03/2016. Ibrahim. L’Italia agli occhi di un rifugiato

Ibrahim in Italia era giunto dopo mesi di viaggio in mezzo al deserto ed in mare. Arrivato sulle coste sicule a luglio, quando il Sol Leone brucia ogni cosa trovi sulla sua strada, era giunto in quel di Porto Empedocle su di un barcone con molti altri suoi connazionali. L’accoglienza non era stata certo delle migliori: trattati come dei criminali, controllati con guanti e mascherine come portatori di malattie infettive, furono portati in un ampio stabile somigliante ad un carcere. Un’alta rete circondava la struttura lungo il suo perimetro così che fosse isolata dall’ambiente esterno, mentre un cortile centrale permetteva ai rifugiati di prender un po’ d’aria durante il giorno. La sua fortuna era stata quella di fuggire da quella situazione d’internamento per trovar all’esterno uomini all’apparenza ben intenzionati, che gli proposero un lavoro certo ed una casa in cui vivere. La realtà era ben diversa: un lavoro sottopagato in una piantagione di pomodori nel mezzo del Tavoliere delle Puglie, una catapecchia come casa ed un misero stipendio giornaliero a malapena sufficiente per garantirgli una dignitosa sopravvivenza. Un giorno, nel mese di settembre, nella piantagione era arrivata la polizia. Una fuga generale ed per Ibrahim una caduta nel mezzo del parapiglia, una caduta costatagli una permanenza in carcere senza alcun motivo, in quella città che aveva sentito chiamarsi Lecce. Una gigante struttura grigia, lunghi corridoi contornati da sbarre ed un cortile arso dal sole settembrino,  uomini in divisa a controllarlo, come nella struttura in cui era stato posto al suo arrivo in Sicilia. Finora l’Italia che aveva conosciuto era solo quella delle case penitenziarie della polizia, ma qualcosa stava per cambiare. In cella non era solo, ma in compagnia di altri tre uomini : Gustave, proveniente dalla Val d’Aosta, Cristiano, umbro di Terni e Giovanni, molisano di Isernia. I tre lo guardavano con diffidenza, quasi con paura, e per il povero Ibrahim non poteva che profilarsi una lunga dura convivenza. Nessuno gli aveva detto perché era finito lì dentro e per quanto ci sarebbe rimasto. La tristezza lo soggiogava e forte era il ricordo del lungo esodo dal Sudan, suo paese natale, dello scetticismo dei popoli incontrati, della permanenza forzata in Libia e della sua famiglia, lasciata nella terra d’origine in balia a lotte continue fra ribelli e governo. La preoccupazione fu così intensa che Ibrahim una notte fece un incubo: i ribelli giungevano nel suo villaggio, rapivano il figlio e seviziavano le due figlie e la moglie prima di ucciderle. Un urlo squarciò la buia notte della cella e svegliò i compagni addormentati. Ibrahim era in preda ad una crisi di panico e disperato piangeva e farfugliava qualche parola sottovoce. Di fronte a tutto ciò ecco giungere l’improvviso aiuto da Cristiano, colui che fino a quel momento lo aveva scrutato con maggior diffidenza. Quell’uomo così truce e scontroso si era rivelato in realtà un uomo dal cuore d’oro, pronto a consolare il proprio compagno in caso di necessità ed in grado a ricondurlo ad un tranquillo sogno. Il giorno successivo Cristiano raccontò il tutto agli altri che divennero più disponibili con Ibrahim. Forse non era quella l’Italia che aveva conosciuto, forse era un altro paese, composto da persone ospitali e graziose, dove il pregiudizio non esiste. Tutti i tre erano curiosi di sentire la storia di Ibrahim, così dura e crudele, ma anche disponibili a raccontare la propria. Cristiano era finito lì per aver truffato degli anziani della zona, Giovanni aveva derubato con la sua banda alcune ville del Salentino per poi esser arrestato soltanto lui, mentre Gustave aveva tentato di uccidere la moglie all’epilogo di una feroce lite. Quest’ultimo aveva lasciato la sua fredda terra innevata per il caldo sud per amore, ma tutto aveva rischiato di finire a causa di incomprensioni. Gustave veniva dalla terra della neve, quella cosa che Ibrahim aveva tanto sentito parlare, ma che in Africa non esisteva. Era il suo sogno vederla una volta, quella coltre bianca che d’inverno imbiancava ogni paese d’Italia, come Gustave gli raccontava; con cui ci si poteva divertire e con cui tutto l’ambiente diveniva incantevole. Giovanni, proveniente dal profondo sud, gli spiegò come fosse praticamente impossibile che a Lecce nevicasse. Lì c’era il mare, il calore, le spiagge bianche che d’estate si riempivano di bambini festanti con le loro famiglie.  Quel mare che gli ricordava molto il litorale di Lanciano, non molto lontano da casa sua, e che gli creava una certa nostalgia.  Ad alimentare le speranze del ragazzo africano restava l’opinione di Cristiano, che riteneva possibile la realizzazione di questo miracolo nella Penisola Salentina. Raccontava Cristiano come lui provenisse da una terra dove talvolta la neve copriva le colline contornate da alberi secolari. Immaginarsi foreste di alberi centenari per Ibrahim era assolutamente complesso, quindi Cristiano decise di mostrarglielo attraverso alcune fotografie possedute sul proprio cellulare. Gli occhi di Ibrahim si spalancarono di fronte a cotanta presenza di verde, lui che era abituato al giallo ocra della sabbia del deserto. In una mattinata Ibrahim era riuscito a conoscere il Bel Paese, ma aveva ancora molte cose da imparare, e per renderlo più a suo agio i suoi compagni decisero di preparare un pranzo formato da piatti tipici italiani. Abituato a profumi forti, il dolce odore del rosmarino e della salvia lo estasiarono, per non parlare dell’intensa flagranza del ragù sfrigolante nella pentola assieme agli spaghetti in cottura.  Il gusto della valdostana e il delicato sapore della caciotta prodotta da Giovanni accesero i suoi sensi, ma quello che apprezzò di più fu l’aroma del caffè italiano, tipico solo della nostra penisola. Durante questo tour culinario ecco giungere la sorpresa tanto attesa da Ibrahim: la neve. Dal cielo plumbeo scendevano fiocchi bianchi che con tenerezza si posavano sul terreno gelido di dicembre. Con il passare della giornata la coltre bianca aumentava ed il tutto diveniva bianco, smorzando ogni rumore. Ibrahim era felice con un bambino dopo aver ricevuto un nuovo giocattolo, l’unica cosa che lo rattristava era non poterla toccare. Per Ibrahim però le sorprese non erano finite ed ecco che in quel pomeriggio fantastico giungere una nuova notizia : Ibrahim avrebbe potuto lasciare il carcere. Era stata accertata la sua innocenza ed avrebbe potuto ricominciare una nuova vita in questo fantastico paese che aveva imparato a conoscere grazie ai suoi nuovi fantastici amici. In questi tre mesi aveva conosciuto il vero volto dell’Italia, non quello che aveva incontrato al suo arrivo, ma quello composto da persone accoglienti e pronte ad aiutarlo, per non parlare del paesaggio mozzafiato.  Ora era libero, ma cittadino di un paese magnifico.

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