77. Il Talismano: racconto scritto sul Mezzo

Genere: Rosa

1)”Pour l’enfant, amoureux de cartes et d’estampes”

Con te mi sono accorto che usare gli aggettivi è uno spreco di tempo. Bisogna rinunciarci, fino a raggiungere la vena più solida della realtà. Per fortuna però non siamo in giro per parlare dei termini e della rotta. Te lo dico per mettere in chiaro le cose: oggi sono stanco, i ciuffi sul mento hanno bisogno d’acqua e di sole e siamo andati a cercarli, me l’hai promesso. Mi rialzo e cerco di accendere questo coso, perché di coso si tratta, perché definiscimi un mezzo del genere, ci porta in giro ma non localizza le coordinate e, dico, ne è passato del tempo da quando i satelliti girano tra le nostre teste, dico. Le cose da questo abitacolo poi si vedono meglio, siamo in mezzo alla strada ma percepiamo il deserto. Altrimenti due come noi in questo viaggio non sopporterebbero tanto a lungo questa vicinanza dei corpi, la distanza intima della prossemica. Nel Mezzo non si può stare che a 30 cm dall’altro e a contatto diretto di punti di vista.

<<Ecco cos’ero prima di nascere>>.

Probabilmente puoi capire che il Mezzo su cui ci muoviamo è uno specchio, una sigaretta come una matita, comunque è una cosa nell’accezione più generica di cosa- che ci possa essere utile o magari necessaria, ma anche questo non ci interessa più di tanto. Basta che dentro (o sopra, sotto, non so) si stia comodi. Se ricevo un messaggio devi capire che in viaggio arrivano anche a queste ore, alle 23.45 o alle 12.34, tanto che sembrano minacce, già prima di leggerli ti spaventi. Però lo capisco: sembra che io parli di viaggi, di questi fatterelli più o meno ricorrenti, ma mi ostino a dire no. È una storia vera cazzo. Il problema è che se vi dico che siamo andati a fare questa scampagnata, magari neanche da soli, in uno di quei posti miseri che trovi dietro l’angolo, che se ti dico dove allora mi saluti e poi ciao, allora direste ciao, ciao. Bene, perciò vi dico solo questo, che siamo sulla macchina dei miei, giusto per dare un po’ di concretezza alle informazioni di prima. Lei mi chiede se si troverà la via d’uscita, tutta questa storia per dei giochi di parole poi. Allora le chiedo di star zitta, perché non sto usando aggettivi e questo perché della storia proprio non m’interessa niente, le spiego che sto parlando di un viaggio veramente vissuto, che stavamo andando, io e lei, in un posto in cui riconoscermi, per definire cos’ero prima di nascere, per dirlo, anche io. Quindi ci siamo lanciati, ma letteralmente, perché è bastato svuotare il tubetto sulla tela e ci siamo trovati in un dipinto, una di quelle cose fatte da certi Profeti dell’arte. Sì, parlo di quelli. Veramente un indirizzo ce l’abbiamo, ma aveva qualcosa a che fare con un sopracciglio, quindi non ci è rimasto che seguire il punto indecifrabile contenuto in un punto ancora più piccolo. Allora, rassicurati nell’avere una meta, almeno quella, certa, ho provato a scolpire il velo d’indifferenza. Quindi mi ha risposto, attraverso l’immagine di lei che fa le fusa contro il vetro, disperdendo inutilmente calore, di cui, tra l’altro, ho un vitale bisogno. <<Vorrei un po’ d’affetto, di calore umano>>. Snff. <<Mi hai sentito?>>.Ssnff.<< Ok>>. Si scopre che è vero quel che dicono i cantanti o i poeti, che i versi e le onomatopee mica li fanno a caso. E allora anch’io, Snff. Ci siamo messi a guardare un film (pure questo si può fare qui), ma ci mettiamo poco a capire che non è la soluzione. Si ripresenta sempre la stessa situazione, con lei che tende elettricamente verso il finestrino, oltre la maniglia della serratura. Sento pure i suoi elettroni attirati dal Mezzo, ionicamente, indissolubilmente. Credo sia perché non sono adatto ad accoglierla, perché non riesco a contenere le cariche necessarie, perché questo viaggio io proprio non lo volevo fare.

Facciamo anche conversazioni serie quando capita. Le dico che non sembra ma io sono veramente cinico, che sono freddo nel cuore, perché mi manca quel tipo di forza che nessuno può tracciare su una mappa, le dico. Però mi abbraccia e se ne torna dal suo compare, il finestrino. Le chiedo se vuole fermarsi da qualche parte prima dell’arrivo, ma mi parla di un posto dall’altra parte del paese. Mi sento logisticamente impotente, ma innamorato, tanto. Le dico che io lo percepisco il velo di Maya, eppure…

<<Non muovetevi o vi infilzo. Siete ricchi?>>

2)”L’univers est égal à son vaste appetit”

Giuglio, mi chiama.

Abbiamo abboccato all’amo e nella nostra pausa lungo il tragitto ci siamo baciati. Tuttavia, il problema è ciò che è successo dopo. Nell’ansia di comunicare quello che provavo, non mi sono accorto dell’essere informe che è entrato nel Mezzo. Ci ha costretto ad andare a pesca sul laghetto con lui. Poi al lunapark. Il tutto fu un concerto assordante di rane starnazzanti, una battaglia tra le nostre coscienze e una subdola giostra di animali impagliati. Nel tragitto lungo la ferrovia della banana a vapore ci siamo parlati un ultima volta, io e lei, prima del “ritorno” nella non precisata ma già citata via che ha qualcosa a che fare con un sopracciglio. Dopo le frasi di circostanza e quelle dette per allontanare il Bambino, abbiamo dato il via a quello che si potrebbe definire un fraseggio onomatopeico, una sticomitia di fonemi.  Non ci soddisfacevano  i nostri intelletti, necessitavamo dei corpi, volevamo tagliare la vena più solida della realtà. In fondo, però, mentre osservavamo il BambinoFango che ci si avvicinava –l’entità con cui dovevamo fare i conti- pensavamo, con quel briciolo di coscienza che ci teneva legati alla vita, alle conseguenze di quel viaggio intrapreso come nella mente di un Profeta, ma lasciato a metà, poco più insignificante di un bozzetto preparatorio.

Le  cose si capiscono meglio al ritorno.  Lo dico perché dietro di me c’è un bambino troppo cresciuto coperto di fango, che continua a chiamarmi Giuglio e mi minaccia con un tridente. Tentare di correggerlo sarebbe come segnare la propria fine. Quindi riesco ad affermare che ogni ritorno che ho vissuto non è mai stato idillico, ma al contrario infernale. Ho veramente ripreso ad usare gli aggettivi, a calibrarli. Ho tradito lei ma soprattutto ho tradito te, lettore, ma te ne sei accorto? Compirò l’atto finale di coerenza, metterò un punto a questo racconto, mentre l’auto dei miei genitori svetta su questa strada sterrata di campagna.

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