5. Un viaggio chiamato vita

Genere: Introspettivo

Qualcosa di bianco mi cade sul naso, lasciandomi una goccia fredda dopo essersi sciolta.

Alzo il viso, e vedo i primi fiocchi di neve dell’anno cadere. Apro la bocca, e li lascio sciogliersi sulla lingua, come facevo da piccola.

Penso che sia un’espressione di gioia da bambini, che ormai sono grande, che non dovrei, ma comportamento infantile o no, vedo mio nonno, accanto a me, aprire la bocca verso il cielo e fare lo stesso.

È strano vedere come certi atteggiamenti rimangano anche da adulti, e oltre.

Stringo le dita della mano del nonno, e rimaniamo qualche istante così, in contemplazione.

Alzo la mano che gli sto tenendo e cerco di toccare il cielo. Quando nevica sembra ancora più vicino.

 

A volte penso che l’unico limite della mia vita sia il cielo, ma quando guardo il rugoso volto di mio nonno, so che non è così. Lui era, o meglio, è un’astronauta, ed è andato nello spazio. Quando lo guardo so che posso andare oltre, ma non ho ancora le capacità per farlo. Devo prima crescere, imparare, viaggiare, vivere e sbagliare. Andare avanti, tornare indietro, prendere una scorciatoia a sinistra, percorrere il sentiero al contrario e andare a destra. Molte strade e molte possibilità tra cui scegliere e poter viaggiare.

 

Rientriamo in casa quando il nonno mi vede tremare; lui aprendomi la porta e io spingendo le ruote della carrozzina. Peccato. La veranda è la mia parte preferita della casa del nonno.

Mi metto davanti al camino, ad osservare le fiamme che lambiscono i ceppi con fiamme rosse, arancioni, gialle.

Se giro la testa posso vedere da una parte la neve alla finestra, e dall’altra il nonno che si affaccenda in cucina, mentre prepara il the, non con le bustine, ma con le erbe, all’antica.

 

Sento il vecchio bollitore arrugginito fischiare, e poco dopo avverto il nonno dietro di me, che mi tende una tazza di the fumante e si siede con un sospiro sulla sua poltrona preferita. È anche la mia preferita, per via di quelle pezze sui braccioli, la sua morbidezza, nonostante i cuscini siano ormai vecchi, ma l’odore di casa che emanava… era inebriante. Mio padre chiedeva spesso al suo perché non rimpiazzava quella vecchia poltrona con una nuova, più comoda e adatta all’età del nonno, ma il nonno ed io sapevamo che la poltrona va bene così com’è. La conosciamo, è comoda e ancora integra. Se la cambiassimo, come potremmo sapere se sarà così comoda? Come potremmo averne la certezza?

 

Prendo un sorso di the bollente, che mi brucia la bocca, l’esofago, tutto fin nello stomaco, dandomi però anche una sensazione di calore e dolcezza, quando sulla lingua sento i quattro cucchiaini di zucchero sciogliersi. Vedo il nonno che beve un sorso di the e le sue guance farsi rossastre per il calore. Io rido, e lui mi guarda. Anche lui fa una risata scherzosa, che increspa le sue labbra screpolate; forse si è accorto dello stesso effetto sulle mie gote.

 

Mancano pochi giorni al rientro a scuola dalle vacanze invernali, e la cascina del nonno già mi manca. Lo osservo mentre guarda la neve fuori della finestra, sorseggiando il suo the, e cerco di memorizzare il suo volto, nonostante io l’abbia già impresso nelle retine. Le rughe attorno agli occhi, il naso grosso, le labbra screpolate e un accenno di barba sul mento; i capelli bianchi, candidi, sempre spettinati. Tutto questo è il nonno. Mi ritrovo a pensare a come farei senza di lui, ma non lo so.

Dopo qualche minuto si accorge dei miei occhi, famelici del suo profilo, su di lui.

Apre la bocca e inizia a raccontarmi di quando era giovane, ed era andato in missione nello spazio. Avevo già sentito spesso quella storia, ma raccontata da lui, con quell’enfasi, quell’emozione, senza rimpianti dei tempi passati… era sempre commovente e piacevole.

Lascio la mia mente libera di vagare e rappresentare quello che mi sta descrivendo il nonno. Gli allenamenti e le prove da superare; la tuta un po’ scomoda; l’attesa della partenza; il conto alla rovescia…

- Quando siamo atterrati, non ci potevo credere. Ero andato nello spazio- conclude. Sto per applaudire, come mio solito, quando il nonno, dopo aver ripreso fiato, continua.

- La vita è come il mio viaggio nello spazio. Prima di poterla affrontare devi allenarti e prepararti al meglio. Nel tuo caso la preparazione viene dalla scuola, che ti da un’istruzione, e dai tuoi genitori, che ti insegnano come comportarti e ad affrontare da sola le avversità che ti si presentano davanti, in quel percorso che chiameranno “vita”.- fa una pausa per riprendere fiato, e mi accorgo che anch’io lo stavo trattenendo, talmente ero emozionata. Espiro e riapro le orecchie, ansiosa di sentire quella riflessione, di cui non mi aveva mai resa partecipe.

- Una volta cominciato il viaggio- continua, – sarai preoccupata, avrai paura. È normale, l’avevo anch’io. Devi ricordarti però, che non sarai sola, avrai qualcuno accanto. Avrai i tuoi genitori e me, esattamente come io avevo i miei compagni.- fa una pausa, e io mi rendo conto di come sia bravo a raccontare. Pendo letteralmente dalle sue labbra.

- Con l’andare avanti del viaggio, vedrai dal finestrino uno spettacolo magnifico, e lascerai le mani dei tuoi genitori, per proseguire da sola. E mentre cammini, penserai al perché tu avessi tanta paura di camminare da sola, perché in realtà la vita è meravigliosa.

Durante il viaggio comunque, dovrai affrontare diversi problemi. Potrai avere il cuore spezzato, stare male, perdere qualcuno, ma devi ricordarti che sei una persona forte.

Bisogna affrontare tutto con forza e sicurezza, e vivere. E per vivere, devi viaggiare. Camminare, conoscere persone e luoghi differenti. Devi allontanarti, con la mente o con il corpo, o con entrambe-

Io lo guardo e gli rispondo, con gli occhi lucidi: – Ma nonno, come posso allontanarmi con il corpo?-

- Devi avere fiducia, tesoro. Se non viaggi, non saprai mai se il posto dove vivi è quello giusto.-

Parole giuste, dette da un uomo saggio.

 

Chiudo gli occhi e mi vedo su un viale.

Mi guardo intorno. Non so decidere se proseguire dritto o prendere una delle tante diramazioni.

Poi scorgo un’ombra tra la foschia, in fondo alla via centrale. M’inoltro nella nebbia e raggiungo una radura. Lì c’è una persona girata di spalle, nella quale riconosco le forme di un ragazzo.

Spingere la sedia a rotelle sull’erba dovrebbe essere difficile, ma non faccio fatica.

Ormai sono a pochi metri dal ragazzo, quando questo si volta.

Ha un’aria così gentile. Mi guarda sorridendo e mi tende la mano.

Io la guardo, esitante.

Lui continua a sorridere, e forse è questo che mi da la forza di appoggiare le mani sui braccioli e con qualche incertezza e un po’ di fatica, muovere le gambe, appoggiarle a terra e alzarmi, cercando di reggermi su di esse, tremolanti per lo sforzo. Mi guardo i piedi e sorrido. Mi sto reggendo sulle mie gambe. Sono passati anni dall’ultima volta. La vista mi si appanna, e le lacrime scendono sulle guance, lasciando un percorso umido e salato.

Faccio incerta un paio di passi e gli afferro la mano, quasi lanciandomi su di lui.

Lo abbraccio, e mi sento a casa.

Riapro gli occhi.

‘È stato solo un sogno, o è quello che accadrà?’, penso confusa.

Mi guardo i piedi e con tutta la forza di volontà che ho in corpo cerco di muovere un piede. Questo si solleva di qualche centimetro. Sono sbigottita, ma sorrido, serena e colma di speranza, come non ero da molto tempo.

Votami

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>