20/2015. Misurando la vita in cucchiaini di caffè

Finalmente mi ero rassegnata ad aiutare mia nonna nella nostra ditta di manometri: era da molto che cercava di convincermi a donare un po’ del mio tempo agli altri perché, a suo parere, lavorare anche solo un’oretta alla settimana mi avrebbe aiutato a capire l’importanza della fatica e del sacrificio. Certamente aveva ragione, ma io dopo tutto sono  una ragazza “fiocchi e lustrini”, che non ama molto sporcarsi le mani di olio e grasso, a differenza di mia sorella che sembra nata con chiave inglese e cacciavite tra le mani.

Penso di essere arrivata trasportata da una nuvola soffice sulle note di Brahms o di Beethoven. Eppure, forse per dimostrare a me stessa che potevo,  almeno per una volta, farmi valere, ho accettato, anche se questo avrebbe comportato da parte mia un grande sforzo.

La prima mezz’ora del pomeriggio era trascorsa tra macchinari e casse da impilare, ma poi, spinta dall’odio  nei confronti della monotonia di un continuo montare quadranti e lancette, ho deciso di concedermi una piccola pausa.

Mentre mia madre stava rispondendo ad un cliente  ho notato appoggiati sulla scrivania alcuni volantini che hanno catturato la mia attenzione per il loro colore sgargiante: erano delle ricette provenienti dall’intero pianeta per preparare ogni tipo di caffè .

All’improvviso un’idea molto singolare mi sollecita: perché non provarli tutti ed azzardare poi un leale confronto?

Ho deciso di chiedere ad una mia cara amica di aiutarmi in questa impresa apparentemente impossibile e non so ancora perché abbia deciso di accettare, insomma, chi mai vorrebbe mai ingurgitare una quarantina di caffè in una sola serata?

Avevamo dato l’appuntamento “ai caffè” per un sabato che doveva rivelarsi tranquillo e che invece si è trasformato nel viaggio più bizzarro che la mia mente, e il mio palato, abbiano mai affrontato:  un viaggio attraverso i sapori di popoli lontani e le bevande legate alle tradizioni più antiche, ma che ancora oggi vengono rispettate come vere e proprie istituzioni nel paese di provenienza.

Abbiamo deciso di trasformare il tutto in un gioco: il tipo di caffè che avremmo provato sarebbe stato estratto a turno prima da me e poi da Chiara. Poi entrambe avremmo dovuto assaggiare il “fortunato” ed infine votarlo con un punteggio da uno a cinque (dal caffè quello imbevibile, fino a quello “molto molto buono”).

All’improvviso ci siamo ritrovate in America e con delusione ho appreso che questi americani proprio non sanno cosa sia un vero caffè, e lo stesso vale gli Irlandesi che aggiungono litri di whisky a quello che potrebbe essere un ottimo espresso con panna. Sarà per la mia età, ma non ho una grande passione per gli alcolici.

E poi abbiamo scoperto la dolcezza della “chaqueta” con una grande dose di zucchero di canna liquido, il meraviglioso incontro tra freddo e caldo con l’affogato tedesco e italiano, la strana unione “austro-vietnamita” tra caffè e tuorlo d’uovo, il tutto accompagnato da una nota zuccherina.

Abbiamo provato il vero sapore del caffè italiano, un pilastro della cucina tradizionale e soprattutto abbiamo scoperto quanto il caffè sia paragonabile alla vita di tutti i giorni: dolce o amaro… E anche quando ci si blocca davanti ad una tazza fumante di caffè e uovo e si pensa che due gusti così diversi non potranno mai “cantare” all’unisono, ecco che li assaggi e scopri   la morbidezza arrivare fino allo stomaco e lasciare lungo il suo percorso un calore inaspettato. Così funziona anche l’amicizia, l’amore e ogni tappa della vita di un uomo, penso tra me…..

Un giorno ho letto che lo zucchero sta al caffè come l’amore sta alla vita perché in caso contrario entrambi risulterebbero troppo amari, ed è una perfetta proporzione per spiegare in poche e semplici parole come, a volte, nella vita come nel caffè, serva una zolletta di zucchero per rendere tutto migliore. E chi meglio di noi o dei nostri amici più cari può lasciar cadere nel nostro bicchiere quel dolce cubetto bianco?

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