12. Il crepuscolo degli dèi

Cara madre,

Nell’ora mia che or mi pare più buia, a te naviga la mente appesantita dai suoi travagli e dalle sue preouccupazioni. Non puoi sapere come mi sia difficile trovare le parole per poter aprire il mio cuore  e farne uscire dal di dentro paure, dolori, angosce, mille contorti serpenti che mi stritolano e mi soffocano.

So che difficilmente riceverai questa lettera, che forse ddi leggere nemmeno avrai il cuore, eppure a te vanno i miei ultimi pensieri, a te, che ora, più di ogni altro, desiderei avere al mio fianco, a te che, consunta nel corpo e divorata nell’animo dall’interno, ancora attendi, ne son certo, il mio ritorno, seduta sulla soglia di casa al tramonto.

Sento il lento e solenne incedere dell’ultima ora, presto il cuore arriverà al suo ultimo battito fatale. So che tu sola pur lontana ascolti i miei pensieri e le mie congetture filosofanti e pindariche, perché tu sei mia madre, ed io sono tuo figlio; presto la parola fine verrà scolpita, terribile e inesorabile, sulla triste mia storia, ma so che nemmeno il tempo, pesante catena dell’uomo, per quanto distruttivo nella propria potenza, potrà erodere il ricordo di me che eterno e immortale resterà in te, o anima invincibile e pura!

Già ci ha schiacciato la guerra con la sua crudele disumanità schiumante di rabbia: lo vedo e lo sento nella prima brezza zuccherina e primaverile del mattino, o nel tramontare tisico di questo sole che imputridisce rosseggiando e infettando l’orizzonte, quando stinge il suo colore e le sue mille e diverse e screziate tonalità carminie e cremisi fino a morire e pugnala gli ultimi tasselli acquerellati di celeste e turchese del cielo, o ancora nel volo solitario delle rondini che vanno chissà dove a cercare la terra che non ha barriere, di là delle colline tondeggianti come seni e ciliegie mature, or ora cullate e coccolate da questa malata luce che forse per l’ultima volta vedranno gli stanchi occhi miei.

Presto placida scenderà la buia notte e crollerà questo cielo eterno, quando si sarà fatto nero e impenetrabile, mutilato per sempre dalla ferocia e dalla brutalità che lo aggrediranno.

Chiedo a te, mamma, che da madre tanto hai sempre saputo e mi hai insegnato, quale follia oltre l’estremo e l’assurdo ci spinse, qual vano e alucido filosofare di profeti ci fece credere, o immaginare, o sperare che noi, poveri uomini mortali, soli e indifesi, avremmo potuto difendere grandi e vuoti ideali? Quale cieca fede in poveri miti ha solleticato all’eccesso la nostra fantasia di giovani che già si crdevano eroi?! Illusioni, illusioni, illusioni.

Ci hanno ingannato i vati, hanno divorato la nostra ignara giovinezza che abbiamo dato in pasto alle loro orribili bocche vomitanti vani ed effimere parole sfuggevoli. In questa infernale Gerico non verranno a salvarci con le loro chimeriche trombe gridando alto l’Halleluja levato a Dio: siamo soli. Io sono solo. E tu lontana, troppo lontana, da non poter nemmeno desiderare il tuo abbraccio. Sono morti, questi nostri profeti, questi nostri poeti che imprese future e tramontate già cantarono; io mi sento morto, a poco a poco sono morto nel sentire il loro pontiifcare fine a se stesso.

Madre mia, la rovina anche di un solo uomo è la rovina, la caduta dell’umanità intera: la rovina della Patria è forse solo un’accozzaglia semplice ma efficace di parole tra altre e altre e altre parole uscite subdole dalle nere labbra di naiadi e sibille.

È spaventoso come le idee, le nostre idee, siano, qui e ora, incerte, vacillanti, ed è così terribile sentire ancora e ancora parole contro le quali non si può dire nulla perché i fatti, idolatrati da idioti che si credono dei, sono, incredibile a dirsi, ancora una volta dalla loro parte.

E intanto sopra le nostre teste gli areoplani divorano l’aria e inghiottono sbranando con il loro assordante ronzio il cielo, e gemeno, intorno a noi come intorno a loro, le città che fumano in macerie, e da lontano terribile lo strepitio sommesso degli orfani ci trafigge con mille coltelli di fuoco e ghiaccio il cuore. La rovina della Repubblica è il nulla. Forse la Repubblica stessa è il nulla.

E forse il nulla sono gli ideali e le credenze, ma sono i nostri ideali e le nostre credenze. Forse. Ma ti prego lasciami questa fede, ho creduto fermamente tutta la mia breve vita.

Oh questi dubbi, questi dubbi atroci, se si dissolvessero presto e sfumassero via lontano come se mai ci fossero stati. Allora mi sentire davvero libero, anche di morire. E di morire da uomo libero.

Quel che è certo è che domani anche le nostre convinzioni con noi moriranno, con noi marciranno tetre sotto la terra bagnate dal nostro stesso sangue. E dalle lacrime tue.

Noi, in eterno dannati, per la nostra cecità, o ingenuità, o lealtà, per ciò che un’avanzata e saggia età che mai vedremo e che mai ci coglierà ci avrebbe fatto giudicare astratto, infantile, svuotato d’ogni contenuto. Ma pur sempre tremendamente umano. E nostro.

Quanto fragile si è dimostrato il nostro coraggio, quanto grandi il nostro egoismo e la nostra viltà.

E ora, nel buio della notte, il muto nostro grido, di casa, d’amore, di libertà e patria, alto s’innalza contro questo oscuro soffitto. Oh com’era trapuntato di stelle quando lo osservavo dal nostro verde giardino! Ora anche le stelle ci hanno abbandonato. Gli dei tutti, mai dalla nostra parte, ora ci lasciano.

Solo adesso capisco di essere partito al mondo, alla conqista di un orizzote lontano, per non farvi mai più ritorno.

Eppure so che tu ascolti le parole che non escono ogni sera dalla mia bocca e dalle mie labbra serrate. E forse realmente al momento mi sei vicina vagando errabonda con il tuo pensiero. Non darti pena per me madre, o almeno non per lungo oramai: già vedo stendersi sotto di me la sanguinosa battaglia, ne sento l’odore, ne riesco ad assaporare la polvere, odo lo scroscio intermittente e sommesso di lei, e poi l’alto cantare di fucili e mitragliatrici, che si leva, che s’abbassa, così lontano, così vicino, e poi il cannoneggiare tonante e i botti delle esplosioni dietro di me e avverto nuvole gialle di polvere incombere su di noi, su di me, e il brontolio effervescente delle granate. Madre mia, prega per me, perché io non ne ho più la forza, perché se trovo per te le mie ultime parole, nessuna frase o parola ci commiato o compassione, commiserazione o pietà mi riesce di afferrare per me, o per la mia carne martoriata.

O per la salvezza dell’anima mia.

Addio per sempre, a te memoria e ricordo chiedo e al tempo stesso affido: tutte le mie lacrime sono già state versate e oramai non ne ho più per me.

So di aver fallito. Ne sono certo.

E, nonostante la rassegnazione e la disillusione che da ultime si sono abbattute (e non da molto a dire il vero) su di me, ancora temo di morire.

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