82. Fauna pendolare

Genere: umoristico

In quel particolare momento che è a mattina primaverile, l’alba si allarga con docile lentezza attraverso le fronde, raggiungendo con una carezza amorevole i tronchi degli alberi secolari e le famigliole di animaletti che li hanno scelti come dimora, le imboccature delle tane sotterranee e le felci che fan loro da protezione. Allora si lava un coro di cinguetti e frulli d’ali, testimoni di vitalità e gioia di vivere. Lo stesso vitalismo, la stessa energia sono quelle che, a pochi metri dal bosco, vengono bellamente rifuggiti da un popolo di cadaveri che trascinano i piedi e articolano suoni pastosi e lamentosi, corpi senza traccia di senno umano e spinti non dalla forza vitale, bensì dall’abitudine del pendolarismo.

Ogni mattina opero una traslazione dal letto alla fermata del pullman e mi unisco agli zombie nella lunga attesa per il mezzo che ci trasporterà verso Bergamo, con la bava alla bocca, qualche sparuto russare e migliaia i improperi biascicati contro i pennuti che cinguettano a voce troppo alta, incuranti dei nostri traumi mattutini. L’atmosfera di sonnolenza viene all’improvviso rotta dal cigolio ben conosciuto della ruote dell’autobus di linea mentre supera la curva e appare a pochi metri di distanza, scacciando finalmente con il suo sferragliare i volatili saccenti e il torpore dalle menti di noi bestie. Ognuno si prepara nella posizione che ritiene migliore, selezionata dopo anni e anni di apprendistato tra mille già provate e fallite, con il fine di prevedere il punto esatto in cui la porta di aprirà e di raggiungere nel più breve tempo possibile un posto libero su cui fiondarsi. Rapidamente, con il pensiero lucido e attivo, calcolo la distanza tra me e le vecchiette davanti cui so per certo che il gentile autista aprirà la portiera e mi lancio a gomiti tesi per trovarmi immediatamente nelle vicinanze del loro deretano, sapendo che altri avranno la mia medesima idea. Infatti con la coda dell’occhio noto un movimento di massa verso le anziane donne, un vorticare di braccia e cartelle, in mezzo al quale i più lenti e goffi stanno soccombendo e annegando. Sferro un paio di gomitate, respingo qualche colpo basso, scavalco con un salto un’entrata a gamba tesa e raggiungo la pole position che un essere dotato di eastpack stava per conquistare in modo definitivo prima che venisse scaraventato da una mia spallata disteso lungo il marciapiede. Le signore con molta, troppa calma, salgono sul mezzo e si accomodano con tutto il loro arsenale di borse nei primi posti, così che io, ondeggiando di uno strano moto proprio di chi cammina nei corridoi dei pullman, debba cercarmi un posto più in fondo. “Posso?”. Senza aspettare la risposta, mi catapulto sul primo posto libero che trovo, di fianco a una delle tante figure incappucciate e forse dormienti che popolano i sedili alle sei e mezza di mattina.

Eccomi, pronta a diventare uno di essi, ritornando in stato catatonico, quando una cartella, data la quantità di libri che contiene potrei tranquillamente scommettere essere di un primino, mi colpisce il volto una volta, poi una seconda, una terza… Lo schiaffeggio cessa, casualmente, ad una mia imprecazione, accompagnata da una gomitata nelle costole del proprietario, che non osa lamentarsi e torna nel suo sconforto tipico di chi non è riuscito a prendere posto.

Un altro colpo di borsa in viso. Mi sveglio per riutilizzare la gentilezza e convincere il non-seduto a spostare la cartella, se non che ora si tratta di una docile vecchietta: “Scusami, ti ho colpito?”. “No, non si preoccupi”, non potevi rimanere all’ospizio? “E’ che non sono proprio riuscita a trovare posto oggi”. Fingo di non sentire la velata richiesta, almeno finché non mi torna a schiaffeggiare con la borsa. “Vuole sedersi al mio posto,” maledetta? “No, no, posso rimanere in piedi, mi hai preso per un’anziana?”. No, ti ho preso per un’ottantenne, mi scusi.. Riprovo a dormire, ma una voce fastidiosa al mio fianco, dalla parte del corridoio, si mette a parlare della varicella del nipote, poi della visita che deve andare a fare dal ginecologo, poi del suo cane che mangia troppo, poi dei giovani d’oggi che sono irrispettosi, poi della bolletta del gas…

La figura che mi stava seduta a fianco scende, causandomi un moto di gioia, perché ora potrò avere lo spazio per appoggiare il capo al finestrino e finalmente potermi addormentare. La mia gioia è però destinata a durare poco: piccoli terremoti sconquassano l’autobus, passi troppo pesanti azzittiscono il cicaleccio globale e perfino le urla provenienti dagli ultimi posti in coda al pullman tacciono, ammutoliti dalla mole di lardo che sta avanzando lungo il corridoio. La preghiera “fachenonsisiedaqui, fachenonsisiedaqui, fachenonsisiedaqui” non dà frutti: una deformazione nello spazio-tempo mi avverte del fatto che un nuovo piccolo pianeta ha deciso di sedersi proprio di fianco a me. In men che non si dica, mi ritrovo e far gara con il vetro a chi sia più piatto, spiaccicata come sono da quattrocento chili di persona. Un enorme gomito tripposo mi spinge ancora di più, mentre la mano gigantesca che gli sta attaccata cerca a fondo qualcosa in una borsa. Attraverso strati e strati di lipidi depositati sento vibrazioni sonore che raggiungono i miei timpani e che interpreto come un urlo di soddisfazione quando la mano trova quel che cercava: termos e biscotti! Rumori, odori, sbriciolii di biscotti combattono tra loro nel tentativo di farmi venire una fame tremenda o di farmi rigurgitare la magra e rapida colazione che ora di trova in uno spazio imprecisato tra il mio stomaco e i miei polmoni, perforati dal peso immane. “Aiuto…”, ma nessuno sente la debole invocazione, soffocata da quintali di colesterolo a forma di persona. Se trovo spazio per respirare forse posso anche addormentarmi…

Mi risveglio di colpo, improvvisamente liberata dal grave su ogni parte del mio corpo indolenzito, assalita da moti di ringraziamento per ogni divinità conosciuta per essere ancora respirante. A malapena avverto il movimento brusco del pullman non appena si libera di quattro passeggeri in uno, assalita dalla nuova sensazione di libertà e pienezza. La felicità di essere di nuovo in vita mi si tronca in gola, mentre un odore di aglio e sudore mi attacca in modo brutale, nella persona di un magro e nervoso omino in giacca e cravatta. Penso di poter vedere le verdognole spirali che mi si avvicinano in modo subdolo, stanno per uccidermi, lo giuro, finché non ho ‘idea di immergere il volto nella mia cartella, piena di briciole di appartenenza del precedente vicino di posto, che almeno sanno di cioccolato. Mi riaddormento con la testa infilata  nella borsa.

Di nuovo sveglia, libera, felice! Se n’è andato, ora posso dormire in modo normale e rilassato: sto già sognando di nuotare in un mare di zucchero filato quando: “Oh, svegliati, siamo a Bergamo”. Grazie, credo che continuerò a dormire.

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