26. Pagine di vita

Osservo le gocce di pioggia che scorrono lentamente contro il vetro della finestra, mentre mi costruisco in testa l’immagine dell’alone che esse lasceranno quando il sole riuscirà a spuntare dalle nubi grigie e minacciose. Pietro mi racconta spesso della pioggia, sebbene io non abbia mai avuto l’occasione di provarla, assaggiarla, tastarne l’essenza. Ma oggi è diverso. Oggi piove fuori e dentro. Dentro il mio mondo, intendo. La pioggia viene da Pietro. E’ arrivato da me confuso e agitato, correndo, ma la cosa che più mi sconcertava era quella sorta di pioggia che cadeva dai suoi occhi. Pietro le ha chiamate lacrime, se non sbaglio. Che strano fenomeno… Ma Pietro, oggi, per la prima volta da quando ci conosciamo, non mi ha detto altro. Mi ha raccontato episodi marginali e poco rilevanti, depistandomi, ma non si è prodigato in spiegazioni sulle sue strane lacrime. Spero vivamente che mi renda partecipe al più presto delle motivazioni che l’hanno condotto a questa reazione, a me sconosciuta fino ad ora. Già, perché tutto quello che io sto narrando ora è frutto di una straordinaria relazione comunicativa che, in un certo senso, si può definire epistolare. Pietro è il mio migliore amico – il mio unico amico, in realtà. Pietro è con me da sempre. Lo strano concetto, che lui chiama tempo, non mi appartiene. Non riesco a comprendere bene questa parola vuota, astratta, priva di ogni concretezza.

Tornando a noi, devo proprio essere interessante, almeno visto dall’esterno. Pietro mi cerca sempre. Ogni giorno si confida con me e mi comunica gli avvenimenti che lo hanno coinvolto maggiormente. A volte si sfoga, a volte è felice, a volte è annoiato. Ma io riesco sempre a comprenderlo, a consolarlo, a confortarlo. Le sue parole sono le mie parole. La sua domanda è la mia risposta. Io sono una presenza fondamentale per Pietro. Ad essere sincero anche Pietro si è trasformato in un’occasione, per me, di arricchimento culturale e di confronto intellettuale. Entrambi nutrivamo un’affezione particolarmente sviluppata per la comunicazione, per la parola, per la conoscenza. Elementi che da sempre caratterizzano il mio essere e danno un senso ad ogni mio gesto. Sentivo che essi costituivano il motivo della mia nascita e, in qualche modo, la fonte da cui sgorgava la mia forza. Parlando con lui, assimilavo con rinnovato interesse tutto quello che riuscivo a percepire dai racconti di Pietro. Apprezzavo la composizione delle parole, ero affascinato dalla loro perfezione estetica e mi innamoravo quotidianamente della capacità descrittiva di alcuni termini, stupito e attirato dalla loro icasticità.
Un giorno, forse il più importante della mia esistenza, Pietro mi raccontò un avvenimento che apparentemente mi parve alquanto strano, quasi inaudito. Stavo attraversando una fase in cui mi meravigliavo di tutto e ogni singola parola dettata da Pietro era una linfa vitale di cui ormai non potevo fare a meno. Ebbene, la narrazione di questo episodio mi coinvolse più del dovuto. Era un pomeriggio come tanti di una giornata di settembre dalla desolante monotonia. Pietro arrivò da me trafelato e si mise subito a raccontarmi la novità: una nuova compagna di classe era piombata nella sua placida vita scolastica come un fulmine a ciel sereno. Mi disse che proveniva dall’America Latina e si chiamava Luna. Anche se Pietro continuava a narrarmi di questa ragazza, io non capivo cosa trovasse di interessante lei, insomma, era una fra le tante. Forse che rappresentasse per lui la possibilità di entrare in contatto con un mondo lontano e diverso per usi, costumi, tradizioni? Sebbene in prima battuta il suo interesse non mi avesse contagiato, successivamente imparai a meravigliarmi della diversità e della ricchezza che essa porta con sé. Non pensavo che potesse esistere un altro modo di vivere, un altro paese, un’altra città, un’altra nazione, un altro mondo. Pietro rappresentava la mia realtà, la base della mia vita e del mio pensiero. Ero consapevole delle centinaia di altri individui che circondavano il mio unico amico, ma la loro apparente marginalità non mi aveva mai spinto a una riflessione acuta. Ho sempre creduto che le altre persone fossero solamente dei satelliti che ruotavano secondo un’orbita ellittica intorno ai suoi due fuochi: Pietro ed io.
Ma mi sbagliavo. Attraverso i racconti di Luna che giungevano a me attraverso le parole di Pietro, ho scoperto l’attrazione alla diversità. Le meraviglie che ogni giorno toccavano indirettamente la mia anima erano di una purezza disarmante, per la prima volta stavo assaporando il rapporto con l’altro. Il mio mondo, che credevo assoluto ed enorme, improvvisamente acquistò dimensioni ridotte, mentre un nuovo soggetto appariva agli orizzonti miei e di Pietro. Il mondo di Luna. Ella era incredibilmente abile nel raccontare a Pietro della sua nazione. Ma la sua bravura si sviluppava nel racconto. L’abilità narrativa della ragazza era sorprendente, utilizzava le parole – spagnole e italiane – con una maestria fino a quel momento a me ignota. Il mondo di Luna, quella realtà lontana e differente dalla nostra che lei definiva semplicemente latinoamericana, si dispiegava di fronte a me attraverso il verbo. Luna aveva la capacità di trasmetterci i tratti culturali tipici del suo Paese natale utilizzando la sua lingua e la nostra. Costruiva ponti immaginari tra i linguaggi, sottolineando le diversità ma notando anche le affinità e le somiglianze. Ci deliziava insegnandoci le parole che caratterizzavano i riti tradizionali latinoamericani e le feste religiose. Ricordo ancora quando ci fece notare la traduzione del verbo aspettare: in spagnolo si dice esperar. Come sperare. Perché l’attesa si trasforma quasi sempre in un desiderio e la speranza è un sentimento che viaggia insieme all’attesa. Straordinario.
Ora torniamo al presente. Pietro si è deciso finalmente a raccontarmi la verità riguardo alla faccenda delle lacrime. Lo ha fatto in un modo originale, inaspettato. Mi ha presentato Luna. Ero imbarazzato, ma la ragazza, come vi ho già detto, è troppo brava nell’utilizzare il linguaggio per lasciare che la mia iniziale sensazione di disagio rovinasse il nostro primo incontro. Così ha cominciato a raccontarmi del motivo delle lacrime di Pietro. Egli era triste per Luna. La ragazza era stata discriminata. All’inizio non ho afferrato immediatamente il significato di questa parola, ma ancora una volta Luna mi ha spiegato – come solo lei sa fare – cosa fosse la discriminazione. In sintesi, alcuni compagni di classe dei ragazzi nutrivano sentimenti di odio verso la giovane straniera. Sfruttavano la sua diversità e la rendevano un motivo per lanciarle insulti, calunnie. Si servivano delle parole orrende che la discriminazione aveva forgiato: Luna non era in grado di ribattere perché non conosceva il significato di quegli insulti. Nessuno glieli aveva mai insegnati. Ero allibito, non capivo come la diversità, quell’insieme denso di differenze, potesse ritorcersi contro le persone con tanta veemenza e brutalità. Si trattava di un atteggiamento che non riuscivo a comprendere. Come potevano le parole, che Luna aveva tanto utilizzato per legare con me e costruire qualcosa che definirei magico, essere usate per allontanare, separare, odiare?
Questo è stato, fortunatamente, un caso isolato e mi è servito per conoscere Luna. Ora siamo un trio, il dualismo è ormai superato. Pietro è felice, Luna viene a trovarmi sempre più spesso e io credo di aver raggiunto l’apice della mia realizzazione personale.
In fondo, essere un diario ha anche i suoi pregi: ho ben due amici, arricchisco ogni giorno le mie conoscenze e mi godo il panorama dall’alto della mia stanza, cioè da uno scaffale.
Sono soddisfatto. Alla mia esistenza è stato donato un senso e in me cresce sempre di più l’amore per la parola. Io sono parole e le parole sono me. Il gramma è l’atomo che mi costituisce.
Io sono felice.

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