62. Un orizzonte per Fletcher Longleaf

Genere: fantastico

Fletcher Longleaf guardava l’orizzonte, e pensava; questa era la cosa che gli piaceva fare di più: pensare. Sferzato dalla brezza del vento, scrutava in lontananza. Com’è strano l’orizzonte! Mai immutato eppure sempre lo stesso. Fletcher avrebbe dato qualsiasi cosa per tentare di raggiungere quell’orizzonte così familiare ai suoi occhi. Ma non poteva, e mai avrebbe potuto, per via della paralisi che lo tratteneva in una morsa d’acciaio sin da quando aveva memoria; e così, al parco, guardava l’orizzonte.

La sua attenzione fu attirata da una colonna di formiche che in quel momento stava passando sotto di lui.

In marcia, una dietro l’altra, a testa bassa. Compivano ripetutamente il tragitto dalla colonia a un pezzo di pane nelle vicinanze, instancabili. Alza gli occhi, formica! Non vedi la meraviglia che ti circonda? Guarda l’orizzonte, sono convinto che anche da lì in basso sia uno spettacolo. Quanto darei per avere le tue zampette e, piano piano, avvicinarmi sempre di più, fin quasi a toccarlo!

Ma le formiche continuavano il loro tran tran: colonia-pane, colonia-pane…

Ed ecco che, giunte per l’ennesima volta alla fonte di cibo, un passerotto atterrò lì vicino, prese nel becco l’ultimo boccone di pane e spiccò il volo.

Fletcher Longleaf guardava affascinato quella creatura che ora andava confondendosi con il suo caro orizzonte, quella creatura che volava libera nel cielo, senza catene.

Ah, vola uccello, vola! Se io non posso raggiungere i confini del mondo, almeno fallo tu! Vai e poi torna a parlarmene! Io ti aspetterò qui, sono sempre qui…

Diceva così a quell’uccello che già non vedeva più, tanto era lontano (sarà già arrivato?).

Senza bisogno di spostare lo sguardo, tornò ad ammirare l’orizzonte, così lontano, così irraggiungibile.

Passò un giorno, forse due, Fletcher Longleaf era sempre lì, guardava e pensava. Era così assorto nelle sue fantasie da non accorgersi che un uccello si era posato ai suoi piedi. Fu riportato alla realtà da un cinguettio irritato, guardò in basso e lo riconobbe: era quel passerotto a cui aveva fatto la sua preghiera! Fletcher lo guardò per un po’, contento del fatto che fosse tornato a fargli visita, ma, quando incrociò gli occhi nero abisso dell’animale…

Longleaf sentì il vento investirlo mentre sfrecciava nel cielo verso l’orizzonte, ma quello non era il suo orizzonte, era un altro, diverso; fece una larga virata e si voltò nella direzione dalla quale veniva, un altro orizzonte ancora, questo però aveva qualcosa di familiare: in lontananza, tra altri alberi si ergeva una quercia imponente, non poteva sbagliarsi, quello era lui! Quella era la quercia Fletcher Longleaf!

Si riscosse da quell’allucinazione, il passerotto non c’era più ma gli aveva lasciato qualcosa, qualcosa dentro. Ora aveva capito: lui stesso era l’orizzonte, come lo era anche una montagna, una formica o un uccello. Era sempre stato dove aveva sognato di essere.

Questo pensava mentre una bambina si arrampicava tra i suoi rami, si sedeva su uno di essi e scrutava l’orizzonte, così lontano, così vicino.

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