37. La casa del cuore

Genere: Romantico introspettivo

Dall’incidente tutto era cambiato in lei. Si accusava per tutto quello che era accaduto ed essere incolume, mentre sua madre era morta a pochi centimetri da lei era la colpa più gravosa.

Ma quel giorno le rondini cantavano allegramente nelle strette gabbie e l’erba era morbida e bagnata. Chiara guardava il cielo come per le prima volta stretta tra le braccia di Andrea.

Confidente sognatrice, aveva più volte sentito dire agli uomini in bianco nei loro discorsi al padre che lei non sarebbe più ritornata la ragazza che era, ma lei, che non aveva mai ascoltato le chiacchiere infondate della gente, perché avrebbe dovuto farlo allora?

Andrea scomparve per qualche secondo ed al ritorno teneva una piccola rondine tra le mani. La porse alla ragazza chiedendole di lasciarla volare via.

“Ma così la lascio a morte certa”

“Le rondini trovano sempre la strada di casa”, disse lui e lei schiuse le mani.

 

In sottofondo il ritocco della campane si fece sentire ed i due, mano nella mano, corsero lungo la discesa fino alla casa di lui.

“Pranzetto veloce e poi ti voglio portare in un posto nuovo” disse Andrea.

Senza nemmeno sfilarsi le scarpe fangose, entrarono in casa e dopo un panino e qualche bacio erano di nuovo mano nella mano sulla soglia d’ingresso.

“Dove mi porti questa volta, Andrea?”

“Sorpresa per la mia vagabonda” e detto questo le bendò gli occhi.

 

Un battito di ciglia, o meglio, una sgommata di moto ed Andrea disse “Eccoci arrivati” e anche se Chiara non vedeva nulla, era felice. Dalla perdita della madre si era chiusa nel suo mondo a parte e nessuno era più riuscito a farla sorridere in quel modo, ma Andrea era diverso dagli altri. Andrea la capiva. Andrea era casa. Andrea era sicurezza.

La moto si fermò. Si sentiva un rumore soffuso di acqua che cade, acqua che scorre frenetica e viva ed un caldo profumo di lavanda riempiva l’aria.

“Ora puoi aprire gli occhi”.

Chiara trattenne il fiato ed abbassò il panno verde che le impediva la vista.

Sempre con il respiro sospeso cercò la mano di lui e, dopo averla stretta, sorrise guardandosi intorno.

“E’ stupendo. Semplicemente stupendo”

“Più che altro è semplicemente un semplice posto” la corresse lui con lo sguardo apparentemente perso nell’erba alla ricerca di qualcosa di invisibile.

“Con te nulla è semplice”, precisò allora lei stringendogli la mano tremante.

Andrea alzò lo sguardo alla cascatella che scrosciava davanti a loro, come se parlasse con un interlocutore inesistente.

“Mio padre” disse “iniziò a portarmi qui all’età di nove anni. Mi faceva sedere sulle sue gambe proprio sopra quella roccia, a livello dell’acqua e mi schizzava con gocce del fiume per farmi ridere.”

I suoi occhi verdi tornarono a quelli cioccolato di Chiara.

“Era il nostro posto segreto, il nostro rifugio. Un posto in cui potevamo venire insieme come una sorta di campeggio padre-figlio o raggiungere da soli se eravamo tristi per qualche ragione e cercavamo conforto. A volte ci siamo incontrati qui, come se le brutte giornate seguissero il sangue dei Rossi tormentando sia lui che me… E’ dalla sua morte che non vengo più in questa radura… E’ cambiata molto dai miei ricordi. L’erba è così folta e quell’arancio era alto poco più di mezzo metro quando venivamo qui. Guardalo ora in tutta la sua altezza! I frutti sembrano succosi e pronti. Mio padre ed io aspettavamo da anni che questa pianta fruttasse per riempirci la pancia del nettare degli dei, come lo chiamava lui. Per quanto è cresciuta mi verrebbe da pensare che è già da tre anni che fiorisce a primavera, ma io non sono più venuto a queste rive dalla sua morte… Quindi non posso dirlo con esattezza…”

“Perché siamo qui, Andi?”

“Tu hai bisogno di un posto sicuro, ti regalo il mio. Vedilo come una seconda casa”

“Io non ho più una casa dalla morte di mamma, lo sai meglio di me…”

“E allora fai che diventi la tua nuova Casa. Un luogo nascosto dal mondo, dedicato solo a te, in cui piangere e ridere. Un luogo in cui io ti potrò raggiungere…”

Senza lasciare ad Andrea la possibilità di finire la frase, Chiara corse verso la roccia precedentemente indicata da lui e si specchiò nell’acqua limpida. Il suo sorriso splendeva come non mai, illuminato dai raggi del sole.

“Grazie. Grazie!”

Ben presto il riflesso di Andrea prese forma a fianco del suo, ma fu cancellato altrettanto velocemente da un gesto veloce della mano di Chiara che tagliò la superficie dell’acqua per schizzarlo.

Lui la strinse a sé, ma lei corse via.

“Prova a prendermi!” disse ridendo.

 

Si inseguirono per ore tra gli alberi fino ad essere sfiniti, allora si abbracciarono.

Lui la portò in braccio ai piedi di un ulivo, dove la fece sdraiare appoggiata alla corteccia. Si sedette davanti a lei, le prese le mani e sussurrò un leggero ma convinto “Con me sei al sicuro, io non ti lascio”. A lei bastava questo.

 

Una carezza sulla mano la svegliò. Chiara aprì gli occhi. Suo padre la guardava con amore dalla sedia di fianco al freddo letto di ospedale in cui giaceva da mesi. Al fianco di lui una signorina dai capelli neri e dritti come spaghetti in camice bianco annotava qualcosa su un block-notes.

“Ben tornata, piccola mia” disse lui alla figlia appena svegliata.

“Dov’è Andrea, papà?” chiese lei con flebile voce.

“Amore, per la milionesima volta… Andrea non esiste. E’ pura fantasia! Torna da me, torna a casa. Mi manca la mia bambina. Mi sei rimasta solo tu. Torna a casa!”.

Una piccola rondine nera fuliggine si appollaiò sul cornicione della finestra, stagliandosi sul cielo grigio.

Chiara la guardò e disse “Le rondini trovano sempre la strada di casa”.

Ma la sua Casa era in posto diverso, così richiuse gli occhi.

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