17. Lei

Ancora quelle parole, quelle parole così devastanti, così forti, così piene, quelle parole che mi perseguitano, che continuano a vagare nella mia testa, quelle parole che non mi lasceranno mai in pace. “Non lasciarmi andare via”, quattro parole semplici che io non ho ascoltato. Me le ricorderò per sempre e continuamente torneranno per farmi provare questo senso di colpa così grande. Quelle parole le aveva pronunciate a bassa voce quasi soffiandole, come fa il vento per far cadere quell’ultima foglia che ancora non si è arresa all’inverno e sta in bilico sul ramo più attaccata che mai alla vita. Lei era una persona speciale, l’avevo amata sin dal primo momento, mi era bastato guardarla un attimo negli occhi per capire che mi avrebbe cambiato la vita in modo irreparabile ma mi avrebbe anche reso felice come mai nessuno era riuscito a fare prima. Non ho saputo capire e intuire niente, questo sarà il mio rimorso più grande che mi dilanierà l’anima fino alla fine dei miei giorni. Ora scrivo queste poche parole perché ho bisogno di sfogarmi e tirare fuori l’oceano di pensieri e emozioni che mi stanno uccidendo poco a poco. Ma soprattutto scrivo per far conoscere a tutti chi era Lei. Lei era una ragazza speciale, una apparentemente tosta, la incontrai in un bar un pomeriggio, saranno state più o meno le sei, l’ora in cui i bar si riempiono di gente che esce dal lavoro per festeggiare o per annegare i dispiaceri in un aperitivo annacquato. Io non ero da meno, ero lì seduto da solo al bancone e pensavo ai fatti miei quando i miei occhi furono inevitabilmente attratti da Lei, era a pochi passi da me, sembrava contenta, aveva un bel sorriso luminoso che subito mi mise di buon umore e degli occhi blu accesi e svegli. Non ero mai stato molto intraprendente così uscii e mi accesi una sigaretta. Riflettei un attimo: ero rimasto sconvolto da Lei subito, mi era bastato davvero solo uno sguardo per innamorarmene? Non sapevo cosa fare, nessuna persona mi aveva mai creato prima il turbinio di emozioni che avevo dentro di me in quell’istante. Ci misi qualche minuto a capire che non potevo lasciarmela scappare, era l’opportunità per cambiare la mia vita radicalmente e renderla magari migliore, era da anni che non ero più felice, dovevo tentare. Entrai nel bar e mi avvicinai a Lei, mi ci volle un po’ per capire che non mi sentiva, né mi rispondeva. Non poteva proprio sentirmi e nemmeno rispondermi: era sorda. Cominciammo a frequentarci io e Lei finché ormai ci vedevamo tutti i giorni, mi capiva subito e mi aiutava ad affrontare la vita con il suo coraggio e la sua forza. Stavamo insieme da qualche mese quando Lei scoprì un corso che insegnava, tramite l’ascolto delle vibrazioni delle corde vocali, a parlare ai sordi. Si iscrisse subito e un giorno mi chiese di accompagnarla. Ero felicissimo. La mia vita non sarebbe davvero più stata la stessa. Quando entrammo nella stanza del corso fui colpito dalla tranquillità e dalla serenità che si respirava all’interno, le pareti erano tutte bianche ma sopra vi erano scritte in nero delle parole, Lei mi spiegò che quelle erano i termini che loro avrebbero voluto imparare a pronunciare, ogni lezione se ne scrivevano qualcuna in più, cominciai a leggerle e vidi che quelle scritte sul muro erano le parole dell’amore. Mi commossi per le due che erano scritte praticamente ovunque, c’erano decine di “ti amo” scritti su quelle pareti. Mi sentii uno stupido, io che potevo parlare, io che potevo sentire, o meglio udire, perché sentire lo possono fare tutti, io che semplicemente potevo, avevo detto “ti amo” nella mia vita forse una volta e non ero nemmeno stato sincero. La vita è davvero ingiusta. Assistetti alla lezione e quando finì quasi mi misi a piangere, Lei si stupì della mia reazione, ero completamente svuotato, vedere gli sforzi di quelle persone che con tutta la loro determinazione cercavano di pronunciare una parola mi aveva distrutto, per me era facilissimo parlare, era una cosa naturale, sprecavo ogni giorno miliardi di parole senza accorgermi di quale dono possedessi, mi sentivo male e soprattutto mi sentivo un ingrato, un ingrato alla vita. Mi piaceva ascoltare i suoi progressi, i suoi mugugni che a poco a poco diventavano parole. Era bellissimo, in quei mesi con Lei ero diventato finalmente maturo, avevo capito quali erano le cose importanti e apprezzavo ogni singolo momento della vita. Mi ricordo ancora quel giorno bellissimo in cui finalmente era riuscita a dirmi quella cosa stupenda, mi ricordo i suoi occhi che brillavano e quel soffio melodioso di voce che per la prima volta diceva “ti amo”. E quel “ti amo” Lei lo aveva detto a me. Solo a me. Solo per me. Eravamo felici insieme, io non sarei più potuto stare senza di Lei, avevo imparato il linguaggio dei segni anche se Lei capiva benissimo dal movimento delle labbra. Stavamo crescendo insieme. Comunque, dopo quel soffio di vita che mi faceva volare leggero, tra noi successe qualcosa di cui non mi accorsi. Un giorno mi guardò a lungo negli occhi e mi disse “non lasciarmi andare via”, io, come sempre di fretta per il lavoro non le risposi nemmeno, le diedi un bacio e la salutai. Non sapevo sarebbe stato l’ultimo bacio che gli avrei dato, l’ultimo lieve abbraccio, e non sapevo che le ultime parole che avrei sentito da lei sarebbero state “non lasciarmi andare via”. Se lo avessi saputo l’avrei stretta in un abbraccio molto più forte e l’avrei baciata molto più a lungo e l’avrei fatta parlare finché non mi avesse detto “addio, ti amo”. Tornato a casa dal lavoro quel giorno non la trovai più. La sua roba era sparita, le nostre foto scomparse, il suo profumo era nell’aria ma già stava svanendone l’essenza. Sei mesi dopo mi arrivò a casa una lettera non firmata, c’era scritto solo un indirizzo. Mi ci precipitai sperando di trovare il mio grande amore che sapeva parlare meglio di chiunque altro con il cuore e con gli occhi. Arrivai in un grande spiazzo di cemento, parcheggiai la macchina e mi voltai sapendo già cosa avrei trovato. Davanti a me c’era un piccolo cimitero. Una decina di tombe, non di più. Entrai dal piccolo cancello e la vidi subito la sua lapide, era di marmo bianco, fredda e sopra c’era scritto “Fra i rumori della folla ce ne stiamo noi due, felici di essere insieme, parlando poco, forse nemmeno una parola.”

Piansi, piansi a lungo, non c’era nulla da fare, se ne era andata, come era arrivata senza preavviso se ne era andata imprevedibilmente. Pensavo che avrei vissuto il mio futuro con Lei e invece sono costretto a scrivere queste cose su un foglio bagnato di lacrime. Piango perché pensavo che io e Lei ci capissimo al volo, usavamo soprattutto gli sguardi, ci bastava un’occhiata per intenderci, i miei occhi per Lei erano trasparenti ma probabilmente a Lei non bastavano gli sguardi e io solo ora ho capito che erano le parole quelle che le mancavano davvero. Ogni tanto mi diceva che non saremmo dovuti stare insieme perché io mi meritavo qualcuno che potesse parlarmi senza fare fatica. Per Lei era frustrante non riuscire sempre ad esprimersi ed avere al suo fianco qualcuno che invece di fatica non ne faceva. Io non la capivo perché l’amavo troppo, non avrei potuto amarla di più. Ma il mio amore non le è bastato perché Lei non c’è più.

Le ho dato il mio cuore e Lei mi ha donato la vita. Nonostante tutto ho cominciato a vivere davvero solo grazie a Lei. Ancora oggi ogni tanto i ricordi fanno male ma penso alle cose belle che abbiamo vissuto insieme e ricaccio indietro le lacrime. Non so perché sia morta né come ma so che mi ha amato. L’unico rammarico è che, forse, se io avessi ascoltato le sue ultime parole l’avrei potuta aiutare perché l’unica certezza che ho è che il vero amore non ha bisogno di parole.

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