuovo Mondo, dall’America del Nord per la precisione. Può farti trovare ciò che tu cerchi.

Jack rimase perplesso, ma poi ricordò che fu così anche per i fagioli e subito allungò avido la mano per afferrare la bottiglietta. Tuttavia l’altro la ritrasse. –Ti avverto: questa bottiglia contiene quanto basta per andare e per tornare, ma perché il vento ti riporti qui dovrai romperla. Quello che vedrai non sarà quello che ti aspetti!-

Jack non ci pensò. –Quanto vuoi?

Rise. –Mi pagherai se tornerai.

 

Era il momento. Si trovava in uno spazio aperto, nella campagna, come lui aveva consigliato. Non sapeva cosa ci fosse dall’altra parte, ma il pensiero di poter rivivere di nuovo non gli fece peso. Impugnò saldamente la boccetta e con uno strattone estrasse il tappo. Immediatamente dal vuoto della bottiglia scaturì un tifone di enorme forza. L’aria gli impediva di vedere, di respirare, di sentire qualsiasi cosa, percepiva solo una gigantesca forza che lo schiacciava e lo sollevava da terra sempre di più. Era in un ciclone! Pensò subito che sarebbe morto e che mai avrebbe dovuto fidarsi del Mercante una seconda volta. La prima era andata di fortuna col gigante, ma ora? Come si può sfuggire ad un tornado?

Urlare era inutile, nessuno avrebbe potuto sentirlo, nemmeno lui si sarebbe sentito in mezzo a quell’ accozzaglia di venti. Chiuse gli occhi e si preparò a morire, la bottiglia ancora in mano.

 

Era stato un incubo, solo un incubo. Il ciclone, l’aver ritrovato il Mercante. Sollevò le palpebre con grande sforzo e una luce gli bruciò gli occhi. A poco a poco si adeguò alla luce e vide di fronte a se, degli steli d’erba. Era sopravvissuto! Si rese conto di essere steso a terra e di avere tutti i muscoli indolenziti. Tentò di sollevarsi e per poco non si ritrovò di nuovo con la faccia a terra. Era stordito. Mise a fuoco lo spazio circostante e non riconobbe la campagna inglese, anzi non riuscì proprio a vederla. Era su un monte, il panorama di una gigantesca città fatta di uno strano materiale verde lucente, forse smeraldo, gli era davanti, immensa, stupenda, e dietro una foresta. Jack sentì che qualcosa in lui si era risvegliato. Ma ad un tratto sentì alle sue spalle un ringhio sommesso e minaccioso. Tese la mano sull’impugnatura della pistola, il pollice sul cane, l’indice sul grilletto. Si girò. Un mostro con la testa da tigre e il corpo da orso, pronto per l’attacco.

Jack mirò e sparò. La carcassa del mostro, la pistola fumante.

Man mano che visitava quel posto gli si presentavano davanti luoghi sempre più misteriosi e creature sempre più strane. Alcune volavano libere come uccelli, simili a scimmie e con ali da pipistrello. Era come una nuova nascita per lui: rivivere dopo quindici anni di incompletezza. Finalmente! Da quanto lo sognava!

Alla fine di tutto, sereno nel cuore, prese la bottiglia e la infranse sulla roccia, per tornare da sua madre, dal Mercante e alla sua vecchia vita.

 

Questo non era stato un sogno. Lo sapeva.

Lì steso nel letto ricordava tutto, ma proprio mentre si godeva quei ricordi qualcuno bussò alla porta. Era Ershel, il maggiordomo.

- Mi scusi signore, la vostra ospite è qui. La signorina Dorotea Gale dal Kansas è di sotto che l’aspetta.

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