7. Odysseus

Genere: Mitologico

In realtà di mio non avrei mai voluto partire. Le mie terre mi davano tutto ciò che mi serviva per vivere, il calore della mia gente, l’amore della mia sposa, l’affetto dei miei genitori e il sorriso di mio figlio erano il vincolo più stretto che potesse legarmi alla mia isola petrosa. Ma il brivido che ho provato salpando con la mia nave verso l’Asia è stato comunque una delle sensazioni più forti della mia vita: gustoso, inebriante, potente, più ammaliante del canto delle sirene… Io l’ho ascoltato il canto delle sirene, per davvero, e posso dire che per me è cento volte più forte il richiamo di terre ignote, mari inesplorati, genti sconosciute. Per dieci anni ho combattuto non desiderando altro che poter tornare nella mia terra ma, quando veramente abbiamo fatto rotta verso Itaca, con le navi cariche di bottini e di schiave l’ho sentito di nuovo, più forte, il richiamo dell’ignoto, che stritolava il mio cuore nell’angoscia, che stuzzicava la mia mente e faceva apparire improvvisamente piccolo e soffocante tutto il mondo che conoscevo. Non ho mai voluto scappare, ero re felice nel mio piccolo regno, mai ho desiderato altro potere o ricchezze e per me la mia isola era la vista migliore, la più dolce di tutte. Non fu la bellezza di luoghi selvaggi a catturarmi; fu la sete bruciante di conoscenza. Non potei trattenermi dall’entrare nella grotta di quell’orrenda creatura che divorò due a due i miei compagni, né tapparmi le orecchie per non sentire il canto delle donne-mostro, e il brivido che provai scendendo nell’Ade non fu di paura. Viaggiare per me è come vivere cento vite diverse, essere cento uomini diversi, ed è l’infinita possibilità di scelta che mi si presenta a ogni tappa del mio viaggio a farmi sentire ancora più vivo; ognuno dei posti che ho visto, ognuna delle persone che ho incontrato si è presa un brandello del mio cuore, donandomi in cambio qualcosa da tenere nell’animo e nella mente, da custodire per sempre come una gemma preziosa. E la notte, quando prima di dormire un’ondata di angoscia mi assaliva al pensiero che mai sarei riuscito a vedere tutti i luoghi della terra, e che pezzi del mosaico meraviglioso mi sarebbero sfuggiti, mi consolavo al pensiero che forse un giorno dopo la mia morte qualcuno avrebbe cantato le mie gesta, per secoli e secoli fino alla fine dei tempi, e io avrei così continuato a viaggiare. Ho viaggiato tutta la vita e avrei continuato a farlo se non fosse giunta, lenta e inesorabile, la vecchiaia, se la morte non fosse venuta, discreta e silenziosa, sempre più vicina, a ricordarmi il destino comune a tutti i mortali, un destino a cui né la mia mente multiforme né la costante protezione della mia dea, Atena, hanno potuto sottrarmi. Ma ora che sto per andarmene e che mi volgo a riguardare tutta la mia vita di navi, compagni, porti sconosciuti, terribili pericoli mi rendo conto con stupore, con sgomento che c’è un pezzo della mia vita che nonostante tutto si è imposto sugli altri, l’unico che ha saputo davvero spronarmi a combattere contro gli dei e il destino per anni e anni senza mai arrendermi, l’unico che ha saputo vincere le più conturbanti seduzioni dell’ignoto, l’unico che mi ha fatto vagare per tutto il mondo solo per provare la gioia di cadere in ginocchio baciando la mia terra, di rivedere Telemaco, di stringere di nuovo fra le braccia Penelope e di versare una lacrima furtiva sul corpo di un vecchio cane che mi ha aspettato vent’anni prima di morire. Quel pezzo della mia vita è il ritorno a casa.

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