31. Il nome

Genere: Racconto di formazione

Akim, Akim era il suo nome, passò sulle labbra di tutti, sul cuore di molti.

Akim vide tutto e non conobbe niente, si affezionò a tutti ma non amò nessuno.

Niente. Nessuno. Niente e nessuno fino a che non lo conobbe. Lo vide la prima volta in un parco sommerso dalle gemme screziate di una magnolia in fiore. Molte altre volte lo vide senza vederlo, lo sentì senza sentirlo.

Tutto iniziò quando Lui lo guardò. Era vecchio ,i capelli lo avvolgevano in una nube impalpabile, invisibile, le membra ossute parevano corrose dal calcare, avviluppate dai rampicanti, nodosi e contorti. Gli occhi spiccavano come diamanti in un mare di stracci, come gaie voci infantili in un mormorio di lamenti. Akim nacque in quegli occhi. Il vecchio pensava molto, parlava poco. Akim iniziò a sedere in fronte a lui perché sentì che il vecchio era un mago. Sedette. Sedette e trovò molto più che magia, o meglio, trovò ciò che non avrebbe mai considerato magia.

Akim imparò, col tempo, a guardare. Si aggrappò strenuamente agli occhi del vecchio e vide il mondo senza viaggiare. Attraverso quegli occhi imparò a vedere il mondo da altre angolazioni, a vivere in altri corpi.

Fu mosca. La peluria come velluto, denso, soffocante, come alghe si muoveva e lo avviluppava. Le ali vibravano, bestie in trappola, coloravano il cielo, riempivano l’aria; alla luce si fondevano, si scioglievano in rivoli freschi.

Fu sasso. Il peso della storia lo gravava, sentiva l’affluire di migliaia di voci, di cori, di vite. La superficie ruvida un po’ lo infastidiva ma imparò ad apprezzarne la costanza e la rassicurante immobilità.

Fu luce. Fu acqua. Fu aria. Fu tutto e non si sentì più niente.

Il veccchio era saggio, non immortale.

Morì.

Akim non era pronto, diceva. Non poteva. Non era giusto.

Da allora Akim viaggiò molto, toccò ogni terra, respirò ogni aria. Cercava ciò che era stato: cieco ma a suo modo sereno. Si avvolse nei tessuti damascati orientali, si vestì di spezie, si nutrì di storie e vite.

Tornò.

Il viso portava incisa la sua vita, i giorni erano scalfiti nella carne, lo avvinghiavano, ne offuscavano gli occhi e ne soffocavano le membra.

Akim. Akim che era stato tutto e tutto aveva visto viveva in una gabbia di ore in cui il ticchettio del tempo ne assordava ogni percezione. La vita lo trasportava senza sosta e senza logica e lui era ogni giorno più morto.

In questi moti turbolenti si trovò un giorno in un parco, gli alberi erano più alti e possenti, le panchine più marce, ma gli parve vi fosse in tutto quel calderone di esistenze in mutamento un solido sperone , un baluardo agli assalti delle comuni leggi di fisica e di chimica: un cespuglio rigoglioso si ergeva maestoso e tronfio e tutto era avvolto da germogli iridescenti.

Akim vide allora il vecchio, vide il parco, vide se stesso e la vita e smise di cercare. Il mondo affluì in lui e lui si fuse al mondo. Fu il tutto e non fu più niente. Akim. Queste lettere erano incise a fuoco sulla mosca, sul sasso, sulla luce, sull’acqua, sull’aria e tutto il mondo trovava posto in lui abbattendone le superfici individuali. Vide con gli occhi del vecchio. Gli occhi del vecchio furono i suoi. Lui fu il vecchio, fu Akim e non fu più nessuno.

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