10/2015. Il sapore del colore

Intinse il pennello nella tempera rossa, una goccia di colore gli scivolò tra le lunghe dita ossute; la fece colare sulla tela bianca, avvicinando la mano con un gesto veloce ed esperto. Diede un’occhiata al cesto colmo di frutta matura posato sul tavolo dietro al cavalletto e si soffermò su una grossa mela rossa, screziata di giallo vicino al picciolo. Un raggio di luce, che filtrava dalle persiane abbassate, creava un’ombreggiatura sublime ed esaltava la lucidità del frutto. Un grappolo d’uva nera copriva in parte la mela e straripava dal cesto, rovesciandosi sul tavolo e rubando spazio anche alle clementine, che si intravedevano arancioni tra gli acini. Il cesto era poi ornato da piccole castagne e foglie dalle forme più variegate.

Il pittore posò il pennello, contemplando quella composizione di gusto e colore ed assorbendone l’armonia, come solo un grande artista riesce a fare. Dipinse perdendosi nelle sfumature, catturato da una frenesia che gli faceva fremere la mano sulla tavolozza; ne fu pervaso completamente e scagliò contro la parete della stanza lo sgabello, continuando la sua alchimia di colori in piedi, per ore.

Si accorse che era ormai sera quando il fascio di luce che illuminava il cesto divenne pallido, per poi sparire lasciando la stanza completamente buia. L’uomo si stese sfinito accanto alla sua opera e dormì per terra, tra i tubetti di colore e l’odore intenso dell’acquaragia, fuso con la fragranza che emanavano i frutti.

Il giorno dopo, svegliatosi all’alba, ultimò il quadro e uscì di casa per andare a comperare le tempere che aveva finito. In paese, il pittore era oggetto di molti pettegolezzi e la sua stravaganza incuriosiva assai gli abitanti: c’era chi lo considerava affascinante e chi troppo misterioso, ma tutti convenivano che le sue capacità artistiche fossero indubbie.

Il barbiere, che stava sempre sulla soglia del negozio, lo vide passare avvolto nel suo pastrano nero e notò le mani ancora sporche di colore. In breve si diffuse la notizia che il pittore aveva sicuramente realizzato un nuovo quadro e quella sera, all’imbrunire, una folla di vicini si accalcò all’ingresso della sua piccola casa a torretta. L’uomo mostrò il quadro, suo malgrado, poiché non amava svelare le sue opere, intrise dei suoi sentimenti più intimi. Tra gli abitanti calò un silenzio denso di stupore, i loro occhi guardavano la frutta dipinta tanto intensamente da sentirne quasi il dolce sapore in bocca. Era come se, allungando la mano, avessero potuto staccare un acino o afferrare la mela: il dipinto aveva uno spessore e le pennellate dense esprimevano un gesto pittorico istintivo, frenetico nella sua bellezza.

Quella notte il pittore si svegliò inquieto, legatosi la vestaglia in vita, accese una candela e si ritirò nel suo studio. Prese la frutta ormai appassita dal cesto e la gettò via, insieme alle foglie secche. Sedette scomposto sullo sgabello, rabbrividendo per gli spifferi che soffiavano attraverso le imposte chiuse della finestra. Improvvisamente si rese conto di aver molta fame, gli capitava spesso, infatti, di stare a digiuno anche per più di un giorno, quando dipingeva. Scese le scale che portavano in cucina e aprì la dispensa, ma trovò che le vivande fossero nauseanti, le vedeva come un’informe massa grigiastra, prive di quella bellezza che la sua frutta dipinta, invece, emanava luminosa. Sentì il sangue affluirgli alla testa e si portò una mano alle tempie pulsanti. Passò le ore notturne nel suo studio ad osservare il dipinto, scosso da forti brividi e febbricitante. Era confuso, nella sua mente i colori fecondavano i sapori in una danza folle, sprigionando un’energia che sembrava voler liberarsi dalla tela del dipinto e prender forma. I colori brillavano riflessi nei suoi occhi lucidi, avvolgendo le pupille nere. Il pittore si alzò barcollando dallo sgabello su cui era seduto e si aggrappò al cavalletto, in un gesto spasmodico. Oscillando mollò la presa e urlò, mentre cercava di afferrare la mela dipinta. Graffiò rabbiosamente la tela facendola a brandelli, poi, con le mani contratte per lo sforzo, afferrò la tavolozza e si portò i colori alla bocca. Cadde a terra e rimase lì, disteso. La candela che teneva in mano gli rotolò accanto e si spense.

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