44/2016. Viba

Freddo.

Viba si mise a sedere, non riusciva a capire che ore fossero, tanto meno a capire dove si trovasse.
D’un tratto si rese conto di essere in mezzo alla strada, si alzò di scatto e si mise sul ciglio del marciapiede.
Provò a guardarsi intorno, un macabro cielo plumbeo si confondeva con il grigiore stagnante degli edifici decadenti di quella che appariva come una sorta di cittadina abbandonata e deteriorata dal tempo.
Sulla sua destra poteva vedere un edificio molto simile a una vecchia biglietteria, provò a guardare attraverso il divisorio, ma al di là del vetro non vide nessuno; decise quindi di incamminarsi lungo quella che, a giudicare dalle dimensioni, sembrava essere la strada principale della città.
Mentre camminava, Viba ebbe il tempo di notare la moltitudine di monumenti presenti:sul ciglio della strada, infatti, spuntava dal nulla una cappella con un magnifico rosone posto sulla facciata principale, mentre solo pochi metri più avanti, si apriva una piazzetta in cui era presente una fontana, al centro della quale, la statua di un uomo guidava un cocchio a forma di conchiglia trainato da due cavalli alati.
Passo dopo passo, con il passare del tempo, Viba incominciò a sentire dietro di sé una sorta di presenza gelida, che inesorabile e minacciosa avanzava verso di lei.
Aumentò quindi il passo,mentre un’ansia sempre più opprimente iniziava a prendere il sopravvento: la ragione non sembrava avere alcuna rilevanza in un posto del genere.
Davanti a sé vide una strana torre pendente che, per quanto poco invitante, sembrava rappresentare l’unico modo per dare un’occhiata dall’alto alla situazione.
Decise quindi di entrare nella torre e percorrere la ripida scalinata al suo interno fino all’ultimo piano, dove da una finestra scorse in lontananza delle sfumature oro mischiarsi con il grigiore semi-notturno del cielo.
Tornata in strada, Viba si avviò verso la direzione dalla quale aveva visto provenire quelle strani luci; mentre camminava pensava a una spiegazione logico-razionale che potesse giustificare la situazione, iniziò a convincersi di trovarsi in un sogno, desiderò quindi con tutto il cuore di svegliarsi, ma non accadde nulla.
Dopo quelle che sembravano ore di cammino, l’isteria aveva preso il sopravvento: Viba era ormai sicura di essersi persa e iniziò a urlare mentre sagome verdi scuro iniziarono a aleggiare caoticamente intorno a lei.
D’un tratto da dietro un vicolo apparve la figura di un uomo a cavallo che, forte di un’aura oro lucente intorno a lui, scacciò le figure che tormentavano la ragazza.
Tornata la tranquillità Viba ebbe il tempo di guardare attentamente l’uomo a cavallo: indossava una camicia rossa e intorno al collo si stringeva un trasandato foulard bianco, aveva un’espressione sicura di sé, seria e coraggiosa allo stesso tempo.
-Il mio nome è Giuseppe e vengo da un tempo e un luogo molto distanti- fece il cavaliere, accortosi dello sguardo inquisitorio della ragazza.
-E dove ci troviamo adesso?- replicò Viba con voce tremolante.
-Ci troviamo in un luogo al di fuori dallo spazio e dal tempo, le rovine che vedi qui intorno risalgono a un’antica nazione, una volta teatro di grandi avvenimenti e epiche battaglie, ora dimora di spettri e reietti.

-Ma come ha fatto una nazione a ridursi così?- chiese la ragazza.
-Perché anche le idee muoiono, esse diventano sempre più flebili fino a scomparire del tutto.
Le persone tendono a dimenticare persino le cose più importanti, è così che, un monumento storico, con il passare del tempo si trasforma in un insieme di muri vecchi, umidi e incrostati.
Una paese verde e rigoglioso viene rovinato, fino a diventare solo un paese che sembra una scarpa.
Un popolo capace solamente di gridare “viva” per ogni cosa, muore velocemente: perché troppo vivi si muore.
Mentre Viba stava riflettendo sulle parole dell’uomo, un lampo squarciò il cielo.
Tutto si capovolse, ricordi di una vita passata riaffioravano nella mente mentre il mondo svaniva, un portale apparve davanti a Viba che, senza indugio vi si lanciò dentro, conscia del fatto che, probabilmente quel portale l’avrebbe riportata a casa.
L’ultima immagine che riuscì a scorgere fu il viso del cavaliere che triste, come stretto in una morsa logorante, piangeva.

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