69. Il sogno

Genere: fantastico

Sono le 22.00, c’è buio, guardi dalla finestra del salotto e ti accorgi che si sta facendo tardi. Sei stanco, dopo una giornata di duro lavoro come si può biasimarti. Te ne vai in camera da letto, ti metti il pigiama, sistemi nell’armadio le pile di panni stirati che iniziano a crescere vertiginosamente e ora sai bene che non puoi più dirti: “lo faccio domaini”. Stai per coricarti quando ti ricordi che non hai ancora lavato i denti. Bene, cosa aspetti? Ti dirigi verso il bagno compi le ultime azioni della giornata e intanto cerchi di prevedere tutte le cose che potrebbero interrompere le tue ore di sonno. Devi far pipì? Beh, questo lo saprai tu. Finalmente ti distendi sul tuo letto caldo e accogliente. Prendi la posizione più comoda: prono, supino, raggomitolato, coricato su un fianco, insomma vedi un po’ tu. Ora è tutto pronto, stai per socchiudere gli occhi, ma qualcosa ti disturba, senti aprire la porta di casa: è appena arrivato tuo padre dal lavoro e come al solito mentre va a mangiare gli avanzi di cibo accende il televisore a volume massimo. Sei costretto ad alzarti e chiudere la porta della tua camera che ti sei dimenticato aperta, ma questo non basta, di lá il televisore è sempre acceso e il volume alto inizia ad irritarti. Alzi la voce, anzi in verità gridi a squarciagola: “papá, abbassa la televisione, sto dormendo!” O almeno ci stai provando. Eccoti di nuovo a letto, ricrei la posizione ideale e forse sei pronto a gustarti il meritato riposo. Ti prepari al solito viaggio nel sonno della notte.

21 luglio 1969, alle ore 5.56 l’astronauta americano Neil Armstrong posava il primo piede umano sul suolo lunare. La storia del primo sbarco sulla Luna è impressa saldamente nella mente di quasi tutti gli umani, è studiata in tutte le scuole del mondo, è raccontata con orgoglio da qualsiasi Statunitense, ma ciò che è conosciuto e che è stato tramandato è solo una piccola parte di ciò che è realmente successo. La favoletta che si racconta a scuola parla di una missione iniziata il 16 luglio alle 9.32, quando il gigantesco razzo Saturno 5 fu lanciato dalla rampa del Centro spaziale Kennedy in Florida. A bordo vi erano tre astronauti: il Comandante Neil A. Armstrong e i piloti Michael Collins ed Edwin E. Aldrin Jr. Ma non tutta la verità è stata detta. Parte della storia è stata accantonata, nascosta a tutti gli uomini per evitare uno scandalo che avrebbe offuscato l’importanza dell’impresa. E fortunatamente andò così. Ci sono segreti a questo mondo che dovrebbero rimanere tali, la magia che vi è potrebbe sconvolgere l’animo di molte persone e così questi miei scritti rimarranno solo dei diari di viaggio che per sempre saranno oscuri all’intera umanità. La verità è che a bordo vi erano altre due persone: io, Kim Adams, classe 1948, figlia di un archeologo e appassionata d’armi da collezione, il mio ragazzo James Fletcher facevamo parte della spedizione. Fin da piccola sono stata allevata per seguire le orme di mio padre, con lui ho vissuto una vita in continuo movimento, tutti i posti che mi faceva visitare e tutte le mie passioni sportive e culturali erano un vero addestramento. Ero predestinata a compiere qualcosa di grande.

Riconosciuta la mia abilità di archeologa, il mio amatissimo padre, ormai stanco e anziano, decise di coinvolgermi nella ricerca di un antico manufatto menzionato in una mappa Maya, la cui esistenza era dubbia. Mio padre mi diede la mappa che aveva rinvenuto in un antico tempio Maya e che non era ancora riuscito a decifrare. Solo una cosa era certa: la Luna era la chiave. Le mie ricerche dovevano partire da lì. Avevo pochi indizi ma il mio istinto mi spinse lo stesso a partire per la Florida dove convinsi il comandante Armstrong a farmi partire, insieme a James, con loro, a patto che la nostra presenza rimanesse segreta. Dopo un viaggio tranquillo durato quattro giorni atterrammo sulla Luna. Armstrong scese per primo e quando giunse alla fine della scaletta e finalmente fece l’ultimo salto che lo divideva dal suolo lunare pronunciò la storica frase: “Questo è un piccolo passo per un uomo ma é un grande balzo per l’Umanità”. Dopo poco Aldrin, James ed io lo seguimmo e mentre i due astronauti iniziarono a sistemare alcune ILapparecchiature scientifiche, mi misi con James alla ricerca di qualunque piccolo indizio. La mappa non mostrava altro che la Luna e un gelsomino abbozzato in un angolo. Dopo ore senza trovarvi nulla, mi sentii sconfortata e delusa. Da lontano sentii la voce del capitano che ci chiamava quando improvvisamente lo vidi, era lì, davanti a me: il gelsomino. Nel momento stesso in cui lo colsi sprofondai in un enorme cratere. Svenni.

Aperti gli occhi mi ritrovai al fianco di James in un posto straordinario: un immenso prato verde, cortili a forma di I, sulle colline erano sparse qua e là piccole abitazioni, dinnanzi ai miei occhi un maestoso tempio si ergeva. Tutto mi ricordava loro: i Maya. Una voce improvvisa mi fece sobbalzare; mi voltai e vidi un uomo che mi porgeva la mano: era Ah Kin Mai, il sommo sacerdote. Ero confusa, stranita, forse anche un po’ spaventata; avrei voluto fargli molte domande ma nessun suono uscì dalla mia bocca. Fu lui a riprendere la parola. Ero sbigottita, parlava la mia lingua. Mi guardai intorno, sopra di noi c’era un immenso cielo azzurro, del cratere non c’era più traccia. James era eccitato, una scintilla accendeva i suoi occhi: avevo uno strano presentimento. Con tono serio e solenne il sacerdote ci disse che i nostri compagni dopo averci cercato invano ci diedero per dispersi e ripartirono per la Terra e ci ammonì che tutto quello che avevamo visto sarebbe dovuto rimanere all’oscuro da tutti. Tutto d’un tratto James domandò: “come facciamo ad andarcene da qua?”. Il sacerdote puntò il dito in direzione di una grotta, ma non aggiunse altro. Fu allestito un grande banchetto in nostro onore, con tanto di musiche, danze e giochi celebrativi. Stavo assistendo ad una partita di tlachtli quando mi accorsi che James era scomparso, lo cercai ovunque, ma di lui non c’era traccia. Improvvisamente un grido di terrore si alzò nell’aria festosa: “è scappato, l’ospite è scappato!”. Il sommo sacerdote impallidì e si accasciò a terra. Ripresosi annunciò la sua visione: “popolo, la storia è destinata a ripetersi una seconda volta. Il ragazzo svelerà la nostra esistenza sulla Terra, i suoi abitanti ci invaderanno e porranno fine alla nostra civiltà!”. Sapevo esattamente cosa dovevo fare, non avrei permesso per alcun motivo che quello sciocco di James avesse svelato la loro esistenza. Si fidavano di me, li salutai e superata la soglia della grotta scomparvi nel buio.

Pochi minuti dopo mi ritrovai nella penisola dello Yucatan, non avevo dubbi sul luogo dove avrei trovato James, così mi diressi il più velocemente possibile all’aeroporto di Cancun. Non mi sbagliavo infatti, lo vidi affaccendato alla ricerca del primo biglietto aereo per il rientro in Europa dove avrebbe pubblicato la sua storia. Mi avvicinai a lui, quando mi vide mi abbracciò e mi disse che con questa storia avremmo fatto moltissimi soldi, ma io non potevo permettere che questo accadesse, avevo dato la mia parola. Lo supplicai di non dire nulla, gli raccontai della visione di Ah Kin Mai, ma non mi ascoltava, era come parlare ad un sordo. Ero dispiaciuta, non avrei mai pensato di poter arrivare a tanto. “Vieni qui, abbracciami”. Sfilai da dietro la schiena la pistola, un solo colpo bastò.

Amico mio, te l’avevo detto che ci saremmo rivisti presto. Guardati, sei tutto sudato! Non mi dire che adesso hai paura perfino della sveglia! Dai ti lascio alle notizie della radio: “e come disse Groucho Marx – ricordare il passato serve per il futuro, così non ripeterai gli stessi errori, ne inventerai di nuovi.”.

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